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La ragione dei pugni

Capita che ogni tanto, alla sera per cena, Paolo e io ci si trovi in una di quelle trattorie popolari che ancora ci sono nell’hinterland milanese. Una delle nostre preferite sta a Settimo Milanese, spersa tra i campi e la nebbia. Qui, al Castelletto (si chiama così) la serata, se ingrana, va per le lunghe e si finisce a suonare vecchie canzoni accompagnate da ottima grappa. È sui tavoli di questa trattoria, davanti a un abbondante piatto di pasta e a una bottiglia di vino, che abbiamo corretto le bozze di Pugni da mandare in tipografia. Mentre lo facevamo ci siamo scambiati (più o meno… vado a memoria) queste impressioni.

pugni

Boris: Sai qual è la cosa che mi ha convinto a collaborare con te?

Paolo: No, quale?

Boris: La tua capacità di rielaborazione narrativa di fatti reali. Che è, mi sembra, il filo conduttore di tutta la tua produzione passata fino a Pugni. Questo per me, per il mio modo di essere e di scrivere, è una necessità fisiologica. E le storie che hai raccontato finora, da Etenesh a Volontè, passando per Maradona, sono tutte storie ancorate alla realtà. Ma è una scelta estico/ideologica consapevole o ti è capitato così?

Paolo: Direi proprio di si; questa del “fumetto di realtà”, se così la vogliamo chiamare, è una scelta ideologia. Ideologica e consapevole. Lo so. Adesso mi accuserai di essere un inguaribile e stupido romantico! Non mi vergogno di ammetterlo, anzi…Io credo nella “militanza”.

Boris: Per carità, quale romanticismo! Gli ideologi erano illuministi e io sono dichiaratamente ideologico e diderottiano… si sarà così? e diffido di chi non lo è…  Però più che nella militanza (anche se ci riempio un blog di critiche militanti), credo nella danza, quella sfrenata dei concerti punk…

Paolo: Scemo… quello che voglio dire è che la mia è una militanza artistica per puro caso. Solo una cosa so far benino, disegnare e raccontar storie a fumetti. Quindi cerco di fare la mia parte con quel che ho tra le mani. Se fossi nato musicista probabilmente avrei sognato di diventare il nuovo De André.

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Boris: Ah, ecco! Io invece se fossi stato un musicista sarei stato Joe Strummer… mica scherzo quando parlo della danza, una danza che ha profonde motivazioni catartiche…

Paolo: Certo. L’’importante penso è avere una visione indipendente, anarchica direi, sulla storia che si vuol raccontare.

Quando ho letto il mio primo libro BeccoGiallo ero appena uscito dalla scuola del fumetto ma ho pensato immediatamente che fosse la realtà editoriale perfetta per poter raccontare tutto quello che vedevo per strada. Il mio megafono. La libreria, la mia piazza.

Sai… sono d’accordo con quel che dice sempre uno dei miei scrittori preferiti, Carlo Lucarelli: «Chi dice che spesso la realtà supera la fantasia sbaglia: la realtà supera sempre la fantasia. Gli scrittori non possono fare altro che inseguirla per strapparne un pezzetto alla volta, fino a scoprirne il più possibile».

Il fatto di averti proposto questo strambo progetto non è un caso. Sapevo certo della tua passione per la boxe, ma non bastava per lavorar gomito a gomito ad un libro. Avevo bisogno di qualcuno con la mia stessa voglia di vedere e raccontare la realtà. Senza presunzione ed egocentrismo, ma con coraggio e presa di posizione. Una roba difficilissima, che riesce a pochi.

Boris: Proprio questo volevo dire quando parlavo della danza; raccontare la realtà ha per me la sua stessa potenza catartica… e sì, quello in cui mi hai coinvolto era proprio uno strambo progetto… alla fine si è concluso diventando, per usare una definizione cara ai Wu MING, un oggetto narrativo non identificato, ed è proprio nella sua stramberia che, ci ho sentito quella forza di cui dicevo. Ecco. Secondo me ha funzionato per questo. Cioè, non so se sei d’accordo ma il fatto di lavorare per una cosa che forse non sapevamo bene cos’era, e che all’inizio, sicuramente non era un libro, sì certo una mostra, ma una mostra strana… troppo testo, nessuno legge i pannelli con il testo nelle mostre… comunque, dicevo che lavorare a questa cosa ci ha lasciato un margine di libertà che non ci sarebbe stato pensando subito a un libro. Trovo che questo sforzo che abbiamo fatto di raccontare la stessa realtà con mezzi diversi, il disegno e la scrittura, che non fossero l’uno la descrizione e l’illustrazione ridondante dell’altro, ma semmai un completamento vicendevole o, in alcuni casi addirittura un vero scontro (di boxe) tra testo e immagini, sia riuscito proprio grazie al fatto che al libro abbiamo cominciato a pensarci quando ormai avevamo dieci capitoli…

Paolo: Sottoscrivo. Se avessimo pensato subito ad un libro non avremmo avuto la stessa libertà di azione. E i primi a imporre dei limiti creativi saremmo stati noi per primi.

Pugni doveva essere una mostra, per chi non lo sapesse. Una mostra per l’Overtime Festival di Macerata. Cultura e sport.

Boris: Mi dispiace di non essere poi riuscito a venirci…

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Paolo: Già peccato. A Macerata si sta bene… Appenino marchigiano, un centro storico tutto a scale, non adatto ai pigroni come me. Però ci si sta proprio bene. E quindi l’idea di farmi qualche giorno da ospite con una mostra tutta sul pugilato era davvero allettante. Le proposte più strambe si accettano sempre per i motivi più strambi. Tipo “quell’osteria che cucina i svincingrassi da dio” in cui non vedevi l’ora di tornare.

