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FocusOpinioniI libri folli e meravigliosi dei tedeschi di Tolle Hefte

I libri folli e meravigliosi dei tedeschi di Tolle Hefte

«Ci saremmo dovuti dimenticare che l’amore con il quale un libro viene stampato e rilegato ci pone in tutt’altro rapporto con lo stesso libro e che ci rende più piacevole e più facile il contatto con le cose belle? Un libro deve essere un capolavoro nella sua totalità, il suo valore deve essere misurato come tale». – Joseph Hoffman, Programma di lavoro della Wiener Werkstadt, 1904.

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Tutto è già nel nome. Toll: un aggettivo d’antan dal duplice significato: qualcuno o qualcosa di pazzo, fuori dagli schemi, folle; dall’altra parte ciò che ispira meraviglia e stupore, per indicare il bello. Hefte: la collana dei libri prodotti fra il 1991 e oggi da Armin Abmeier e dalla sua compagna, l’illustratrice Rotraut Susanne Berner, non sono “Bücher” (pur essendoci un’altra loro serie che porta questo nome, Tolle Bücher) ma Hefte. La parola, che per scelta abbiamo nel presente testo indicato come “libro”, nel suo significato originale ricorda più il quaderno, il fascicolo, non troppo prezioso, piccolo, semplice e famigliare.

Ecco le peculiarità del progetto editoriale di Armin Abmeier: una passione per oggetti dall’estetica raffinata e sorprendente, il gioco fra “alto” e “basso”, il desiderio di inventare progetti nuovi che nessuno faceva, la voglia di giocare. Die Tollen Hefte si racconta in 45 titoli per altrettanti libretti di 32 pagine ciascuno, stesso identico formato, 14 x 20,5 cm. Libri di letteratura pensati per un pubblico adulto, confezionati con una sontuosa sovraccoperta, accompagnati da un poster o un “prodotto” di carta che esce dal libro, come da una scatola delle sorprese. E ancora: 30 illustratori, 20 scrittori, 4 tipografie, 2 rilegatori, 2 case editrici, 2 editori, tanti colori stampati con una tecnica ancora artigianale e innumerevoli incontri che hanno dato vita a una esperienza unica, che, in occasione della Fiera del Libro per Ragazzi 2016 e della presenza della Germania come paese ospite, ci è sembrato necessario portare alla ribalta con una mostra e questa pubblicazione.

La figura di Armin Abmeier – editore, collezionista, promotore di mostre e conferenze, connaisseur d’arte, lettore – è stata “marginale” nell’editoria contemporanea, sicuramente poco noto – se non a pochi cultori – al di là del contesto germanico. In questo spazio liminare, Armin Abmeier si trovava a suo agio e si muoveva con disinvoltura, fra quelle arti che stavano ai margini anch’esse. Tuttavia per chi si occupa d’illustrazione Abmeier è un personaggio centrale, perché il suo lavoro – interrottosi nel 2012, e continuato con la stessa passione da Rotraut Susanne Berner – è stato vitale e lungimirante, al di fuori degli schemi ed esemplare rispetto alle direzioni che l’editoria ha intrapreso e ai destini dell’illustrazione contemporanea tedesca, e non solo.

Una linea direttissima negli intenti, quanto mai ramificata nel suo sviluppo e nelle aree di interesse, che tocca tre generazioni di illustratori, e che vogliamo riproporre per dar conto di un modo di pensare i libri e le immagini contemporaneo e attuale, auspicabilmente “futuro”. Molti sono i temi che il lavoro di Abmeier sollecita, ma tre punti sono ineludibili e ci hanno spinto a realizzare questo progetto, perché interrogano il presente dell’editoria per immagini e ci stimolano a riflettere, attraverso Tolle Hefte, sull’oggi: l’influenza sul mondo dell’illustrazione al confine fra adulti e ragazzi, la stampa come forma mentale, le domande che l’editore Abmeier ci pone.

Il tragitto degli illustratori folli e meravigliosi

L’editore Abmeier si è sempre interfacciato con curiosità e apertura mentale alle immagini, in dialogo con una comunità di disegnatori ampia e variegata, per poetiche, età, influenze stilistiche, provenienze. Nel suo incessante viaggiare per promuovere e raccontare il suo progetto (e per vedere, parlare, leggere, toccare e acquistare nuovi libri e nuove figure, scoprire nuovi posti…) Abmeier raccoglieva contatti e nuovi possibili Tolle Hefte. “Ogni tanto” scrive Atak “mi sfiora il dubbio di aver lavorato per lui solo per completare la sua collezione, ma nonostante tutto in questa maniera sono nati i lavori più belli e folli: quelli che nemmeno noi autori avremo mai immaginato potessero esistere”.

Rileggendo la collezione adesso, anche dalla prospettiva eccentrica del libro illustrato per adulti, emerge un diagramma di quanto accaduto nel disegno in Germania negli ultimi 25 anni. E ci appare importante mettere in evidenza il segno che Abmeier ha lasciato; possiamo dire che dal nucleo dei Tolle Hefte si sono irradiati molti degli stilemi visivi diffusi fra i libri che incontriamo oggi nelle nostre librerie, sugli scaffali dedicati ai comics e agli albi illustrati per bambini.

