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FocusLettering, onomatopee e calligrafia nelle 'traduzioni' da lingue orientali

Lettering, onomatopee e calligrafia nelle ‘traduzioni’ da lingue orientali

di Giada Nardozza

Torniamo a parlare di letteringproseguendo un discorso che potremmo anche sintetizzare così: scrivere di lettering significa scrivere di molte cose insieme, e capirne certe soluzioni calligrafiche ci permettete di capire, più in generale, come ‘funzioni’ il fumetto: i suoi codici, il suo lavoro editoriale, le sue opzioni creative. Mica poco, insomma.

Questa volta ci concentriamo sul trattamento riservato da alcune Case editrici (europee) a fumetti originariamente scritti in ‘altri alfabeti’: in ideogrammi, o con l’alfabeto arabo. Al centro del nostro confronto ci saranno due lavori davvero diversissimi: da un lato Nouveaux corps, versione francese di un’antologia di racconti del giapponese Yūichi Yokoyama (横山裕一), e dall’altro la versione italiana di Metro di Magdy El Shafee, considerato il primo fumetto egiziano ‘adulto’.

Due piccole storie editoriali eccezionali

Per cominciare, qualche coordinata – veloce veloce – sui percorsi non convenzionali che hanno condotto alla pubblicazione dei fumetti di Yokoyama ed El Shafee.

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Nouveaux corps è un insieme di racconti mai pubblicati dall’autore in Giappone, ma che l’editore francese ha richiesto di poter pubblicare oltralpe nel 2010, a seguito dell’apprezzamento che il pubblico francofono aveva mostrato verso altre opere di Yokoyama presenti nel loro catalogo, solo una delle quali, Il viaggio, è stata pubblicata anche in Italia, grazie a Canicola Edizioni. Va detto che Il viaggio, pure molto interessante e rappresentativo dello stile di Yokoyama, ha una caratteristica peculiare: è un fumetto cosiddetto “muto”, privo cioè di parole (testi, balloons, didascalie…) e quindi inservibile per qualsiasi ragionamento sul lettering.

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Metro, fumetto che ritrae la realtà sociale ed umana del Cairo tramite personaggi di fantasia e vicende immaginarie – ma che anticipa i moti di piazza Tahrir dai quali si sarebbe dato avvio alla Primavera Araba egiziana – è pubblicato per la prima volta in Egitto nel 2008, dalla casa editrice Malameh. Da subito viene percepito come libro sovversivo, e si ritrova censurato dal regime di Mubarak che impone, a seguito di un processo per immoralità, la distruzione di tutte le copie e il divieto di stamparne altre, multando anche editore e autore. Il fumetto viene tradotto in altre lingue e pubblicato in Europa finché, col tempo, torna recentemente ad essere ripubblicato in Egitto dall’editore Fabrica (la cui edizione è quella usata qui per il confronto).

Decodificare scritte e onomatopee ambientali

Quali sono dunque le implicazioni dell’adattamento di fumetti tradotti da alfabeti ‘altri’, dal punto di vista del lettering?

La maggior parte dei lettori europei dei fumetti che abbiamo selezionato, con ogni probabilità, non ha le competenze linguistiche necessarie per affrontare non solo la lettura di un manga in giapponese o di un fumetto scritto in un particolare dialetto egiziano, ma più generalmente per decifrare gli ideogrammi assimilabili a ‘parole’ dell’estremo Oriente o per decodificare i caratteri arabi diffusi in Medio Oriente, molto più simili alla nostra idea di lettere. Non è solo una questione di incomprensione di una lingua, insomma, ma più precisamente di incapacità di leggere una scrittura e le sue grafie o componenti ideogrammatiche. Capire il lettering, qua, richiede una doppia comprensione: quella della lingua, e quella grafico-simbolica. Ovvero, un doppio lavoro – una doppia competenza – di cui il lettore-tipo è generalmente sprovvisto.

Un lettore-tipo di manga o fumetti ‘arabi’, che si suppone avere dimestichezza con l’universo del fumetto come anche con la nostra realtà globalizzata e multiculturale, riesce comunque ad intuire che determinati ‘segni’ sulla carta corrispondono a parole. Questa pur limitata comprensione è supportata dalla competenza nei confronti dei codici fumettistici, che aiutano a cogliere un ‘senso’ anche sulla base di dove questi segni sono localizzati, siano essi in didascalie, in balloons o su oggetti interni all’ambiente ritratto in una vignetta (un’insegna, un cartello pubblicitario etc.).

