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Stan Sakai, un fumettista senza padrone [Intervista]

Quando ero bambino, adoravo il mondo dei ninja e dei samurai. Così, a fine anni Ottanta, guardando il cartone animato delle Tartarughe Ninja, tra i tanti personaggi colorati che vi apparivano, scoprii un coniglio giapponese armato di katana di nome Usagi Yojimbo. Negli anni successivi, la mia passione per i samurai rimase intatta, anche se con il tempo i miei riferimenti diventarono i film di Akira Kurosawa e Takeshi Kitano. Da vorace lettore di fumetto americano, però, ritrovai quell’Usagi conosciuto anni prima – che in realtà è un ronin, ovvero un samurai senza padrone – in una serie a fumetti omonima, realizzata da circa due decenni (oggi ormai diventati tre) dal suo creatore, un americano di origine giapponese di nome Stan Sakai.

Sakai è ormai una leggenda del fumetto americano, essendo stato tra i primi, negli anni Ottanta, a sfruttare la distribuzione diretta e la nascita delle fumetterie nella creazione di una serie da lui interamente realizzata e di sua esclusiva proprietà. In Italia, invece, ha sempre fatto fatica ad affermarsi, complice una pubblicazione non ottimale della sua opera. Lo scorso anno, però, in occasione del trentennale di Usagi, ReNoir ha iniziato a ristampare la sua testata in edizione cronologica e integrale, facendo la felicità degli appassionati – tra cui senza dubbio anche io. E quest’anno ha alzato ulteriormente la posta, raddoppiando l’offerta con la pubblicazione di 47 Ronin, storia scritta dal capo di Dark Horse Comics, Mike Richardson. Ma, soprattutto, riuscendo a portare per la prima volta Sakai in Italia, durante Lucca Comics & Games 2015.

E’ stato proprio durante quest’occasione che ho potuto incontrarlo – scoprendo un ometto gentile e dalla battuta pronta – e rivolgergli le mie domande, che trovate di seguito, accompagnate dalle sue risposte.

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Quando nel 1984 iniziasti a lavorare a Usagi Yojimbo, nacque prima l’idea di un fumetto ambientato nel Giappone medievale oppure di uno con animali antropomorfi?

Io sono un giapponese americano di terza generazione, e volevo fare una serie a fumetti su un vero samurai di nome Miyamoto Musashi, ma iniziai a disegnare un coniglio nel mio sketchbook e gli legai le orecchie con uno chonmage, un simbolo dei samurai. Il risultato mi piacque, così sostituii il personaggio umano di Miyamoto Musashi con questo coniglio, che chiamai Miyamoto Usagi. “Usagi” significa “coniglio”, in giapponese. Cercai di fare quante più ricerche possibile sulla cultura dei samurai e sulla storia giapponese, perché comunque volevo realizzare una storia molto fedele.

Del personaggio storico di Miyamoto Musashi quanto è rimasto alla fine in Usagi?

Molto poco. Usai Miyamoto Musashi come ispirazione, ma con Usagi volevo solo raccontare storie sul Giappone e sul folklore giapponese, senza che avessero particolare rilevanza storica.

Ci sono molte storie che hanno comunque un minimo di fondamento storico, nella lunga saga di Usagi. Altre invece sono tratte da leggende, altre ancora sono di tua completa fantasia. Su quali ti piace di più lavorare?

Quando scrivo una storia, mi piace leggere o guardare film o documentari sulla cultura giapponese che mi sembrano interessanti. E quando c’è qualcosa che attira la mia attenzione, ci scrivo sopra una storia. Per esempio, quando i miei genitori anni fa andarono in vacanza in Giappone, scoprirono una coltivazione di alghe di cui ero completamente ignaro, e la cosa mi colpì così tanto che mi ispirò. E, a oggi, probabilmente sono l’unico occidentale ad aver scritto una storia su una coltivazione di alghe.

Usagi è un mio personaggio, e sono solo io a scriverlo e disegnarlo, quindi posso realizzare tutte le storie che mi piacciono. Posso scrivere storie d’amore, gialle, d’azione, d’avventura, culturali… Posso fare tutto ciò che voglio. In passato ho scritto anche una storia con Usagi nello spazio e ne ho appena finita una in cui c’è un attacco dei marziani.

