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NewsFumetto popolare e omosessualità, oggi (2): intervista a Antonio Serra

Fumetto popolare e omosessualità, oggi (2): intervista a Antonio Serra

UPDATE

In seguito a questa intervista, l’autore ha voluto inviarci una lettera per chiarire e precisare meglio alcuni punti.

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Con una breve serie di interviste avviata alcuni giorni fa, stiamo provando a indagare un tema tanto classico quanto ancora piuttosto ‘invisibile’ nel fumetto popolare: la rappresentazione di personaggi e temi omosessuali e glbt. Dopo avere raccolto le idee di Gianfranco Manfredi, oggi tocca a Antonio Serra, co-creatore per Sergio Bonelli Editore di Nathan Never e autore di serie come Legs e Greystorm. Con lui abbiamo discusso non solo delle aspettative del pubblico bonelliano su questi aspetti, ma anche di come il clima di crisi (editoriale) stia avendo conseguenze sulle libertà espressive degli autori. E di quali spazi sembrano aprirsi (o chiudersi) alla narrazione di storie a fumetti più realistiche anche sul piano delle relazioni sociali e sentimentali. Una chiacchierata che ci ha regalato anche una scoperta: Serra è al lavoro su una lunga avventura di Legs che riporterà al centro il tema della sua identità di lesbica, chiudendo il cerchio di una lunga e originale vicenda iniziata ormai quasi 25 anni fa.

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Innanzitutto un’osservazione da lettore: negli ultimi tempi, nonostante il rilancio della casa editrice legato alla nuova divisione che si occupa di licensing, a Orfani e al nuovo Dylan Dog, ho ravvisato la stessa fatica di sempre da parte degli autori nell’affrontare l’omosessualità. È evidente che ogni tanto gli autori bonelliani desiderano sì parlare di omosessualità, ma il punto è che non riescono quasi mai a evitare i cliché (inclusi anche alcuni negativi). Come spieghi questo atteggiamento? Forse il lettore tipo è sempre lo stesso, un po’ bigotto e sessuofobo. Non pensi che questo sia in contraddizione con le giuste ambizioni di rinnovamento? Ritieni sia cambiato qualcosa col nuovo corso di Davide Bonelli, o lo spirito bonelliano verrà mantenuto intatto, e con esso anche la prudenza su certi argomenti?

Sappiamo che per Sergio Bonelli l’argomento era problematico, così come tanti altri: religione, politica, razzismo. Quando io, Medda e Vigna inventammo Legs, lei era stata già pensata come un personaggio lesbico, ma era anche un personaggio volitivo, aggressivo, molto simpatico e ironico, e l’ironia andava bandita da Nathan, visto che Bonelli ma soprattutto i lettori erano fortemente infastiditi dalle situazioni buffe e ironiche nelle serie drammatiche. Però Legs, con la sua energia e la sua simpatia, rischiava di oscurare il titolare, e allo stesso tempo di “danneggiarlo”. All’epoca abbiamo commesso un errore narrativo: il protagonista deve spiccare su tutti, la spalla deve stare sempre un passo indietro (Carson è “vecchio” rispetto a Tex, Java è un neanderthaliano, etc). Legs non “accettava” questo ruolo, almeno secondo me, e per questo proponemmo che avesse uno spazio tutto suo…

Il problema con una serie di fantascienza è che le storie devono confrontarsi per forza con la realtà di oggi: Nathan Never parla di un futuro prossimo, in alcuni aspetti già superato dalla realtà, soprattutto rispetto alla tecnologia. E questo futuro deve essere verosimile, non è un west immaginifico in cui è difficile che ci siano personaggi omosessuali consapevoli. Legs venne promossa e si sperimentarono toni più buffi e soluzioni anche grafiche innovative. La sua omosessualità non venne esplicitata, ma rimase sottotraccia. Ricordo di aver realizzato diversi siparietti con la convivente/amante May Frayn che richiamavano a Strangers in Paradise. L’argomento omossesualità mi interessava molto già all’epoca, ma sapevo anche che all’interno dei canoni bonelliani non si poteva dire troppo. Eppure mi presi il rischio di affrontarlo senza confrontarmi fino in fondo con l’editore. Lo feci alla maniera di Hitchcock: chi deve capire, capisce (i gay); il pubblico vasto lo intuisce ma non ci fa caso (vedi il caso della storia “Io robot”: della metafora si sono accorti solo i lettori gay).