A scanso di equivoci, vale la pena sottolineare un aspetto. Come nel caso dei fumetti nati in codici linguistici occidentali, anche con questi altri tipi di scrittura viene elaborata, talvolta, una resa particolarmente calligrafica di alcune porzioni del testo facente parte della narrazione. Il mestiere del fumettista, in questo senso, non cambia nonostante le diverse latitudini e culture linguistiche. E l’enfasi calligrafica, tanto nei manga quanto nei fumetti ‘arabi’, finisce per concentrarsi spesso proprio sulle scritte d’ambiente e sulle onomatopee, come vuole la più normale consuetudine dei codici fumettistici.

Nella nostra quotidianità di individui abituati a ricevere una grande quantità di stimoli visivi, talvolta la presenza nei fumetti di scritte ambientali ‘conservate’ nella lingua originale favorisce il crearsi di una più godibile atmosfera. Certo, anche la comprensibilità del fumetto deve essere il più possibile garantita, e per questo la modalità di trasposizione ottimale, ma non sempre perseguita, è quella di lasciare le scritte ambientali nei caratteri originali, aggiungendo tuttavia una traduzione collocata il più vicino possibile allo spazio grafico della scritta in questione.

Un esempio di trattamento fortemente conservativo degli ideogrammi originali si ha, solo per citarne uno, in Una vita tra i margini, traduzione italiana dell’opera di Yoshihiro Tatsumi pubblicata da BAO Publishing, in cui il redattore sceglie di conservare tutte le scritte ambientali e le onomatopee, traducendo o spiegando nel gutter, lo spazio bianco tra le vignette, quelle indispensabili alla comprensione del racconto. Lo si vede bene in queste tre vignette, dalle pagine 28 e 33:

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Esistono però casi in cui la traduzione integrale delle onomatopee o delle scritte ambientali non agisce in maniera evidente sulla tavola del fumetto. Si prenda l’esempio di Metro, fumetto che nella sua versione originale presenta una scrittura automatica – ovvero un font non manuale – nella quasi totalità di didascalie e balloons, a fronte di onomatopee e scritte ambientali fatte più spesso, sebbene non sempre, a mano. Nella pregevole versione italiana, come vedremo ora, non si trova praticamente mai un lettering manuale che non sia quello originale (quindi in caratteri arabi), e si evidenziano in ogni caso atteggiamenti diversi nei confronti proprio delle scritte ambientali e delle numerose onomatopee.

Conservare o non conservare le onomatopee? Metro versus Nouveaux corps

Vediamo di seguito alcune delle possibilità esplorate dalla casa editrice il Sirente per Metro. E partiamo dalla completa preservazione delle onomatopee originali, nei casi in cui queste abbiano un alto valore calligrafico nell’economia della vignetta o della tavola:

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La preservazione delle scritte ambientali, inoltre, opera nei casi in cui è possibile evitare una traduzione senza minare la comprensione del passaggio:

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Ma non sempre è l’approccio conservativo a vincere. Nella stessa opera di adattamento, sono presenti logiche diverse. Per esempio, la traduzione sintetica di scritte ambientali, talvolta calligrafate nell’originale egiziano, ove sia necessaria una traduzione ai fini del racconto (nel primo esempio, il solo titolo dell’articolo; nel secondo, l’insegna dell’ufficio):

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L’affollamento di segni grafici, talvolta, costringe – e consente – ad una dialettica fra le opzioni possibili, che possono convivere. Qui sotto assistiamo infatti alla traduzione delle onomatopee più importanti e alla preservazione di quelle secondarie in caratteri arabi:

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In alcuni passaggi si dà anche il caso di una totale eliminazione del ‘problema’. Ecco infatti una sequenza in cui è visibile la scelta di tradurre le onomatopee più importanti, eliminando però del tutto quelle secondarie (nell’esempio, sul volto del personaggio centrale e sopra la testa del personaggio sulla destra):

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Un’altra strategia, che potremmo definire di compromesso, è quella che vede operare la traduzione delle onomatopee in aggiunta alla conservazione di quelle originali:

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In un altro passaggio, infine, ci troviamo di fronte all’eliminazione totale (o al riposizionamento in altre battute) di porzioni di testo originariamente presentate fuori dai balloons e calligrafate:

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A valle di questo elenco di soluzioni (non esaustivo, sia chiaro) la cui eterogeneità comunque non intacca la qualità del prodotto finale, non si può non osservare quantomeno la coerenza nell’approccio a un aspetto tutt’altro che irrilevante. Si tratta della scelta di non intervenire mai ‘manualmente’ sulle traduzioni, ovvero di affidarsi – per le scritte ambientali, per le onomatopee e per il contenuto di didascalie e balloons – sempre a caratteri tipografici automatici, comunque variati in dimensioni e distorsioni di forma quando necessario.