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Gli autori di Abmeier hanno fatto scuola nella giovane illustrazione internazionale: le immagini a tinte piatte che riprendono lo stile serigrafico di Blexbolex, una tendenza grafica che rimanda agli anni Venti o stili geometrici o pittorico-espressionistici, come quello di Atak. Alla luce di questo è ancora più interessante rivedere oggi il suo lavoro e la sua “trasversalità”. Abmeier ha sempre prediletto l’indagine in territori di confine, dove si incrociano immagini per adulti e piccoli, dove illustrazione, fumetto, grafica, disegno contemporaneo si mescolano, forme in fieri, difficilmente separabili.

Questa attitudine è ben esemplificata dal ruolo fondamentale che, sin dai primi anni Novanta, l’inarrestabile e curioso Abmeier ha avuto nel traghettare i disegnatori delle DDR nella Germania Federale e nella nuova Germania Unita: il maestro Volker Pfüller prima, poi Atak, Anke Feuchtenberger e Henning Wagenbreth – entrambi scoperti a Berlino nel 1991 alla prima mostra de PGH Gluehende Zukunft – Thomas Müller. Abmeier (nato a Göttingen, cresciuto e vissuto nella Germania Ovest), ha intuito l’originalità e l’onda d’urto con cui il loro immaginario si è abbattuto nel mondo delle figure disegnate. La sua visione preconizzava un esito non solo tedesco: gli ultimi quindici anni hanno visto una grande diffusione e conoscenza del fumetto europeo, quello francofono, più classico, ma anche quello nordico, tedesco e scandinavo in particolare.

Come un sismografo egli ha individuato e pubblicato gli autori che si sono imposti in questo panorama, a confermare ulteriormente la lungimiranza con cui sapeva guardare alle novità. Si tratta dei nomi che caratterizzeranno quella Neue Illustration – titolo di rottura della mostra in cui Abmeier presentò il lavoro degli autori dei Tolle Hefte in Germania e all’estero nei primi anni Duemila – di cui fanno parte anche Susanne Berner, Wolf Erlbruch, Axel Scheffler; accanto alle tendenze più innovative e inedite, Abmeier coinvolge nei Tolle Hefte alcuni numi tutelari dell’illustrazione per bambini, pur non essendosi, al di là di alcuni casi specifici, occupato, se non indirettamente, di editoria per l’infanzia.

Gli stessi disegnatori hanno insegnato anche fisicamente, come docenti, nelle accademie di Amburgo, Berlino, Lipsia, Halle a molti illustratori contemporanei: Katja Spitzer, Katrin Stangl, Franziska Neubert, Sophia Martinek e una generazione ancora più giovane, per cui Tolle Hefte è un ABC di quanto di meglio è accaduto nel mondo delle immagini negli ultimi 20 anni. Gosia Machon racconta di aver visto per la prima volta Tolle Hefte in una libreria a Monaco nel 1999. Le sono subito sembrati come “il più grande premio che un illustratore tedesco avrebbe mai potuto avere” ed è ad essi che deve il suo desiderio di studiare illustrazione.

La diffusione dei Tolle Hefte e dei suoi fautori si lega anche alla forte vocazione pedagogica che animava Abmeier e che lo portavano a mettersi in contatto con generazioni differenti: spesso era lui in persona a presentare i suoi tesori a giovani studenti delle scuole d’arte tedesche, dove teneva conferenze sulla sua professione. E anche da qui scaturivano nuovi germi. I Tolle Hefte sollevano una ventata fresca, inebriando i giovani disegnatori, diventando esempio e humus per una costante ricerca.

La stampa come processo mentale

Parlare dell’utilizzo di sistemi artigianali di stampa sembra mai come in questo momento alla moda, visto il fiorire dell’autoproduzione come modalità per i giovani illustratori di misurarsi con la realizzazione diretta dei propri lavori. In questo senso i Tolle Hefte ci aiutano a sollevare alcune questioni su una prassi ormai consolidata, ma che corre spesso il rischio di essere fine a se stessa. La passione di Abmeier per la stampa, oltre a collocarsi perfettamente nella tradizione tedesca, deriva sicuramente da molteplici impulsi.

Due in particolare: da una parte l’incontro con il fumetto underground americano, che colpisce Abmeier non per la fattura, ma per l’urgenza espressiva, la forza dirompente, la possibilità che facendo da soli si potessero produrre cose “mai viste”. L’altro è il senso della fucina, alle origini di questo progetto, nelle stanze di MaroVerlag, un gruppo di autori che assieme costruiva in fase di stampa libri, copertine, biglietti d’auguri. Sicuramente di questo momento, che Abmeier cita spesso, restano la potenza del lavoro fatto assieme, a più mani (e a più teste), l’armonia delle tante parti che compensano i propri saperi, il capriccio della macchina come qualcosa di vivo con cui si deve avere a che fare, che genera immagini e, soprattutto, sorprese, bellissime.

