Tra gli autori spagnoli che si sono affermati negli anni Zero, Miguel Brieva non è soltanto uno dei più attivi e visibili – grazie soprattutto alle collaborazioni con numerosi periodici, da La Vanguardia a Diagonal a El Jueves – ma è anche uno dei più coerenti. Da sempre impegnato in racconti e vignette politiche, che ruotano – quasi ossessivamente – intorno al tema del consumismo, nel disegno propone uno stile vintage che in nessun modo addolcisce il messaggio, ma sembra invece farsi beffa dell’estetica leccata delle pubblicità del Dopoguerra.
Nel paese di Paco Roca o David Rubìn, insomma, Brieva è una personalità di primo piano per l’editoria di fumetto. E il suo graphic novel Quello che mi sta succedendo, pubblicato da Eris Edizioni (che lo presenterà in anteprima al Treviso Comic Book Festival), ne conferma l’impegno e l’ambizione, attraverso una storia che rilancia in modo originale le questioni del precariato e della crisi economica. Facendo eco al movimento degli Indignados, ma puntando – con buona pace dell’approccio documentaristico del fumetto di realtà – verso una narrazione fatta di sogni, immaginazione e fantasia. Dopo averlo incontrato al Salón del Cómic di Barcellona, abbiamo organizzato una chiacchierata con lui.
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Victor, il protagonista del tuo libro, è un giovane che deve affrontare gli effetti dell’economia globale sulla sua vita quotidiana. Vittima di frequenti allucinazioni e protagonista di viaggi trascendentali, sembra trovare in un’altra dimensione le soluzioni per continuare a vivere in questa. Qual è oggettivamente il ruolo dell’immaginazione nella nostra possibilità di riscatto?
Ho la netta sensazione che se qualcosa può salvarci da questa situazione apocalittica non sarà né la scienza né la tecnologia, né tantomeno la religione intesa in senso così ristretto come la concepiamo oggi, bensì l’immaginazione, ovvero la capacità di ampliare gli orizzonti della nostra coscienza che è concepibile, e quindi possibile che succeda nel nostro mondo. Il libro è in fondo una metafora di questo pensiero. Solo attraverso un uso corretto e coraggioso della nostra immaginazione possiamo capire cosa sta succedendo realmente nel mondo e cosa potrebbe succedere se facessimo cose diverse, e quindi se riuscissimo a cambiarlo. In un mondo demente, forse la cosa più salutare è diventare pazzi.
Quello che mi sta succedendo è il tuo primo graphic novel. Quali sono state le difficoltà e quali i vantaggi nell’affrontare una storia lunga e autoconclusiva?
La difficoltà più grande è stata sicuramente quella di affrontare un genere a me sconosciuto e disegnare molte pagine di uno stesso soggetto, cosa che mi spaventava molto (ride)! Invece l’aspetto più piacevole, proprio grazie a quest’insicurezza e mancanza di esperienza, è stato lasciarsi andare e giocare durante tutto il processo creativo, sebbene corressi spesso il rischio di sbagliarmi. Mi è piaciuto anche scoprire le possibilità espressive del racconto lungo e posato, e quella di riuscire a comunicare cose emotivamente più complesse.
In questo lavoro, come pressoché in tutti gli altri, emerge una visione critica verso la società dei consumi.
È un bisogno ostinato che sento, o forse una tara psichica: pensare che il mondo possa essere in un altro modo, meno stupido e più piacevole. E che la cosa più triste che possiamo fare, in questa vita, è ingannare noi stessi o lasciarci ingannare dagli altri.
Che ruolo ha il fumetto nella rappresentazione critica del nostro mondo?
Lo stesso di qualsiasi altro mezzo espressivo: cambiare il nostro immaginario limitato perché si passi a considerare la distruzione del capitalismo prima di quella del mondo, e non al rovescio, come succede oggigiorno. Qualsiasi iniziativa creativa che si intraprenda oggi e che non contempli questa volontà, sebbene in modo velato o subcosciente, è secondo me completamente sterile, poiché nei prossimi decenni ci troveremo ad affrontare una battaglia di dimensioni colossali e francamente non credo che una creazione nichilista o puramente formale possano contribuire a migliorare questo scenario, né aiutare in alcun modo.
Come è nata la tua passione per il disegno?
Da bambino, come credo sia il caso di molti disegnatori. Scoprii il disegno come gioco e come spazio di fuga per l’immaginazione. Col passare del tempo mi sono reso conto che il motivo per cui disegno è rimasto lo stesso.
Quali sono state le letture (illustrate o meno) più importanti per la tua formazione?