Si registra anche, come curiosità, la qualità superiore nella versione italiana delle pagine riportanti immagini tratte da internet (cartine della metropolitana, più che altro), molto più leggibili e pulite delle corrispondenti tavole egiziane. E qui si potrebbe obiettare che una tale operazione di “miglioramento” grafico sia in qualche modo anti-filologica, e per certi versi ancora più invasiva, perché interviene sulla materia grafica non-scritturale. Tuttavia bisogna tenere bene a mente il contesto di provenienza del fumetto: una casa editrice piccola e non specializzata in fumetti, probabilmente priva di un personale grafico in grado di ‘supportare’ l’autore (che da parte sua era un farmacista autodidatta alla prima esperienza…!).

L’unico caso, a parere di chi scrive, in cui la pulizia e l’ordine della versione italiana ha un effetto depauperante per quanto riguarda la forza delle onomatopee ambientali, è quello in cui le originali vanno oltre i limiti di una vignetta e vengono ridimensionate nella versione italiana, come in questo caso:

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Esistono tuttavia altri casi, seppur decisamente più rari, in cui l’autore lavora la pagina volutamente a prescindere da quello che sarà il contenuto verbale dei balloons, che vengono comunque inseriti nelle singole vignette nella fase del disegno e non a posteriori.

Proprio su questo fronte diventa calzante l’esempio del lavoro di Yūichi Yokoyama (usando come riferimento Nouveaux corps). Durante il Festival BD di Colomiers del 2014, l’editore francese di Yokoyama parla al pubblico del metodo e approccio al fumetto da parte del mangaka. Quella di Yokoyama è una ricerca prevalentemente sulle forme e il movimento, in quello che definisce ‘nuovo manga’, per cui proprio su questi due aspetti l’autore si concentra maggiormente, relegando alle parole e ai dialoghi un ruolo marginale. L’importanza di questi è tanto secondaria da spingere l’autore a non elaborare una sceneggiatura dettagliata prima del disegno e a scegliere di disegnare, in alcune vignette, balloons di una misura e forma che vi si inseriscano bene. Egli in altre parole non calcola a priori lo spazio necessario per le parole, che risultano quindi più un riempitivo di vuoti che un mezzo di espressione, anche valutando a posteriori la trama complessiva dei racconti ed il ruolo giocato dagli scambi verbali. Ecco, a titolo di esempio, qualche vignetta dalla pagina 17:

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L’effetto di inadeguatezza dei balloons al contenuto verbale si otterrebbe, con la traduzione, anche a causa del passaggio dagli ideogrammi ai caratteri tipografici, e indipendentemente dalla scelta di un lettering manuale o automatico. Senza peraltro che questo infastidisca l’autore, che concede alle Éditions Matière il permesso di pubblicare in Francia la sua opera senza farsi alcuno scrupolo ‘filologico’ nemmeno per quanto riguarda la colorazione delle copertine, dando una sorta di carta bianca al curatore. Per essere più precisi, in questo caso specifico, tavole giapponesi complete di testo anche nei balloons non esistono, avendo l’autore inviato all’editore europeo inizialmente solo le pagine mute, eccezion fatta per le onomatopee, e in un secondo momento, quando si è presentata l’occasione di comporre un’opera inedita direttamente in francese, i testi da inserire negli spazi.

In questo caso, se si cercasse di colmare lo spazio dentro ogni nuvoletta o se si volesse dare ai caratteri da inserirvi una veste armonica rispetto ai disegni, con buone probabilità si tradirebbe lo spirito dell’opera pensato da Yokoyama, che proprio su altri elementi del fumetto vuole concentrare l’attenzione e che realisticamente vive in maniera conflittuale il rapporto con i codici fumettistici pre-esistenti, essendo la sua ricerca in qualche senso avanguardistica e spesso antinarrativa.

Tuttavia, quando le parole pronunciate dagli individui e il linguaggio umano perdono il loro protagonismo nella significazione dell’opera e nell’azione, altre manifestazioni sonore strettamente codificate e classicamente legate al fumetto acquisiscono una grande centralità nel concorso alla qualità estetica della pagina: le onomatopee. Di seguito vediamo due strisce sature di enormi onomatopee che si sviluppano sulle pagine 44 e 45, ovviamente da leggere da destra verso sinistra, e che nella versione non originale sono tradotte in piccoli caratteri per permettere anche al lettore francese di figurarsi i suoni prodotti dagli esistenti nel mondo narrato. Vediamo anche, en passant, come un ulteriore aspetto dell’avanguardismo di Yokoyama sia quello di non pensare a realizzare tavole adatte ai formati standard di impaginazione, che quindi vengono sovente rimaneggiate in vista della pubblicazione.

