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FocusIntervisteLa New York di Horses e Patti Smith. Intervista a Nicolò Pellizzon

La New York di Horses e Patti Smith. Intervista a Nicolò Pellizzon

Nicolò Pellizzon è uno degli giovani autori italiani più prolifici. Già autore di due apprezzati graphic novel (Lezioni di anatomia, Gli amari consigli) e di albi autoprodotti. Questo autunno pubblica un nuovo graphic novel per l’editore bolognese Canicola Edizioni, intitolato Horses. È un racconto ispirato a Patti Smith, alla sua figura di artista e al suo mondo newyorkese degli anni Settanta, citando sin dal titolo il primo album della cantante.

Abbiamo parlato di Horses con Nicolò, per scoprire come è nato e come lui ha lavorato al libro.

Leggi l’anteprima di Horses.

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Horses è dichiaratamente ispirato al disco omonimo di Patti Smith. Nasce da una passione personale?

Nel Settembre 2014 mi ha contattato Canicola per sapere se fossi interessato a un progetto che avrebbe coinvolto (in qualche modo che era ancora da definire) Patti Smith, in vista di un concerto di Horses a Bologna, che celebrava l’anniversario di quello famoso del 1979.

Il progetto era stata una proposta del Comune di Bologna a Canicola e avrebbe fatto parte di un calendario più ampio di iniziative. I canicoli, da veri bulli stavano per rispondere di non essere interessati a fare libri su commissione anche con la possibilità di coinvolgere Patti Smith stessa. Poco prima di rifiutare credo di essergli apparso in sogno (voglio pensare che hanno urlato il mio nome nella notte), e il giorno dopo mi hanno chiamato. In effetti io non sarei mai riuscito a dirgli di no, anche se come linea generale faccio libri che partono solo da me.

Eravamo d’accordo che prima di tutto sarebbe stata una storia mia. L’idea iniziale era uno dei loro albi in grande formato, un’opera artistica da consegnare all’eternità [ride]. Ma poi il concerto è stato cancellato e così tutto il nostro progetto, allora abbiamo ripensato anche alla forma da dare al libro. Ci piacevano le cose che avevamo in mente e abbiamo voluto farlo lo stesso.

Con alcuni nomi che aleggiano tra le pagine sono Martin (a me fa pensare a Martin Rev dei Suicide), Johnny (dalla canzone Land della Smith) , in modo indiretto, la New York punk e post punk dei Settanta si insinua sottilmente, è così?

Pensavo a quei posti di cui il giornalismo musicale dice che “c’è fermento artistico”. Tutti quelli che l’hanno vissuto, dicono che tra gli anni ’60 e ’70 si avvertiva un’energia forte e quasi palpabile. Un senso di facilità, mai sperimentato prima. Ora quelle vibrazioni non sono così evidenti, ma sono pronte a essere percepite.

Ci sono anche citazioni di musica contemporanea. È un modo per non calcare troppo sul fattore nostalgia.

Infatti il citazionismo nel 2016 non è più fico. Stranger Things è bello perché parla di infanzia e di prove da superare, non perché fa l’occhiolino ai trentenni. In giro ho messo manifesti e dischi di gruppi di amici (Black Lagoon) e della band Be Forest, che mi hanno permesso di usare una loro canzone per il teaser video del libro, che verrà pubblicato poco prima dell’uscita nelle librerie.

I due protagonisti sono particolarmente androgini, come Patti sulla copertina di Horses.

Sì, e Johnny è quello tra i due che le somiglia di più, ed è un ragazzo, mentre Patricia somiglia di più a Robert Mapplethorpe. I miei personaggi sono sempre così. Disegno quello che mi piace, e penso che le persone reali non siano sessualizzate come lo è di solito la loro rappresentazione disegnata.

Con quale criterio hai scelto i colori?

L’atmosfera è sempre il centro delle mie scelte sui colori. Alcune scene e alcuni dettagli sono determinanti in tutta la storia. Il rosa si vede nei riflessi all’alba, e nel cielo la sera. Horses è un libro che si sovrappone ai momenti di passaggio. Mentre siamo presi dai nostri casini, tornando da scuola o dalla palestra, dietro di noi c’è sempre qualcosa di spettacolare a cui prestiamo la dovuta attenzione.

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Come ti sei documentato, come hai costruito l’immaginario legato a questa avventura urbana?

Non sono mai stato a New York. E questo mi spaventava all’inizio. Non è importante – per il mio modo di lavorare – cercare scorci o fondali specifici. Ci sono documentazioni fotografiche in abbondanza. Ma in questo caso mi sembrava che molte idee, intendo anche sulla storia, mi sarebbero venute proprio vedendo con i miei occhi la gente che vive lì.

Questa città però, è diventata parte dell’immaginario collettivo. Riesce a far coesistere molte cose diverse. Basti pensare alla New York pazza di Guerrieri della notte, quella di Manhattan di Woody Allen, quella dei Ramones o di Wolf of Wall Street. È sempre la stessa, e tutto il mondo ha fatto proprie le sue diverse facce.

Le ambientazioni di New York sono ispirate a luoghi particolari? Tutto sommato non mi danno l’impressione di riprendere sempre location esatte.

Nel libro, come faccio spesso, non ci sono riferimenti diretti al contesto storico e ambientale. Penso che queste cose tolgano profondità e condivisibilità alle domande esistenziali dei protagonisti. In quei film ambientati a New York in cui un personaggio ad un certo punto dice: “Ti amo New York!”, noi non siamo partecipi come lui. Ho sempre l’impressione che tutto quello che è successo in quei film fino a quel punto possa accadere solo lì. Non penso che l’ambientazione specifica sia un buon espediente per il racconto fantastico. Mi vengono in mente i racconti di Stephen King, che sono ambientati nel Maine, ma in città che non esistono.

Il personaggio che si interessa al disco di Patti Smith è più interessata alla fotografia di Robert Mapplethorpe che alla Smith. Vale anche per te? In questo modo la storia non appare come un tributo spudorato.

In realtà credo che non sia interessata a nessuna delle due cose, ma solo ai soldi (come me, probabilmente). Non è un tributo, è stato una coincidenza felice.

Mi sono chiesto molto quali siano le cose che potrei avere in comune con la Patti Smith che tutti conoscono. Molti sono entrati in contatto con la sua musica quando erano ragazzi, e sono stati influenzati in modi difficili da razionalizzare.

Ho sempre pensato che nella sua vita, Patti Smith dia un significato magico ad alcuni oggetti, e ai segni del destino. Se da un humus di cose che ti piacciono fare riesci a farne un’altra che non c’entra ma le comprende tutte, quando ripensi al passato sei molto più attento a quei momenti insignificanti che ti hanno fatto cambiare strada. In questo senso è il libro in cui c’è molto più della mia storia personale che negli altri.

Patricia, una dei due protagonisti, continua a chiedersi quale, tra le sue qualità, possa essere il “cavallo” su cui puntare, ma non si rende conto di avere già la risposta, forse.

Non hai calcato molto sulle tematiche fantastiche ed esoteriche che contraddistinguono i tuoi racconti.

L’esoterismo di Lezioni di Anatomia è in realtà un elemento mistico e fantastico. Ed è stato così anche nei miei lavori successivi. In questo libro è la storia stessa ad avere una carica “magica”, così come le nostre vite.

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