Anche questo dire-non dire non fu sufficiente: nel momento del massimo successo della serie, in alcune mie interviste venne fuori che Legs è lesbica, e Sergio … se ne accorse in quel momento! Ci rimase molto male, si sentì ingannato, e ne rimase danneggiato il rapporto di fiducia che si era instaurato tra noi. Ammetto che, oggi, non rifarei quella scelta: quella di non essere del tutto sincero, intendo. E il problema per Bonelli era anche di numeri. Può apparire paradossale, ma se una serie vendeva tanto, come all’epoca era per Nathan e per Legs, non si potevano affrontare argomenti controversi; se invece una serie vende di meno, un numero minore di persone possono rimanere scontente e quindi c’è meno pericolo di inimicarsi il pubblico che sostiene la casa editrice.

Anche il modo col quale ho narrato l’omosessualità di Greystorm non nasce da una censura dell’editore: Sergio, di quella serie, non ha toccato una virgola. Ho ambientato le vicende di due protagonisti – che nei fatti sono omosessuali e che per motivi diversi non prendono coscienza di sé e dell’amore che provano uno per l’altro – nell’Ottocento, proprio per non avere costrizioni nell’affrontare il tema. Ovvero, ho fatto una storia come fosse scritta e disegnata nell’Ottocento, quindi senza la consapevolezza sull’omosessualità che ci aspetteremmo oggi. Robert sa di essere gay ma non gliene frega nulla, il suo scopo è conquistare il mondo; Jason lo sa, ma per problemi di lignaggio non osa assecondare le sue pulsioni, tanto che in un albo i suoi figli gli ricordano che lui è felice solo quando sta con Robert, non con loro!

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Parlando del presente, diciamo subito che non posso parlare al posto dei miei colleghi , la mia è una opinione personale, ma certo c’è la difficoltà di cui parli: l’omosessualità è un argomento per noi spinoso, se la affrontiamo in maniera esplicita. E quando lo facciamo diamo troppo spazio a luoghi comuni e cliché. É un bel problema. Trovare la strada per raccontare queste cose nel modo “giusto” (ammesso che esista) è complicato, visto che la casa editrice si propone di conservare la natura popolare dei fumetti che produce, che si rivolgono a un pubblico più ampio possibile, e il rinnovamento di cui si parla ha proprio lo scopo di mantenere la vastità di questo pubblico, se non di ampliarlo ancora di più. Complicato, quindi, affrontare argomenti non “popolari”, sui quali l’opinione pubblica è divisa. Noi autori possiamo assumere comunque una posizione personale, ma non è quella ufficiale della casa editrice. All’interno di questa posizione ufficiale sono garantite le libertà personali di ciascuno, nel senso che non ci vengono fatti divieti espliciti di affrontare questo o quell’argomento. Ma affrontare un tema come l’omosessualità in maniera non banale e in modi che non solo sono ormai superati ma sono addirittura offensivi, è obbiettivamente difficile.

Dopodiché, posso dirti ciò che sto facendo io con Legs Weaver, nel mio piccolo. È un personaggio che aveva una dichiarata omosessualità, ma noi abbiamo dovuto elidere ed eludere questo aspetto – pur senza cancellarlo – per un lungo periodo di tempo. Nel momento in cui ti parlo, ho in mano una storia dove questo elemento della sua personalità viene raccontato, spero senza luoghi comuni. Lo spero, perché come sempre il giudizio spetta al lettore, e magari qualcuno mi dirà che ciò che ho scritto non va bene, ed è possibile che sia così. Sta di fatto che stiamo sempre parlando di racconti d’avventura. Quasi sempre, nelle mie storie, c’è la tematica gay, però non si può prescindere dallo “spaccare tutto”, sparatorie, inseguimenti, eccetera, ossia la marea inevitabile dei luoghi comuni dell’avventura.