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Di fronte a questa forte differenziazione nel trattamento di parole e onomatopee, vediamo come il fumettista giapponese sia, ancora una volta, ossessionato dalle forme e dal movimento nella creazione delle vignette, dove talvolta la figura umana e le sue azioni sono messe decisamente in secondo piano proprio dall’imponenza delle onomatopee come anche dall’abbondanza delle linee cinetiche. L’impressione è che, esattamente come i balloons visti sopra, disegnati a prescindere dal loro contenuto verbale, l’apporto di onomatopee e linee cinetiche sia in prima istanza calligrafico e che quindi, se per tradurre scambi verbali di poca importanza si può ricorrere ad un lettering qualunque, la centralità delle onomatopee le rende insostituibili (permettendo tutt’al più di inserire nella tavola i microscopici corrispondenti in caratteri occidentali, in questo caso nelle vignette, il più vicino possibile all’onomatopea corrispondente, piuttosto che nel gutter).

In conclusione, se da una parte una totale fedeltà alle tavole originali (ovvero senza l’inserimento in piccolo della traduzione delle onomatopee) pregiudicherebbe la piena comprensione al lettore occidentale, in alcuni casi una traduzione sia delle parole contenute nei balloons che delle onomatopee stravolgerebbe a tal punto la pagina da privarla della sua armoniosità e quindi impedirebbe al lettore di avere un’esperienza estetica sufficientemente appagante (o, persino, compiuta).

Questa intuizione deriva, oltreché dalla variabilità, in termini di colorazione, delle onomatopee (lasciate bianche, colorate di nero o riempite, tramite l’uso di retini, di svariate fantasie), soprattutto dalla diversità grafica degli ideogrammi rispetto ai caratteri occidentali. Il che implica che un’esperienza di lettura decisamente diversa da quella che facciamo ‘noi’ (francesi, italiani, inglesi) possa essere esperita dai lettori giapponesi.

Tradurre lettering ed effetti collaterali: l’esotismo grafico

Una conclusione in qualche senso prescrittiva di tutto questo discorso, a vantaggio dei lettori, potrebbe essere che gli editori di fumetti che vogliano offrire delle buone traduzioni al loro pubblico dovrebbero sempre interrogarsi sulle caratteristiche grafiche e calligrafiche delle opere originali, anche a partire dal lettering. E questo senza mai dimenticare che, per i fruitori occidentali, opere composte in lingue orientali e mediorientali mantengono necessariamente un ‘effetto grafico esotico’, causato dal fatto che, in presenza di onomatopee immodificabili, contenuti verbali vengono goduti graficamente, essendo le parole valutate per il loro contributo decorativo piuttosto che per il loro apporto linguistico.

Diciamo meglio: volendo accostare a Nouveaux Corps anche il caso di Metro, pure aldilà delle sostanziali differenze già sottolineate, ciò che fumetti di questa provenienza geografica hanno in comune è che, in pratica, è come se i lettori occidentali, a differenza di quelli orientali e medio-orientali, leggessero anche le onomatopee e alcune scritte ambientali come ‘disegni’ piuttosto che come suoni o parole. Da questa fruizione deriva una conseguenza importante: leggere le onomatopee ‘alla occidentale’ potrebbe addirittura sovraccaricarne l’iniziale portata estetica, che da calligrafica diventa grafica, subendo in fin dei conti uno spostamento semantico da un codice comunicativo (quello linguistico) all’altro (quello grafico). E questo è uno spunto interessante, sicuramente da approfondire.

Ringraziamenti

La non semplice reperibilità dei materiali originali mi obbliga a ringraziare chi li ha resi gentilmente disponibili. Grazie quindi alla Casa editrice francese Éditions Matière, in particolare a Laurent Bruel che si è prestato ad un lungo carteggio telematico; alla Casa editrice Il Sirente, in particolare a Chiarastella Campanelli che ha fatto da mediatrice; e a Magdy El Shafee, per aver portato una copia del suo fumetto dall’Egitto in Italia. Oltre ad affiancare la versione francese di Nouveaux Corps e quella italiana di Metro, infatti, per una trattazione filologicamente corretta è stato necessario reperire le tavole originali di Yokoyama e dell’ultima versione egiziana dell’opera di El Shafee. Infine, un grazie anche a BAO Publishing, per avere autorizzato la citazione delle vignette relative a Una vita tra i margini.

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