A proposito di film, ce n’è qualcuno sui samurai che preferisci?

Sì, ho due film sui samurai preferiti. Il primo è I sette samurai, diretto da Akira Kurosawa e con tra i protagonisti Toshiro Mifune, che immagino conoscerete tutti. L’altro è un film in tre parti chiamato Satomi Hakkenden, di cui sono stati fatti molti remake e che è basato su un famosissimo romanzo giapponese di circa trecento anni fa.

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Usagi Yojimbo ha un impianto narrativo prettamente americano, però il tuo stile grafico ricorda molto certo fumetto umoristico europeo. Da dove hai attinto maggiormente? Hai guardato anche ai manga, vista l’ambientazione e le tematiche della serie?

Sono cresciuto sia con i fumetti occidentali che con i manga, anche se negli anni Sessanta non usavamo la parola “manga” per definire i fumetti giapponesi. Quindi sono cresciuto sia con il lavoro di Jack Kirby che con quello di Osamu Tezuka, con una combinazione di entrambi. Scoprii il fumetto europeo invece quando ero al college, e mi fu di grande ispirazione.

Ho letto in alcune interviste che tra i fumetti europei è stato Asterix quello che ti ha maggiormente influenzato, è così?

È stato il primo fumetto europeo che abbia mai visto. Lo trovai nella biblioteca della mia università, in versione inglese, e mi sembrava  che i colori fossero fantastici, e la storia davvero meravigliosa. Era qualcosa che non avevo mai visto prima in un fumetto americano. I comics americani, all’epoca, erano molto economici, venduti su carta economica e la stampa era spesso terribile, quindi, vedere un fumetto con una carta così eccellente e stampato molto bene fu fantastico.

I manga che leggevi, invece, erano in versione giapponese o in qualche rara edizione tradotta in inglese?

Le Hawaii sono una zona mista giapponese/americana, così avevo la possibilità di comprare fumetti giapponesi in giapponese, che poi mi leggeva mia madre. Così, per esempio, ebbi la possibilità di conoscere fumetti di Tezuka, come Budda o Astro Boy.

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La serie presenta dei furry animal e uno stile grafico umoristico, ma ha un impianto narrativo realistico e drammatico. Da cosa nasce questo desiderio di fondere le due cose?

Le cose che scrivo e che disegno non hanno un pubblico di riferimento, quindi faccio le cose che vorrei leggere io. Non mi curo molto di ciò che possa piacere ai lettori, così sono molto felice che ci sia gente a cui piacciono le stesse cose che piacciono a me.

Quindi non hai per nulla un pubblico di riferimento?

No, sono io il mio pubblico. [Risate]

Usagi è un coniglio, ma nelle sue storie appaiono anche altri animali, come rinoceronti, tigri, cani e non solo. Qualsiasi tipo di animale può apparire nelle tue storie o c’è un criterio con cui vengono scelti?

L’animale deve avere un bell’aspetto. [Risate] Inizialmente, pensavo di disegnare solo animali che vivessero in Giappone, poi mi resi conto che stavo sconfinando e quindi accettai che qualsiasi animale potesse apparire nelle storie, se si comportava bene.

Ma c’è qualche criterio per cui un determinato animale viene associato a un determinato personaggio? Ci sono legami caratteriali o di qualche altro tipo?

A volte ci sono delle caratteristiche intrinseche dell’animale che lo rendono impiegabile in determinati eventi. Per esempio, i pipistrelli volano, e questo li rende funzionali a un certo tipo di personaggi, con il loro aspetto crudele. Però, altre volte, penso a un personaggio e cerco di capire quali animali si adatterebbero a lui. Alla fine, uso quello che mi convince di più.

Confesso di adorare molto le scene di lotta di Usagi, che sono sempre molto serrate e dinamiche come dovrebbero essere nelle vere storie di samurai. Come nascono le coreografie delle tue storie?

Il mio storytelling prende più dal cinema che dal fumetto. Studio i film che mi piacciono e quando devo disegnare qualcosa cerco di fare in modo che gli assomigli il più possibile. Probabilmente la base del mio immaginario deriva da lì.