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Il bello, in un unicum di forma e contenuto, si ottiene solo con una ferrea disciplina – che spesso manca alle autoproduzioni di oggi – imposta all’artista, in alcuni casi tirannizzato dal confronto con una tecnica, la separazione manuale dei colori, che impone dei limiti e una completa ridiscussione del proprio modo di fare le immagini. Atak scrive a Berner e Abmeier dicendo nel 2005: “Sono però molto, ma molto incerto per quanto riguarda l’offset. Non so se la percentuale di grigio nel giallo sia sufficiente. […] non potrei magari fare la mia cartolina in serigrafia qui a Berlino? È più il mio genere, è più tipico per il mio lavoro”. Ovviamente Abmeier rispose negativamente (ma sempre rilanciando – dalle parole dei collaboratori emerge spesso questa sua capacità di motivare, spronare e infondere una grandissima fiducia negli autori) ed è grazie a questa risposta negativa che Atak crea quel piccolo capolavoro, forse uno dei libri più belli della serie, che è Ada di Gertrude Stein.

In questo senso anche Anke Feuchtenberger testimonia della crisi che la tecnica di stampa può provocare in un autore “Pensare alla stampa più dell’originale che perde la sua preziosità, mi fermava e faceva perdere un po’ della freschezza del disegno”. Chi forse più di tutti sa descrivere il senso vero del modo di fare i libri di Abmeier è Henning Wagenbreth. “Tecnicamente non c’è stato momento migliore di oggi per gli illustratori e gli editori. Puoi fare tutto da solo. Non dipendi in alcun modo dal lavoro degli altri. Ma quando parliamo di libertà nell’illustrazione e nel business del libro ci dimentichiamo a volte di quanto la tecnologia plasmi i risultati. […] Non mi piace la parola “artigianale” perché sembra sempre rivolta al passato. Preferirei dire che è una responsabilità utilizzare bene le risorse, in via così rapidamente”. La stampa per Armin Abmeier era un procedimento in primis mentale, non un meccanismo, l’utensile che permetteva di sviluppare il più bel ragionamento per figure possibile.

Perché non posso farne a meno: il mestiere dell’editore

Fare i libri è stata la magnifica ossessione di Armin Abmeier. Li ha fatti giocando con tutto quello che sapeva e desideroso di assimilare tutto quello che sapevano gli altri. In una relazione che i suoi scrittori e disegnatori ricordano come discreta, costruttiva e motivante. Così Blexbolex rievoca la produzione di Abecederia:

«Non so se Armin avesse un’idea chiara di ciò che stavo facendo, ma mi ha dato molta fiducia… più di quanta me ne sia concesso io stesso, credo. […] mi lasciava fare, era veramente destabilizzante! […] Armin è venuto a Parigi e abbiamo lavorato per due giorni; e sono stati due giorni formidabili, durante i quali ci siamo tuffati nel libro, nel testo, nel racconto, da cima a fondo, bevendo del buon vino e mangiando dei buoni salumi, ma lavorando come non ho quasi mai fatto con un altro editore. Apertamente e completamente concentrati al tempo stesso. Seriamente ma divertendoci e scherzando. Armin poteva permetterselo e poteva permetterlo a un autore come me. […] La sua cultura lo rendeva rispettoso del lavoro altrui. Non è mai intervenuto, tranne quando io glielo ho espressamente domandato. Più tardi, mi ha parlato degli artisti e scrittori che amava e me li ha fatti vedere e leggere. Ma solo dopo. Mi è sembrato molto delicato da parte sua: non voleva imporsi».

Il lato conviviale non è affatto aneddotico ma testimonia una forte prossimità, una necessità di condividere a fondo con un autore non solo la produzione del libro ma la comprensione dell’universo che ci sta dietro. Anche quando questo non era più presente, come accade a molti degli scrittori degli anni Venti di cui Armin ha saputo rintracciare piccoli e inediti capolavori. Una tavolata potrebbe essere la metafora del lavoro editoriale di Armin Abmeier.

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Ha ancora senso sottolineare un ultimo aspetto. Il mestiere dell’editore è anche quello di ipotizzare orizzonti e scenari nuovi per i propri lettori, senza mai considerare l’editoria come un mero settore merceologico e i lettori come un bersaglio da centrare. Abmeier è stato un monolite in questo, fin dalla coraggiosa scelta di dialogare con il pubblico adulto usando il tramite dell’illustrazione per incontrare la letteratura. Ai suoi lettori non ha mai proposto niente d’inferiore al “bellissimo”, tributando loro un rispetto assoluto e mirando sempre in alto. Li ha nutriti con immagini che parlavano lingue diverse, ampliando i confini della germanicità. Molto ci sembra ancora quello che l’odierna editoria per ragazzi e l’editoria tutta, deve ancora imparare da colui che Atak aveva ben definito “l’editore più appassionato del mondo”.

Ilaria Tontardini || Hamelin Associazione Culturale

*  Testo estratto dal catalogo Tolle Hefte. Libri folli e bellissimi (Orecchio Acerbo), che accompagna la mostra omonima allestita dal 4 aprile al 5 maggio 2016 presso Palazzo D’Accursio, Sala d’Ercole – Piazza Maggiore 6, Bologna.

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