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FocusQuando Star Wars salvò la Marvel

Quando Star Wars salvò la Marvel

Colosso del cinema, gigante del merchandising, Guerre stellari è un pilastro della cultura popolare e, da buon prodotto dell’ingegneria pop, ha esteso la propria influenza su ambiti estranei a quelli filmici.

Negli anni l’Universo Espanso – l’insieme di storie raccontate nei media altri da quello cinematografico – ha assunto una rilevanza sempre maggiore. In particolar modo, le vicende a fumetti hanno acquisito peso e volume nell’economia della saga. Grazie a Dark Horse, che per vent’anni ne ha pubblicato le gesta, ma soprattutto a Marvel Comics, la casa editrice che per prima accolse il film nel suo parco testate.

La testata di Guerre stellari salvò Marvel Comics dal tracollo finanziario nel biennio 1977-78 e, mentre DC Comics implodeva tra le emorragie di vendite e la chiusura repentina di trenta serie dopo il tentativo infruttuoso di espansione del 1975 (con il varo di cinquantasette nuovi fumetti), contribuì a traghettare la compagnia fuori dal guado.

Padawan del fumetto. Gli inizi

Come in ogni buon racconto di formazione, i due protagonisti della storia non partivano sotto buoni auspici. Era il 1976: da una parte c’era Guerre stellari, un film che si apprestava a essere girato nel deserto della Tunisia e in cui nessuno credeva; dall’altra un mercato fumettistico in contrazione: in casa Marvel, una testata come Amazing Spider-Man stava vendendo solo 250.000 delle 590.000 copie stampate, contro le oltre 370.000 di qualche anno prima (farà peggio solo la rottura della bolla speculativa degli anni Novanta).

Aggiunto a questo, va tenuto di conto il fatto che l’intera idea di sfruttamento collaterale era estranea a qualsiasi casa di produzione che non fosse la Disney. La 20th Century Fox, quindi, aveva ceduto tutti i diritti sul merchandising a Lucas e aiutò Charles Lippincott, l’addetto del marketing della Lucasfilm, limitandosi a stampare i poster e qualche maglietta. I contratti con la Kenner e tutte le altre compagnie furono siglati da Lippincott in autonomia. Anche quello con la Marvel.

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Tramite Summer, Lucas ebbe occasione di conoscere molti dei suoi idoli fumettistici. Summer, consulente esterno per il marketing di Guerre stellari, sarebbe poi diventato produttore associato di Conan il Barbaro. Nella foto, risalente ai primi anni Settanta, Ed Summer, Frank Frazetta e George Lucas.

Dopo un incontro poco fruttuoso con Stan Lee, Lippincott perorò la causa presso Roy Thomas, coadiuvato da Ed Summer, amico comune di Thomas e Lucas. Ed Summer era il proprietario del Supersnipe Emporium, una fumetteria chiamata così in onore di Supersnipe, un fumetto degli anni Quaranta con protagonista il ragazzo con la più grande collezione di comic book del mondo. Supersnipe era un piccolo negozio con sede a Manhattan – e quando dico ‘piccolo’ intendo che, secondo le cronache, il locale non poteva accogliere più di sei persone alla volta – passato alla storia per essere stato una delle prime fumetterie di tutta New York e la prima di Manhattan.

Lucas era ‘partner’ in affari di Summer, anche se negli anni non si è mai saputo a cosa corrispondesse questo titolo; alcuni riportano che fosse il regista a contattare gli artisti da esibire nella Supersnipe Gallery, una galleria d’arte comprendente pitture, tavole originali e fumetti associata al negozio di Summer.

Thomas vantava in curriculum uno dei titoli su licenza più remunerativi di sempre, Conan il Barbaro, ma ricordava ancora lo scotto preso con Il pianeta delle scimmie, proprietà da lui fortemente voluta durante gli anni da editori-in-chief. «Mi spiegò la storia, che non sarei mai riuscito a riassumere di mio, e snocciolò un amalgama di nomi degni di un romanzo russo. Cercavo di prestare attenzione solo per gentilezza.» Fu solo quando Lippincott estrasse dalla valigetta un’illustrazione di Ralph McQuarrie, l’artista concettuale del film, che l’autore si convinse.