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Fai parte di un gruppo di autori che negli anni Ottanta decisero di mantenere i diritti sulle proprie opere, come Jeff Smith, Dave Sim e Sergio Aragonés. Voi creaste praticamente da zero un filone “fumetto indipendente”, ricavandovi un vostro posto che forse prima non esisteva. Perché tu, in particolare, compiesti questa scelta?

Tenni Usagi perché non avevo altre alternative. [Risate] Il mio primo editore, Fantagraphics Books, pubblicava solo storie di proprietà dell’autore, quindi fu automatico per me tenere i diritti di Usagi. Dopodiché, è andata avanti sempre così. Ho realizzato le storie di Usagi per più di trent’anni. Ho sempre fatto tutto da solo, ed è molto molto raro che un autore abbia un controllo simile su una sua property, come è capitato anche a Jeff Smith e Sergio Aragonés, in effetti. Io ho avuto la fortuna di collaborare con entrambi, tra l’altro. Sergio, in particolare, è stato un pioniere, perché è stato il primo ad avere il controllo totale del proprio lavoro e a essere comunque pubblicato da una major.

Tra i personaggi nati quasi in contemporanea con Usagi Yojimbo ci sono le Tartarughe Ninja di Kevin Eastman e Peter Laird, con le quali Usagi si è a volte incontrato, nei fumetti come nei cartoni animati.

E nei giocattoli.

Esatto, anche nei giocattoli. Come nacque la collaborazione fra te e gli autori delle Tartarughe?

Usagi e le Tartarughe nacquero addirittura nello stesso mese: novembre 1984. All’epoca c’erano davvero pochi fumetti di questo tipo, così io e Eastman e Laird diventammo amici. Poi le Tartarughe Ninja iniziarono a diventare protagoniste di cartoni animati e merchandising e un giorno, durante una convention, Peter Laird venne da me a chiedermi se avessi voluto fare un giocattolo. Io accettai e da lì nacque la nostra collaborazione.

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Com’è nato invece 47 Ronin?

Il mio editore, Mike Richardson, voleva raccontare a fumetti la storia dei 47 ronin da molto tempo, da circa vent’anni, e si chiedeva chi potesse essere il disegnatore adatto. A un certo punto si è ricordato: «Oh, ma io ho Stan Sakai!». [Risate] Quindi mi ha chiamato, io gli ho chiesto di darmi un giorno per pensarci. Il giorno dopo l’ho richiamato per dirgli di sì. Conoscevo già la storia, dato che è molto importante all’interno della cultura giapponese, e non potevo perdere l’occasione di raccontarla in prima persona.

47 Ronin presenta dei personaggi dai tratti umani ed è a colori, mentre Usagi Yojimbo è sempre stato in bianco e nero (a parte per un breve periodo). Com’è cambiato il tuo approccio al disegno per questa storia?

Ho dovuto necessariamente cambiare qualcosa nel mio approccio al disegno. In particolare, ho dovuto assicurarmi che ogni personaggio avesse il corretto numero di dita delle mani, dato che in Usagi ne hanno solo quattro. [Risate]

Come detto, 47 Ronin è tratto da una storia vera, ti ha richiesto del lavoro di documentazione particolare?

Mike Richardson aveva fatto molte ricerche e mi ha mandato tutto quello che aveva tramite e-mail piene di materiali allegati, a partire dalle foto dei luoghi in cui i 47 ronin avevano vissuto. Io poi mi sono recato nel tempio in cui i personaggi avevano fatto seppuku. Ogni immagine del tempio presente nel fumetto deriva dalle fotografie che ho fatto. Abbiamo goduto anche della consulenza di Kazuo Koike, l’autore di Lone Wolf and Cub, una serie sui samurai molto accurata, che ha controllato che fosse tutto storicamente veritiero.

Si ringrazia per il contributo alla realizzazione di quest’intervista Giulia Prodiguerra (dello staff di Lucca Comics and Games), Paolo Bottaro (interprete dello showcase con protagonista Stan Sakai) e i collaboratori di Fumettologica Luca Bertuzzi e Alberto Brambilla.

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