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Tornare indietro per andare avanti. Patience, il nuovo, grande fumetto di Daniel Clowes

Jack Barlow è incazzato nero perché gli hanno tolto l’amore. Per vendicarsi è pronto a tutto, perfino a viaggiare nel tempo. Questa è, a grandi linee – e per non rovinarvi la lettura –, la trama di Patience, il nuovo graphic novel di Daniel Clowes, il primo in sei anni e, probabilmente, il più clowesiano di sempre.

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Qui Clowes riprende, sintetizza, rimastica e sputa il suo intero percorso artistico. Per questo non posso parlarne senza guardare all’indietro, in quei passaggi del suo percorso che paiono nitidi oggi, e che invece allora erano i passi incerti di una ‘strana’ evoluzione autoriale. Una carriera iniziata esattamente 30 anni fa, quando Fantagraphics Books ci vide lungo e decise di scommettere su un giovane diplomato alla scuola d’arte che voleva sfondare nel campo dell’illustrazione ma che, invece, si ritrovò a fare fumetti.

Era l’aprile del 1986 e il primo numero di Lloyd Llewellyn faceva capolino tra gli scaffali delle fumetterie americane più lungimiranti. Si trattava di una serie a fumetti in linea con le pubblicazioni alternative del momento, capitanate da Love & Rockets dei fratelli Hernandez, che si proponevano di riprendere in mano il percorso iniziato da Robert Crumb negli anni Sessanta e ripensare il fumetto destinato a un pubblico adulto. «All’inizio non sapevo cosa fare», confessò Clowes nel 1988, in un’intervista – la prima della sua carriera – rilasciata a John Battles della fanzine Roctober. «Avevo fatto questo fumetto e lo avevo mandato a Fantagraphics solo per avere un parere. Mi chiamarono e mi dissero: “Vogliamo farne una serie” e io per poco non risposi: “Eh? Cosa siete, degli idioti?”». Fu allora che cominciò a prendere vita il potenziale narrativo di un autore che a oggi, nella storia del fumetto, non ha eguali.

Lloyd Llewellyn era un detective privato, ma non seguiva nessun caso in particolare, incappava semplicemente in situazioni strambe e assurde. Da un certo punto di vista, il fatto che fosse caratterizzato come detective non aveva alcuna importanza se non quella di renderlo catalogabile e appetibile per un pubblico che, a conti fatti, non c’era. Clowes stesso lo ammise più tardi: fu una scelta dell’editore, che gli impose di lavorare su un personaggio in modo tale da permettere ai lettori di riconoscerlo come “autore di…”.

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Per Clowes, Lloyd Llewellyn fu una palestra che gli permise di entrare in confidenza con il narrare per immagini, di sviluppare una certa praticità con la costruzione del racconto e di affinare le sue abilità di disegnatore. È in quei racconti brevi che impara a strutturare le storie ed è li che, per la prima volta, compaiono una serie di tematiche e caratterizzazioni che torneranno ciclicamente in tutte le sue opere future, Patience in particolare.

In Lloyd Llewellyn assistiamo a una girandola di eventi caratterizzati da violenza, erotismo e bizzarrie con protagonisti perdenti, emarginati, puttane, mostri e alieni. Le storie erano influenzate dalle visioni e dalle letture più disparate: Russ Mayer, Samuel Fuller, Buñuel, Burroughs, Jim Thompson, riviste di lifestyle e romanzi pulp anni ’50, vecchi fumetti di Steve Ditko, Superman e da quelli della EC Comics. I disegni guardavano all’estetica anni Cinquanta e Sessanta, ai cartoon di Playboy, ai fumetti di Harvey Kurtzman, Johnny Craig, Bernie Krigstein, a Nancy di Ernie Bushmiller, a Mad e ai lavori di Robert Crumb.

Lloyd Llewellyn chiuse dopo 6 numeri e uno speciale a colori, ma Clowes, stanco di lavorare su un unico personaggio, ebbe modo di rimettersi in gioco con un nuovo comic-book: Eightball. «Era la mia grande chance. Non avrei mai avuto un’altra possibilità per provarci», ricordava Clowes in un’intervista del 1996, «così mi riorganizzai e ricominciai da capo, pensando: “Ok, non proverò a piacere a nessuno, tranne che a me stesso. Farò solamente quello che mi sentirò in vena di fare e, se verrà fuori bene, sarò felice di aver fatto qualcosa che mi piace”».