Come dicevo, sto scrivendo una storia di Legs dove c’è una sorta di ricostruzione anche in qualche maniera ‘psichiatrica’ dell’esperienza personale di Legs nel corso degli anni. È una vicenda ben più centrata sulla sua omosessualità, ma io direi sui suoi sentimenti, di quanto non lo siano altre cose che ho pubblicato in passato. Dovendo fare una sorta di wrap up, come dicono gli americani, di chiusura narrativa, per tutta una serie di ragioni editoriali, la collocazione di questa storia è ancora incerta: non si sa se sarà in Agenzia Alfa, o una storia autonoma. D’altro canto il momento per noi è drammatico, per cui l’editore fa molta difficoltà ad accettare di mandare avanti delle testate che chiaramente vendono molto poco. Sicuramente la storia verrà comunque pubblicata, e ci sto lavorando molto, con parecchio amore per il personaggio. Lo sento profondamente mio, sebbene in realtà sia frutto dell’invenzione di Michele Medda, come concetto iniziale, ma è mio tutto lo sviluppo del suo carattere, nel corso degli anni. Spero perciò che le cose vadano bene, ma qui è l’autore che parla: occorrerà poi il giudizio esterno del lettore.

Ma di personaggi gay maschili non si parla mai? C’è ancora molta difficoltà, mi pare, a inserirli nelle storie bonelliane.

Qui sta il punto! Non ho bisogno di spiegare le ragioni per cui l’omosessualità femminile è meglio accettata, si fa per dire, o è ritenuta meno scandalosa di quella maschile. Da parte mia posso dirti che c’è un risvolto omosessuale, gay maschile – già presente da tanti anni, di cui nessuno s’era accorto (o forse era tutto nella mia testa…) – in un personaggio che apparirà di nuovo in una saga di Nathan Never in programma per l’estate del 2016, se tutto va bene. Lì ho scritto una scena, e … arriverà tutto ciò a voi giovani lettori? I don’t know!

Un personaggio principale o laterale?

Non è un personaggio importante nel senso che intendi tu, ma ha avuto un ruolo. Devi capire che io ormai scrivo pochissimo, e manco vorrei scrivere. Però ci sono tutta una serie di fattori che mi hanno convinto a riprendere la scrittura. L’urgenza del momento è quella di fare delle chiusure di cicli narrativi che ho cominciato io molti anni fa e sono rimasti in sospeso. Avendo scritto io quelle storie, per me, nella mia memoria, non è passato tanto tempo tra l’una e l’altra e queste storie sono come un flusso unico; nella realtà dei fatti questo personaggio (che non cito per non “spoilerare” il contenuto dell’albo) è stato presentato addirittura ormai dieci anni fa, s’è visto forse tre volte. Tuttavia avrà un ruolo fondamentale: quello che avevo pensato per lui fin dall’inizio. Dunque lui avrà un ruolo e io ho scritto una scena – che non vuol dire di sesso gay ma semplicemente di affetto tra uomini – difficile da raccontare a voce (e poi tornano gli spoiler!). Vedremo se arriverà ai lettori, e che reazione avranno.

Per concludere, come autore, sono uno dei pochi che ha sempre cercato di parlare di omosessualità, però mi sono scontrato più volte con un “muro di gomma”. Come ho già detto, ormai scrivo molto poco. Scrivere è una esperienza molto “brutta” che non consiglio a nessuno. Non si è mai soddisfatti del proprio lavoro, il confronto con gli altri autori e con il pubblico è certo difficile, a volte frustrante, soprattutto in momenti di crisi come questo, in cui quasi nessuno legge e chi legge pensa di avere le risposte per tutto. Come Casa editrice abbiamo ormai dei risultati di vendita inaccettabili. Come dico spesso, mi converrebbe andare in giro per corso Buenos Aires, qui a Milano, a vendere i miei albi direttamente alla gente che passa… probabilmente otterrei risultati migliori. E, tornando al discorso che facevi prima sul rinnovamento della Casa editrice, posso dirti che in realtà SBE sposterà il suo asse sul cinema, sui cartoni animati, etc, perché i fumetti non sono più un prodotto che possa consentire di mantenere in piedi una struttura che ha bisogno di molto denaro per poter essere operativa. Purtroppo, è sempre più difficile guadagnare coi fumetti.

Non siamo ancora arrivati alla fase in cui si vende poco, ma si riesce a trovare un pubblico miratissimo, iperspecializzato, al quale si possono quindi raccontare storie con personaggi gay, senza limitazioni di sorta?

