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RecensioniNovitàTi prego, rispondi: magari un’altra volta

Ti prego, rispondi: magari un’altra volta

Mi hanno sempre affascinato le power couple dei fumetti, perché la maggior parte delle volte non lo sono affatto e la parte di power finisce per rimanere nella metà maschile. Non parlo delle qualità professionali ma solo delle occasioni che le fumettiste di quelle coppie hanno avuto. Dove sarebbe Kelly Sue DeConnick senza l’avvallo di Matt Fraction? Chi si sarebbe filato di pezza Meredith Finch – arrivata a scrivere Wonder Woman da quasi esordiente – se non fosse stata la moglie del ben più noto disegnatore David Finch?

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Kathryn e Stuart Immonen ricalcano in parte questo schema. Canadesi, si conoscono al college, lui è il primo che riesce a farsi una carriera, insieme realizzano due fanzine e qualche fumetto – il più memorabile: Moving Pictures, la storia tra un ufficiale nazista e la curatrice di un museo – ma il gorilla da 800 libbre resta Stuart, che diventa nome di punta e raccomanda la moglie in Marvel facendole scrivere una serie di progetti non proprio di alta fascia (tipo Runaways quando aveva smesso di essere Runaways). Kathryn sembra guardare al mainstream come a un modo più facile di fare cassa rispetto ai lavori autoriali, ma non nutre una reale passione a riguardo. Stuart è bravo in quelle cose coi costumi, può andarci lui in trincea, io voglio fare dell’arte vera.

Ti prego, rispondi, il più recente lavoro della coppia, è la rappresentazione di questa dinamica. Un po’ perché in America è uscito per i tipi di AdHouse Books, una casa editrice di nicchia che si autoproclama “The Boutique Juggernaut” (in Italia lo ha tradotto Bao Publishing), un po’ per il tipo di prodotto che offre. Durante la presentazione del fumetto a SPX, prima Kathryn e poi Stuart si sono messi a piangere raccontando la storia (a 33:04 lei, a 38:54 lui). Li invidio perché sono riusciti a fare qualcosa che non mi è mai capitata durante tutta la lettura: provare delle emozioni.

In Ti prego, rispondi non succede nulla. Olive è una ricercatrice (di arte, forse di storia o geologia, non ci viene detto) che parte per degli studi in un luogo non precisato (Europa dell’est/Russia, viene citata la chiesa di San Vladimiro). Ad aspettare il suo ritorno c’è il compagno Red, uno scrittore, probabilmente un critico d’arte, di sicuro scrive di mestiere. Durante il viaggio, Olive precipita nel bel mezzo del nulla, in un paesaggio non dissimile dalla taiga.

Il resto del fumetto è speso per raccontarci i rispettivi vagabondaggi, quello della donna in mezzo alla neve e quello dell’uomo tra il cemento della città, in attesa del ritorno di lei. Fine, stop, kaput. Lei che cammina tra gli alberi citando Checov, lui che si fa venire il blocco dello scrittore, porta fuori il cane, si rannicchia negli angoli domandosi se la sua amata sia viva. Il problema principale del fumetto è la costante incertezza attorno ai personaggi. Cosa fanno? Boh. Chi sono? Vallo a sapere. Cosa pensano? Impossibile dirlo. Per una storia che dovrebbe poggiare sui due caratteri, un problema non da poco.

Si intravede che questo vuoto pneumatico dell’azione cerca disperatamente di dire qualcosa sulla condizione dei personaggi o su qualche tematica non ben identificata, il problema è che la storia gioca talmente tanto di sottrazione che si dimentica di fornire gli elementi minimi di una libera decodifica.

Il lettore è investito da una frustrazione continua. Un po’ perché Olive e Red sono due esseri umani estremamente poco interessanti, risibili nel modo con cui affrontano i loro problemi che pure sono, in entrambi i casi, di una certa entità. Non fanno niente che abbia un qualche pragmatico valore. Lui non si mette a cercarla e lei non fa nulla di sensato per sopravvivere. Nel caso di Olive, però, questa insensatezza nelle azioni trova ragione nel segreto-non-segreto dell’opera (lo si capisce quasi subito quindi non è spoiler): Olive è morta e quella che esce senza graffi dall’aereo è il suo fantasma, impegnato a raggiungere la sua meta («Tornerò sempre a casa», dice nelle prima pagine).