Quando ho letto i tuoi testi però, ho capito che stavano in piedi da soli, erano perfetti così. Non erano sceneggiature, per loro natura monche, non avevano bisogno di disegno. Potevamo impacchettare il tutto per qualche editore di saggistica e narrativa sportiva e andava bene uguale. Un bel libro di Boris Battaglia sui “quindici incontri che il pugilato non scorderà mai”. Però era una mostra! Qualcosa si doveva pur mostrare ai visitatori! Quindi ho deciso di disegnare le mie tavole cercando una soluzione narrativa e grafica che non facesse da didascalia al testo ma che lo arricchisse andando ad esplorare un angolo nascosto tra due frasi, un aspetto apparentemente secondario o appena citato dalle parole, e così via.

Boris: Trovo che questo sforzo che abbiamo fatto di raccontare la stessa realtà con mezzi diversi, il disegno e la scrittura, che non fossero l’uno la descrizione e l’illustrazione ridondante dell’altro, ma semmai un completamento vicendevole o, in alcuni casi addirittura un vero scontro (di boxe) tra testo e immagini, sia riuscito proprio grazie al fatto che al libro abbiamo cominciato a pensarci quando ormai avevamo dieci capitoli…

Paolo:  Devo confessarti che se Pugni fosse nato da subito come un libro con dei fumetti (non a fumetti) non so se avrei avuto la faccia tosta di proporti la collaborazione… Da quando ti conosco, ti ho sempre visto molto critico rispetto al mercato italiano attuale di graphic novel & co. “Starà scrivendo un saggio sulla rivoluzione russa, perché rompergli le palle con i fumetti sulla boxe?”…Sbaglio!?

Boris: Non sbagli. Ma mica perché sono un intellettuale snob. Semmai perché sono assolutamente consapevole di non essere in grado di sceneggiare un fumetto. Non so se è un lavoro difficile, penso anche di sì, ma non è quello… che lo fa anche certa gente che lasciamo perdere… è che non è nelle mie corde. La boxe invece sì, cazzo. Nei ’90 andavo a mangiare nella trattoria di Mino Bozzano, bronzo per i pesi massimi a Melbourne nel ’56, a Chiavari (si chiamava l’Ariete). Se era in buona questo lentissimo gigante si metteva al tavolo con te e ti raccontava storie incredibili di uomini e di boxe. Avevo cominciato a frequentare una palestra popolare proprio dopo aver conosciuto lui, il Mino Bozzano. Mi ero innamorato dei suoi racconti, avevo venticinque, ventisei anni e per qualche anno ho tirato di boxe, ma solo a livello amatoriale, roba così. Mi ero fatto pure le lenti a contatto per superare l’handicap degli occhiali. Poi ho smesso, la famiglia, il lavoro e tutte quelle storie lì.

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Paolo: Io invece ho iniziato a praticare la boxe apposta per fare i disegni di Pugni. Anche se era già qualche anno che ci pensavo…
Non avevo mai preso la cosa sul serio per le solite dicerie sul naso rotto, la violenza ecc… anche se tantissimo di questo sport mi affascinava.

Quando il progetto della mostra era in fase embrionale mi son detto “Non posso mancare così tanto di rispetto al pugilato da pretendere di disegnarlo senza nemmeno aver preso un pugno come si deve, senza aver indossato i guantoni o aver imparato a fare la fasciatura alle mani”. Mi sembrava da cialtroni. E un po’ anche da vigliacchi.

Sono andato a vedere un allenamento alla palestra CSB di Milano, di cui tanti mi parlavano bene… Il giorno dopo mi sono iscritto e ho iniziato. Ed è stato amore. Sono crollate un sacco di false leggende, allenamento dopo allenamento, soprattutto sul discorso della violenza.

Boris: A proposito di nasi e varie cose rotte…   Qualche anno fa, compiuti i quaranta, mi era preso il ticchio di ricominciare. Invece di andare a correre o a nuotare o di fare quelle cose che fanno i quasi vecchi come me, tanto per tenersi in forma. Quello che racconto in giro è che mi hanno sderenato una spalla in un incontro. Ma non è vero. Me la sono lussata allenandomi al sacco. Una vergogna. Un anno e mezzo per rimettermi completamente. Adesso basta, ho detto, come Monzon. sono troppo vecchio. Limitiamoci a leggerla e a guardarla, la boxe. E te, con la tua proposta, m’hai fatto venire la voglia a scriverla… di scriverne…

Paolo: Ahahaha, scusa se rido ma non sapevo il motivo vero della tua spalla dolorante. Raccontata così mi ha fatto un po’ sorridere. Comunque quello che volevo dire è che la boxe non è uno sport violento. E’ duro. Durissimo. Ma non c’è violenza. Il rispetto tra gli atleti era la cosa che più mi impressionava… Io vengo da otto anni di calcio a livello dilettantistico. Lì si che c’era la violenza, la cattiveria gratuita. Il calcio, almeno in Italia, non è educativo. È divertente, quello sì. Ma dopo aver frequentato per un anno una palestra di pugilato ho assaporato un altro mondo. Lo sport vero. C’era di più.

E in più mi è servito moltissimo per Pugni. Ho capito i movimenti, le posture. Ora riesco a disegnare un pugile che schiva o che tira un jab anche se avere riferimenti fotografici. Provo davanti al tavolo da disegno a rifare il movimento che mi hanno insegnato, mi guardo allo specchio…E’ molto più facile.

Peccato per la spalla, mi sarebbe piaciuto fare un paio di minuti contro di te, in scioltezza, tanto per divertirsi…Vista la differenza di altezze avrei puntato a venir sotto e poi montati al corpo… ehehehe. Vabbè dai, andremo a vederci qualche incontro assieme.

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