Moltissime. Per quanto riguarda il fumetto è stato fondamentale il passaggio da autori come Franquin e Hergé, che ho adorato sin dall’infanzia, ad altri come Moebius o Carlos Giménez, grazie ai quali ho scoperto per la prima volta le possibilità del medium nei confronti di narrazioni più adulte e avventurose. Poi è arrivato il fumetto underground, con Crumb in prima linea. Per quanto riguarda l’humour grafico, Quino, Gary Larson e El Roto, per fare qualche nome, sono stati fondamentali per la mia formazione e anche per il mio intrattenimento. E oltre ai fumetti, non sarò mai grato abbastanza a tutte quelle letture che mi hanno aiutato a resistere all’alluvione di stupidità e incertezza postmoderna, e a continuare ad aver fiducia nella possibilità di cambiare le cose, o per lo meno di non prostrarsi di fronte alla realtà.
Per Reservoir books (marchio di Random House Mondadori) hai pubblicato Memorias de la tierra (2012) e Bienvenido al mundo (2007), dove si raccolgono le vignette e le storie brevi pubblicate su riviste come El Jueves, ma anche Dinero, la serie autoprodotta che ti ha fatto conoscere al pubblico. Quali vantaggi e svantaggi hai trovato in queste due diverse modalità di pubblicazione?
L’autoedizione ti permette un controllo pieno di tutto il processo editoriale, ma ti carica con la difficoltosa incombenza della distribuzione. Pubblicare in una casa editrice, e per di più in una grande casa editrice, ti permette di concentrarti di più sul tuo lavoro, e delegare i compiti più aridi dell’edizione, quali distribuzione e diffusione; ma può implicare anche lo svantaggio di perdere il controllo creativo di quel che fai. Nel mio caso mi sono impegnato perché questo non accadesse. Inoltre cerco di combinare le mie pubblicazioni con Random House Mondadori con altre case editrici più piccole.
Il tuo stile strizza l’occhio all’estetica pubblicitaria americana degli anni Cinquanta. C’è una ragione per questa scelta?
All’inizio è stato più un caso, dato che io e i miei amici raccoglievamo molte riviste e vecchi libri al mercato del Rastro di Madrid e disponevamo di questo materiale per fare collage e altri giochi grafici. Con il tempo, forse influenzato anche da questa casualità, mi affezionai alla distorsione tipica dell’immaginario pubblicitario nato negli anni Cinquanta negli Stati Uniti, che attualmente ricopre tutto il pianeta e l’interno delle nostre menti come una crosta vischiosa al sapore di fragola…
Quali sono gli autori che hanno influenzato di più il tuo stile?
Ne ho menzionati alcuni prima. Potrei aggiungere che nel mio lavoro ci sono influenze e ispirazioni forti che non derivano dall’ambito del fumetto. Mi succede con David Lynch o Frank Zappa, i Monty Python, Tom Zé, Satie, Ivan Illich, Lewis Mumford, etc…
A quali altri progetti stai lavorando?
Sto preparando un’altra antologia del mio lavoro pubblicato in diverse riviste negli anni, sulla linea di Bienvenido al mundo e Memorias de la Tierra. Dopodiché spero di riuscire a dedicarmi a un’altra storia lunga che ho da anni nel cassetto.
Qual è la tua opinione sulla scena del fumetto in Spagna?
Ci sono cose abbastanza interessanti e i disegnatori più giovani che hanno tratto beneficio dal recente boom del romanzo grafico hanno delle conoscenze del mezzo molto solide e tendono a sperimentare, e questa è un buona notizia. Anche nel campo dell’humour, è nato un genere abbastanza originale, che qualcuno ha ribattezzato no-humour, che rompe con tutti gli stereotipi e che trovo davvero gradevole.
Ci sono autori spagnoli che ritieni interessanti da segnalare ai lettori italiani?
Ce ne sono molti… Ma tra questi non posso non citare Max, Paco Alcázar, Miguel Noguera e Santiago Valenzuela.
Presenterai il libro in Italia, a Lucca Comics & Games. Quali sono i tuoi autori italiani ‘preferiti’?
A parte quelli già noti e riconosciuti, i classici come Pratt, Manara, Giardino e Liberatore, non conosco molti altri autori più attuali, come Gipi o Manuele Fior, visto che non si è pubblicato molto delle loro opere in spagnolo. Questo mi dispiace molto perché mi rendo conto che, almeno in Spagna, tutto quello che viene dagli Stati Uniti trova una casa editrice e invece, per autori e libri provenienti da paesi più vicini come l’Italia, è molto più difficile. La cosa peggiore è che credo che valga anche il contrario. A parte il caso della Francia, dove il fumetto ha un mercato proprio molto radicato e forte, il resto del fumetto europeo è abbastanza sconosciuto nei paesi che non sono quello di origine.