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La verità monca

“Il compito più importante che ci aspetta in questo momento è di costruire castelli in aria”

Lewis Mumford, Storia dell’Utopia

Erich Muhsam
Erich Muhsam

Non ci sono riusciti.

Gli aguzzini nazisti che volevano obbligarlo a cantare quella loro schifosa canzone. Ogni volta che gli ordinavano di cantare Das Horst-Wessel-Lied, l’inno ufficiale del Partito Nazionalsocialista, lui intonava l’Internazionale. E loro lo massacravano di botte. Poi gli intimavano di nuovo di cantare: in alto la bandiera, i ranghi ben serrati… ma lui niente, cantava l’Internazionale. E loro ancora giù botte.

Erich Muhsam nel 1934 era stato deportato nel campo di prigionia di Oranjeborg. Era stato arrestato nel febbraio del 1933 per propaganda antinazista. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1934, all’ennesima intimazione di cantare l’inno nazista, Muhsam balbetta tra i denti rotti per le botte, “wacht auf, werdammte diesen erden…”.  Lo picchiano ancora, fino a ucciderlo. Poi, per simularne il suicidio, lo sollevano e lo impiccano a una trave della latrina del campo. La tragica fine di Erich Muhsam è raccontata da Manes Sperben in uno dei due soli suoi romanzi mai tradotti in italiano: Il Roveto in Cenere (1954, Mondadori). Il protagonista di questo romanzo però non è Muhsam, ma un intellettuale tedesco rivoluzionario, di cui non ricordo il nome, che ha abbandonato, dopo la stalinizzazione della rivoluzione sovietica, l’idea comunista in cui aveva fortemente creduto e si smarrisce in un auto-esilio sospeso tra il ricordo del passato e il sogno del futuro, da cui il presente è bandito.

verdad canottiere

Mentre leggo Verdad di Lorena Canottiere (appena pubblicato da Coconino Press) quel romanzo mi torna prepotentemente alla mente. Verdad, rivoluzionaria anarchica nella guerra di Spagna, vive anche lei, dopo la vittoria franchista, in una specie di auto-esilio. Con la non trascurabile differenza che il suo esilio non è sospeso tra passato e futuro, cioè tra un prima e un dopo, ma è ben piantato con il passo degli scarponi da montagna, nel presente, cioè in un adesso che è luogo. Nel fumetto non esiste il quando, solo il dove.

Una posizione ideologica questa, elaborata da Lorena Canottiere con una struttura narrativa di presa immediata (sicuramente merito dell’uso del colore) ma di straordinaria complessità teorica, che rende il libro un momento fondamentale per districare (o complicare, che forse è pure meglio) quel discorso ininterrotto di chi sa fare fumetto sulla duplicità conflittuale di questo sistema narrativo. Il fumetto, se posso piegare su di esso un concetto che Paul Ricoeur attribuisce a tutto l’immaginario, opera necessariamente sotto la forma dell’ideologia e sotto quella dell’utopia. Nella sua natura coesistono e confliggono realtà e sua interpretazione. Mi spiego. Nel fumetto l’immagine è sia coestensiva della realtà sia alternativa alla realtà stessa. Dare più peso alla coestensione o all’alternativa è una scelta ideologica dell’autore. Autrice, in questo caso. Che fa una scelta precisissima, e ovviamente, dal mio punto di vista, condivisibile.

Ma andiamo con ordine e torniamo un attimo a Muhsam.

monte verità
Monte Verità, Ascona, girotondo dei primi vegetariani, 1910 ca. | via Artribune.it