No, affatto. Non ci siamo arrivati. Capisco il tuo ragionamento, per certi versi lo auspico (anche se sottindende una drastica riduzione del personale e la perdita del lavoro per centinaia di collaboratori… sigh!), ma siamo ancora molto lontani. Nonostante il cambiamento seguito alla morte di Sergio Bonelli, la casa editrice vuole per il momento cercare di mantenere il suo aspetto di popolarità. Quel che dici tu creerebbe tutta una serie di settori specifici, diciamo, una parcellizzazione delle cose, ma per il momento di questo tipo di specificità non si parla assolutamente, nemmeno dal punto di vista della struttura dei prodotti editoriali. Probabilmente arriverà un momento in cui si dirà: possiamo pensare di beccare quel pubblico lì, a condizioni economiche specifiche, producendo tot e pensando di vendere tot; può darsi che sia un ragionamento che arrivi. Però per il momento non ci siamo. Personalmente, per quelle che sono le mie “specifiche”, capita che mandi fuori istanze “insolite” in un albo che, per ovvie ragioni, non è unicamente dedicato al pubblico interessato a quell’istanza.

È come se facessi un lavoro sotterraneo, dentro al canone.

Tieni conto che lo faccio, e vorrei essere molto chiaro su questo, mantenendo la struttura rigorosa del racconto d’avventura.

Lo fai fin dai tempi della memorabile storia “Io, robot”, giusto?

Il meccanismo è quello. Ormai sono un vecchio, non posso inventarmi cose nuove. Posso semplicemente pensare di utilizzare al meglio la mia esperienza. La mia esperienza mi dice che posso scrivere di queste cose, ma c’è un tono da rispettare; quel tono ha funzionato in passato, spero funzioni ancora oggi.

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Visto che nel parco autori di Nathan Never sono entrati diversi nuovi sceneggiatori giovani, mi aspettavo che fossero aperti anche a questo tipo di argomento: da Masperi a Perniola, da Barzi a Eccher…

Questa purtroppo è un’illusione, una prospettiva sbagliata legata al punto di vista con cui ci guardi. I nuovi sceneggiatori sono in realtà già “vecchi”, e tra l’altro sono già fuori gioco perché, col crollo delle vendite, non sarà possibile dar loro un numero sufficiente di storie da scrivere per far emergere le loro caratteristiche. Siamo autorizzati a scrivere solo fino a che il budget ce lo consente, e la paralisi è ormai alle porte. Tu dici: ci sono degli autori nuovi, avranno delle cose da dire, ci sarà una procedura. Non è così. Volevamo ci fosse, ma le condizioni del mercato non ci consentono assolutamente di progettare un futuro di contenuti narrativi. Procediamo coi piedi di piombo, passo dopo passo. Oggi come oggi, per immaginare un futuro radioso, ci vuole un miracolo, e anche bello grosso.

Chi legge dall’esterno, non tende a valutare il tempo che passa. Nel senso che, per chi compra l’albo di questo mese, l’autore magari è “nuovo”, in realtà la storia era in giacenza da sei anni. Non è il caso delle persone che hai citato, ma sono casi che capitano. La valutazione delle cose, per chi è all’interno, è molto diversa rispetto a ciò che si vede dall’esterno. Naturalmente, poi, come sempre, punto l’attenzione su me stesso, e non in quanto egocentrico autore di fumetti, ma perché di quel che scrivo mi prendo la responsabilità, e non mi sento di parlare delle cose fatte dai colleghi. Diciamo che nello spazio che mi è concesso, l’argomento gay avrà il suo spazio. Non sarà annullato. E vediamo cosa succederà man mano che le cose andranno avanti. Chiaramente io su questo argomento- – e i miei colleghi lo sanno perché lo vivono – continuo a premere, premo costantemente, diciamo una volta ogni due mesi. Sperando che trovi una collocazione. Però è chiaro che, finché non cambia l’atteggiamento di base, cioè quello di dire “non scriviamo per aree specifiche, ma per un’area vasta”, la situazione non potrà che essere quella.

Il sottotesto a questo discorso è che non penso che siamo dei pazzi, semplicemente c’è una scelta editoriale che quando Sergio era vivo era la scelta di una singola persona; ora c’è un gruppo dirigenziale, una struttura societaria. Prima era tutto nelle mani di una persona sola, che aveva le sue idee; ora c’è anche un ufficio che si occupa di decidere cosa è meglio fare, che prima non c’era. Oggi siamo legati a tutto un altro modo di vedere le cose, quindi per il momento dobbiamo vivere questa situazione per quella che è: un periodo di transizione tra un mondo e un altro. E vedremo cosa succederà nei prossimi anni. Diciamo che finché è possibile, Antonio Serra continuerà a rimbalzare sul “muro di gomma”… questo è tutto quello che posso dire sull’argomento. Io ci sono. Ci credo, ci lavoro. Poi secondo me questa di Legs è una bella storia, intrigante, anche se è chiaro che non è la soluzione al problema.