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La poveretta è affetta da intertestualità acuta, una grave patologia che la porta a parlare per citazioni (Il gabbiano e L’isola di Sachalin di Checov, Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare ma anche la canzone popolare Buffalo Gals). Da questo punto di vista, Rispondi, ti prego è come The Martian, se Matt Damon fosse un umanista che vive la letteratura dal lato sbagliato della vita. Gli Immonen non le danno niente di interessante da fare e il viaggio della ragazza si riduce a dei giochi visivi che sarebbero stati meno tediosi da vedere se fossero stati muti (il fagotto di cose della sua vita trascinato per tutto il tempo che poi si rompe, lei che si rifugia nella grotta).

E vabbè, il percorso metaforico ma assolutamente inutile di Olive sembra giustificato dalla sua natura ultraterrena. Ma allora Red perché non fa nulla («Mi hanno detto che non c’è nulla che possa fare»), paralizzato come le eroine di James Joyce? Sta lì, ai limiti dell’autistico, a parlare col cane, a rigirarsi nel letto, a fare tutto tranne cose magari altrettanto inutili ma più catartiche – tipo attivarsi in prima persona per ritrovarla. Non è chiaro nemmeno il rapporto che hanno questi due. Da come si comporta lui sembra che stiano insieme da molto, ma nelle prime scene Olive cerca la maglietta coprendosi con le lenzuola quasi in procinto di intraprendere una walk of shame.

La Immonen ribadisce le pretese metatestuali inserendo citazioni in calce ai capitoli e riempiendo ogni elemento a disposizione di doppi significati (il titolo originale, Russian Olive to Red King, rimanda ai due protagonisti, a due colori e a due specie di olivi boeri) che però non portano a nessuna lettura alternativa sul rapporto tra i due. L’edizione italiana accentua questa sensazione traducendo il titolo in quella che pare un’inversione del carveriano Vuoi stare zitta, per favore?. Solo che il minimalismo egoista di Carver, che non concede mai nulla al lettore e non gli leva nemmeno la più piccola delle soddisfazioni, qui si fa tedio insopportabile. Un fastidio fisico che raggiunge l’apice a due terzi del fumetto, quando la storia vera e propria finisce e inizia una parte di prosa incomprensibile che unisce ricordi famigliari e la morte dell’elefante Jumbo, in cui capiamo (se c’è altro da capire fatemelo sapere perché io proprio non c’ho ricavato altro) che Red, libero dall’ansia del lutto, è riuscito a scrivere il pezzo che il suo editore continua a chiedergli. Sono pagine irritanti, degne del peggiore postmodernismo, accompagnate da una sequenza di foto di vetrate rotte che poi si rivelano essere la facciata di una fabbrica in cui Red è andato col cane a tirare sassi.

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In tutto questo, sicuro come il sorgere del sole, Stuart Immonen è il solito professionista. Colma i vuoti della scrittura (dalla prima vignetta il volto contrito e imperturbabile di Red ci dice che ha qualche problema di comunicazione) e, spogliato dei colori ultra patinati di Marte Gracia, il suo colorista di fiducia, dipinge le tavole di toni piatti, quasi sempre aranciati per Red e freddi per Olive, in due perenni ore d’oro e blu, rispettivamente. E racconta lo spegnersi della loro relazione con due immagini avvolte in un azzurro gelido, mentre il calore scompare dalla pagina (un falò che si spegne lentamente, la porta di frigo che si chiude).

Bellissimo da guardare, Ti prego, rispondi è freddo come il marmo. Sembra che si siano messi in testa di fare un fumetto astruso per il gusto di farlo, invece di fare un fumetto e basta, preoccupandosi alla fine di valutare cosa si ha prodotto. Un parto artsy fartsy di due autori che probabilmente hanno perso ogni distacco critico (si parla di sei anni di lavorazione) dalla loro opera e ci sono rimasti sotto.

Ti prego, rispondi
di Kathryn e Stuart Immonen

Bao Publishing, 2016
176 pagine a colori, € 19,00

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