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La scena della cantina di Mos Eisley, disegnata data Ralph McQuarrie, convinse Thomas ad accettare l’incarico. Un’altra riprova della forza iconografica della saga.

L’accordo con la Marvel

Durante il secondo incontro, Stan Lee dichiarò che l’elemento di svolta, per lui, era stata la presenza di Alec Guinness, l’attempato interprete di Obi-Wan Kenobi. «Adattare un film solo perché c’era Guinness è un’idea illogica» nega Thomas. «Il suo nome non è spendibile con i lettori di fumetti.» In realtà, a fargli cambiare idea, oltre l’insistenza di Thomas, furono i cambiamenti strategici intrapresi dall’azienda, che comprendevano il recente acquisto di licenze per fumetti tratti dai cartoni di Hanna-Barbera e film (La fuga di Logan, 2001: Odissea nello spazio, Godzilla); inoltre, Lee si sarebbe trasferito da lì a poco a Los Angeles per supervisionare i progetti animati, televisivi e cinematografici in seno alla Marvel. Produrre Star Wars sarebbe stato, se non altro, uno sforzo ulteriore nel tentativo di fare comunella con quelli di Hollywood. Stipularono un accordo secondo cui la Lucasfilm non avrebbe visto un centesimo finché la testata non avesse superato le 100.000 copie vendute.

Nel lavorare alla sceneggiatura, Thomas si accorse ben presto che la potenza e la carica di rottura del film stava nel suo aspetto visivo e nella capacità di creare icone del suo regista. «Senza le immagini, era poco interessante e confusionario. Non credo nemmeno di averlo letto tutto, quel copione». Su richiesta di Lucas, Howard Chaykin venne assoldato come disegnatore; l’artista si trovò da subito indietro sulle consegne e, dopo il primo numero, si limitò ad abbozzare i layout, lasciando il resto del lavoro a Steve Leialoha. Thomas abbandonò poco dopo a causa delle interferenze della Lucasfilm: «Non si poteva usare Fener, non si poteva approfondire la relazione tra Luke e Leila (ora sappiamo perché!), Jaxxon era troppo ‘spiritoso’… Non era più divertente scriverla.»

Al fine di aumentare la consapevolezza del pubblico nei confronti di Guerre stellari, Lippincott organizzò un panel al Comic-Con di San Diego del 1976, dove presenziarono anche i tipi della Marvel. Pratica ora consueta per qualsiasi blockbuster, era la prima volta che a un prodotto non attinente ai fumetti veniva riservato uno spazio così ampio.

I primi due numeri vendettero bene. Poi, nel maggio 1977, con Guerre stellari appena distribuito nelle sale, uscì il terzo. Fece il tutto esaurito. Le ristampe fecero il tutto esaurito. Le ristampe delle ristampe fecero il tutto esaurito, fino a toccare il milione di copie vendute per i primi tre numeri, un successo ripetuto questo gennaio. Subito dopo, Lippincott rinegoziò il contratto con la Marvel.

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Simile a un processo simbiotico, i fumetti tenevano in vita la saga nei lunghi periodi di iato cinematografico (lo sono ora, figurarsi all’epoca senza il flusso martellante di notizie e anticipazioni), e il marchio Guerre stellari faceva volare le vendite dei comic book.

Tra il 1979 e il 1980 Star Wars era il titolo in cima alle classifica. Non certo per meriti insiti al fumetto: qualsiasi cosa avesse sopra il marchio Guerre stellari era considerata una licenza per stampare soldi. E il fatto che le serie più vendute fossero tutti adattamenti di altri materiali (Conan, i Kiss) aprì la vena per scellerati acquisti di licenze come ROM e The Human Fly.

Star Wars si concluse nel 1986, dopo 107 numeri e a tre anni di distanza dall’uscita de Il ritorno dello Jedi. Sono gli anni bui del franchise: senza nuovi episodi o altri prodotti ad alimentare il proseguo della saga (i cartoni Droids e Ewoks e i due film per la televisione sui nativi di Endor fecero più danni che altro), le vendite della testata colarono a picco. L’anno successivo vennero chiuse anche Ewoks e Droids, gli adattamenti a fumetti degli show televisivi.