Nel 1904 Eric Muhsam capita per caso ad Ascona, dove scopre un gruppo di persone che da quattro anni viveva in comune con l’intenzione di sfuggire all’ipocrisia della civiltà e al capitalismo. La comunità era conosciuta con lo stesso nome del luogo che occupava: Monte Verità. Inizialmente affascinato dagli ideali libertari della comunità, ci si fermerà per almeno un anno; ma se ne allontanerà presto non appena si renderà conto che l’idea di liberazione teorizzata da quel gruppo di intellettuali si esauriva nel naturismo, piegandosi a speculazioni pseudocapitalistiche costruite su «scemenze spiritiste, teosofiche, occultiste o vegetariane elevate all’ennesima potenza» (Erich Muhsam, Ascona, Monte Verità e schegge, L’Affranchi, 1989). Per i ricchi e famosi borghesi “libertari” che animavano il Monte Verità, la libertà è un fatto naturale e come tale va vissuto. Per Muhsam, che lo aveva imparato dal suo amico Gustav landauer, la libertà è un fatto sociale e più che vissuta va costruita.

Quella che cercheranno di costruire gli anarchici spagnoli a Barcellona nell’estate del 1936. La Barcellona – il “qui” del fumetto – dove si trova Verdad e dove conosce finalmente, nella bellissima sequenza della mensa, la storia del Monte Verità. La storia che è quella della sua origine. Sua madre la concepisce durante il suo soggiorno proto-hippie tra i balabiot del Monte Verità, ma Verdad crescerà nelle convenzioni della Spagna rurale degli anni Venti e Trenta.

La metafora è chiara.

Nella sua imprescindibile (in realtà un po’ datata: è del 1922) Storia dell’Utopia, Lewis Mumford sostiene che non sia chiaro se il termine utopia, di derivazione greca, venga da eutopia (buon posto) o da outopia (nessun posto). Verdad nasce, viene concepita in eutopia – la comune del Monte Verità, seppure in un’accezione borghese, era decisamente un buon posto – ma cresce e poi combatte in outopia, ovvero la Spagna pre e poi franchista.

verdad canottiere fumetto

Difficile non pensare, poi, alla condizione di chi fa fumetti oggi in Italia. Che trova le proprie origini nella produzione libertaria degli anni Settanta, si è trovato a crescere nella convenzionalità assoluta del fumetto seriale da edicola anni Ottanta e Novanta, e ha creduto nella rivoluzione dei romanzi grafici. Per restarne immobilizzato. Come Verdad dopo la vittoria franchista (e per capire chi siano a mio avviso coloro che nel fumetto italiano hanno ‘vinto’, basta buttare un occhio agli scaffali a fumetti delle librerie di varia), che resta prigioniera delle sue montagne.

Secondo Baruch Spinoza essere liberi significa agire in sintonia con la necessità. Quando si è liberi quello che si fa corrisponde esattamente a quello che va fatto. Non c’è distinzione tra teoria e prassi. Tra il dire e il vivere. Quello che accadeva nella originaria comune del Monte Verità: dove libertà e conoscenza erano strettamente legate. La libertà per il gruppo originario fondatore era cognizione precisa di come devono essere le cose. C’è corrispondenza assoluta tra libertà e verità.

A Barcellona, in quel luglio 1936, Verdad impara, grazie al giovane anarchico che, prendendo spunto dal suo nome, le tiene il discorso su chi sono i padroni della verità (sette tavole veramente bellissime), che la conoscenza non è il sapere spinozianamente come devono essere le cose (non è un caso che Spinoza piaccia tanto ai comunisti da salotto) ma come dovrebbero essere.

verdad canottiere fumetto

Questa consapevolezza di come dovrebbero essere le cose è un’esperienza di valore. Ed è questo valore che può essere chiamato verità, o se si preferisce utopia. Infatti è da questo preciso punto del racconto che Verdad assume consapevolezza di se stessa. La consapevolezza che la verità è sempre dimezzata, nel senso che quel “come le cose dovrebbero essere” si può solo tentare di realizzarlo perché, nel momento in cui diventa un “come le cose devono essere”, perde valore di utopia per diventare realtà.

Verdad perde il braccio destro. La verità è monca.

È una lotta in cui il rischio è annullarsi. Quello che capita a Verdad, che in realtà torna alla vita nel momento esatto in cui muore nell’ultimo scontro, non tanto con il fascismo, quanto con la realtà. Quello che è il conflitto interiore dell’anarchia. Il conflitto interno del fumetto.

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