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La politica editoriale di questa struttura societaria su cosa fonda le sue linee guida sull’omosessualità? Ovvero: arriva la lettera di protesta che minaccia di non comprare più un fumetto Bonelli se troverà ancora personaggi gay, oppure è un modo di lavorare tradizionale che prosegue un po’ per inerzia?

Innanzitutto la prima cosa che hai detto, cioè la lettera imbufalita del lettore, arriva regolarmente. Però in linea di massima passa inosservata, e spesso viene commentata dicendo: questo è pazzo! Penso che non siano queste le ragioni che spingono la dirigenza, al di là del fatto che certi lettori esistono, purtroppo. Io stesso ne ho lette, mi sono capitate. «Ma quindi, il personaggio è gay? Non leggerò più il vostro fumetto!». Vabbè, peggio per te. Mentre invece dal punto di vista della cultura editoriale, è più una cautela, cioè si vorrebbe trovare una dimensione ideale. In realtà, sotto sotto ci sono un milione di idee; le persone sono cosa diversa dalle strutture.

Però le strutture sono fatte da persone, no? 

Allora diciamo che per ora la struttura, vista la crisi, deve prendere il sopravvento sulle persone. Vedremo cosa succederà. Però la discussione sulla faccenda è aperta, non è insabbiata. Secondo me è ancora presto per la tua idea, che è giusta: visto che il mercato si frantuma, mi frantumo anch’io. È una situazione che credo arriverà e a cui si tenderà, ma non a breve. Ci sono da preservare decine e decine di professionalità specifiche a rischio.

Il lento cambiamento lo percepisce, forse, il lettore affezionato ed esigente. Non so però se se ne accorge quello occasionale, magari conservatore. 

Bisogna vedere se è vero, perché il lettore tradizionalista è anche esigente. Il punto è mantenere un costante interesse per il prodotto senza creare degli attriti: è questa la cosa più problematica. Io ci lavoro costantemente su questa cosa, per varie ragioni: vado a manifestazioni, dibattiti, nel mio piccolo lo faccio.

È come se sottotraccia si notassero queste pulsioni, ed è frustrante notare che siano come sopite, per cause di forza maggiore. Ma l’ambizione mia e di altri è di percepire maggiore attenzione, maggiore vicinanza.

È proprio così. Però, se non ci fossero nemmeno questi spunti di cui parli, sarebbe anche peggio. Sono già contento che io ed altri colleghi riusciamo a coltivarli. Nel mio modo di vedere, e non solo nel mio, l’elemento è presente: ha una valenza importante, anche nella rappresentazione della società in maniera un po’ più realistica.

A maggior ragione parlando di futuro… che fatica parlare di relazioni sociali del futuro!

È molto difficile parlare di certe cose, non vale solo per l’omosessualità. Sono stato attaccato anche su razzismo, religione, eutanasia. Io lo vedo come un unico argomento che riguarda la libertà. È tutto molto complicato: sono argomenti scabrosi sui quali una posizione netta è difficile, bisogna costruirci una storia attorno che produca un’emozione specifica, che faccia accettare al lettore una posizione sulla quale magari non aveva mai ragionato. E io ho dovuto trascinarti per 94 pagine per cercare di dimostrati una cosa che, per me, in realtà è ovvia.

Tuttavia la crisi di vendite è drammatica. La formula del fumetto popolare è in crisi. Il lettore vive ormai nell’era digitale, vuole il tablet ultimo modello e, al massimo, accetta il fumetto su quel supporto. Se scarica musica e film gratis, non vuole pagare qualche euro per comprare un albo a fumetti. Crede, con quei soldi, di comprare solo la carta, il supporto, non il lavoro creativo! Quindi, perché pagare per una cosa che puoi avere gratis? Il tablet l’hai già comprato (e pagato caro…). Certo non muore il linguaggio del fumetto, muore solo un certo tipo di professionalità del fumetto: le redazioni grosse, i costi di stampa alti. Di certo rimane l’appassionato che, per svagarsi, disegna fumetti e li mette online, magari vendendoli on demand ad amici e parenti prima, e a una cerchia più ampia poi se ottiene dei riscontri… Stiamo a vedere cosa succederà…

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