Una nuova (nera) speranza: il passaggio alla Dark Horse

Con i diritti della saga dormienti, Tom Veitch e Cam Kennedy, autori della miniserie bellico-fantascientifica The Light and Darkness War, proposero alla Lucasfilm di collaborare su rilancio del marchio. I dirigenti, impressionati dal loro lavoro, cedettero le concessioni al team e questi, dopo aver ricevuto il rifiuto della Marvel, andarono alla Dark Horse Comics, neonata compagnia fondata da Mike Richardson nel 1986. La Dark Horse aveva avuto successo con le proprietà di Alien e Predator e accettò di acquistare le licenze della saga. Dark Empire (1991) fu il primo frutto della casa editrice e incise nel rinnovare l’interesse del pubblico nei confronti della serie, in concomitanza con la pubblicazione de L’erede dell’Impero, il romanzo di Timothy Zahn campione di vendite.

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Nei successivi ventiquattro anni di vita editoriale, l’etichetta Guerre stellari vide nascere più di ottanta testate differenti, tra cui Shadows of the Empire, il progetto crossmediale del 1996 – quindi parecchio in anticipo sui tempi; grande arazzo ambientato tra L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, si dipanava tra una serie a fumetti, un libro, un videogioco, action figure, un gioco di ruolo, una colonna sonora e perfino un trailer. Un battage degno di un’uscita cinematografica ma senza un vero film da promuovere, un esperimento atto a riscaldare gli ingranaggi degli uffici di marketing della Lucasfilm in previsione dei prequel, meritevole se non altro di aver introdotto Xizor, boss dell’organizzazione criminale Sole Nero e personaggio tra i più memorali dell’Universo Espanso.

Il ritorno della Marvel

Il ritorno di Star Wars alla Marvel è uno dei più importanti momenti del 2015, per i lettori e il mercato, che si aspetta un gennaio da record (la stagione invernale è solitamente parca di titoli d’impatto, ma quando non è – vedi L’era di Apocalisse o DC vs. Marvel – il successo è sempre fuori misura). Non solo con la milionaria testata ammiraglia: la miniserie Darth Vader di Kieron Gillen e Salvador Larroca ha raggiunto le 300.000 copie in pre-ordine.

Quando si parla di fumetti da un milione di copie, l’esempio più recente è Amazing Spider-Man: il ritorno dell’Uomo Ragno dopo i travagliati eventi di Superior Spider-Man ha fatto lievitare le vendite della testata a oltre 500.000 unità solo nel primo mese di distribuzione (le cifre sono sempre al ribasso perché i numeri stilati da Diamond Comics non tengono contro degli indotti di altri mercati speciali). Da lì, per rintracciare altri best-seller, bisogna tornare al 1999, quando, all’apice della Pokémon-mania, i quattro numeri di The Electric Tale of Pikachu superarono ognuno il milione di copie, e prima ancora a Batman #500 (1993), poco prima dell’esplosione della bolla del mercato.

I primi anni Novanta avevano visto fioccare titoli milionari, con lo zenit di X-Men, l’Avatar dei comic book con i suoi otto milioni di esemplari venduti. Risalendo la china si arriva, in una saldatura perfetta, proprio a Guerre stellari. Star Wars #1 fu il primo fumetto a sfondare il muro dei sei zeri dagli anni Sessanta, quando l’Uncle Scrooge della Dell riscosse lo stesso successo nel 1960.

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Il denominatore comune di questi titoli è il fatto di aver registrato il grosso delle vendite nel mercato massimalista di edicole, supermercati e luoghi non specializzati. Ecco spiegate le dichiarazioni di David Gabriel, vice presidente della distribuzione alla Marvel, che ha confermato l’esistenza di una strategia atta a drogare il mercato non solo con le 68 copertine variant ma anche attraverso la sinergia con realtà locali e singole fumetterie: «Ci sono un sacco di nuove realtà con cui stiamo lavorando a livello di copertine esclusive. Il che vuol dire che una grossa fetta di copie verrà venduta in posti dove prima non necessariamente registravamo delle vendite.»

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