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Clowes pensò Eightball come un’antologia sulla falsa riga di Mad, Weirdo e Humbug e colse l’occasione per sperimentare diversi stili di narrazione. Da una parte creò racconti brevi sui temi più disparati e dall’altra cominciò a sviluppare e serializzare storie lunghe e articolate, strutturate e raccontate via via in modi diversi. È qui che Clowes raggiunge il successo e realizza i suoi fumetti più importanti, che in seguito verranno raccolti in volume contribuendo a sdoganare definitivamente il fumetto in libreria: Come un guanto di velluto forgiato nel ferro, il dittico Ghost World e David Boring che lo consacrerà tra i protagonisti del graphic novel, e i più recenti Ice Haven e The Death Ray. In queste storie Clowes rivede, corregge e amplia i temi affrontati in precedenza e da vita a un universo narrativo fatto di gente comune alle prese con il male di vivere. I suoi fumetti raccontano, con piglio surreale, la vita quotidiana della società americana, gli incubi e le problematiche dell’adolescenza e le difficoltà delle relazioni tra persone, sia che si tratti d’amore che di amicizia. Daniele Luttazzi, che per primo tradusse Clowes in italiano con una raccolta di storie di Lloyd Llewellyn pubblicata nel 1992 dalla ormai scomparsa etichetta Telemaco di Daniele Brolli, definì l’autore capace di un «neorealismo visionario» che «sa descrivere la noia della provincia americana come nessun altro.»

Ma veniamo ai nostri giorni. Sono anni che Clowes ha cessato di pubblicare Eightball e ha deciso di realizzare storie direttamente in formato libro. E oggi, a 30 anni dall’inizio della sua carriera, con il suo nuovo graphic novel ci fa rivivere quegli anni d’emozioni somministrate sotto forma di albetti. In Patience, Clowes condensa e rielabora il suo intero immaginario narrativo. Proprio a partire da uno dei temi centrali della sua opera: le relazioni – difficili, compresse, incomunicabili, degenerative – tra persone. In questo caso una storia d’amore tra due ragazzi un po’ sfigati e sopraffatti dagli eventi della vita. E si pone una domanda: cosa succede se questa relazione finisce senza che nessuna delle due parti lo voglia?

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Succede il finimondo. Succede che Jack Barlow, per rivendicare il suo amore, si trasforma. Diventa un duro più duro di Terminator e viaggia nel tempo per cercare di salvare il suo futuro. I suoi viaggi tra passato e presente sono disegnati come trip allucinogeni e rendono omaggio ai mondi fantastici creati da Steve Ditko in Doctor Strange e Mr. A. La narrazione da neorealista diventa surreale, e l’incazzatura di Jack porta la storia sui binari dell’hard-boiled. I pensieri del personaggio, resi in prima persona da un copioso uso di didascalie, sembrano uscire direttamente dalla prosa noir di un romanzo di Jim Thompson. La storia di Jack, catapultato nel futuro, prende la piega di una puntata di The Twilight Zone, la serie tv sci-fi anni Sessanta, creata da Rod Serling e spesso sceneggiata da autori come Richard Matheson o Ray Bradbury. E nel finale, dopo un tripudio di violenza, abusi sessuali e colpi di scena, Clowes tira il freno a mano e, con una prosa poetica, arriva a toccare uno dei punti di scrittura più alti della sua carriera.

Rispetto alle opere precedenti, Patience suona fresca e potente anche perché Clowes, ormai, non è più lo stesso Clowes. Gli interessi non sono cambiati, il clima emotivo rimane cinereo, ma a cambiare è l’andatura del racconto. La sua struttura è meno frastagliata rispetto ad Ice Haven, che si ispirava alle strisce dei quotidiani, o anche a Wilson, che invece era pensato in singole tavole, proprio come quelle domenicali. Patience è un lavoro che, nonostante i salti temporali, presenta una trama molto più lineare di molti altri fumetti dell’autore. In questo senso, nonostante sia in formato libro, Patience è l’opera di Clowes che più si avvicina alla narrazione di un (lungo) comic-book, a quelle vecchie storie di supereroi un po’ matte a lui tanto care.

PATIENCE

Di contro, in Patience Clowes continua il percorso di sottrazione incominciato a partire da Ice Haven, alla ricerca di una sintesi stilistica personale. Spariscono del tutto i tratti spigolosi e i segni spessi e caricaturali che lo hanno accompagnato sin dai primi lavori; il disegno diventa sempre più rotondo e semplice, mentre gli sfondi sono sì ben definiti, ma meno dettagliati. E lo storytelling segue – o guida (è il bello del fumetto-fumetto: non conta) – facendosi più essenziale. Less-is-more qui significa raccontare troncando balloon, omettendo parole, lasciando parlare i disegni o, semplicemente, non raccontando. E va bene così, perché Jack Barlow è sì incazzato nero, ma non potremo mai capire davvero cosa significhi esserlo a quel modo.

E allora vale la pena che ve lo dica diritto: Patience è l’opera più appassionante di Clowes. Ha un ritmo incredibile, è piena di idee visive, si legge tutta d’un fiato e non si chiude con l’ultima pagina. Ma, nonostante ciò, sembra non essere ancora la sua “opera definitiva”. Se mai Clowes potrà – vorrà – essere definitivo. Quel che è certo, è che non smette di andare avanti, e questa volta, andando anche un po’ indietro. Che classe.

Patience
di Daniel Clowes
Bao Publishing, 2016
180 pagine, 25,00 €

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