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Focus50 anni di Storia del West: Scrivere disegnando

50 anni di Storia del West: Scrivere disegnando

Il mestiere del narratore per immagini è rimasto a lungo in una dimensione artigianale, in cui i saperi e le competenze si trasmettevano esclusivamente in studi e botteghe o per frequentazione comune. La professione del fumettista si è consolidata un po’ per volta, con lo sviluppo di tecniche e metodi funzionali ai processi di stampa, questi invece di tipo industriale. Ogni parola e ogni tratto avrebbero dovuto trasmettere con chiarezza la storia e i valori immaginati dagli autori e progettati dagli editori. Ci sono tanti generi di fumetto, ognuno con i suoi tempi e i relativi processi. La realizzazione materiale di una tavola nel formato bonelliano richiede sempre come minimo una giornata. Le abitudini pattuite con i lettori che si aspettano ormai da decenni un centinaio di pagine al mese hanno reso necessaria un’organizzazione del lavoro creativo.

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Gino D’Antonio e Renzo Calegari non avrebbero potuto realizzare da soli la Storia del West, una volta deciso di far evolvere il progetto originale in una serie tipicamente bonelliana. Fu creata quindi una piccola squadra di autori, coordinata dallo stesso D’Antonio. Lavorando tutti in città diverse, si risolse il problema della comunicazione tramite l’invio non solo delle classiche sceneggiature ma anche di layout che D’Antonio schizzava per definire al meglio inquadrature e posture dei personaggi. Di tutto questo lavoro non si aveva alcuna notizia particolare, sino a quando, qualche anno fa, il nostro amico e collezionista Marco Cortellazzi riuscì a ritrovarne una parte. Cortellazzi già in passato aveva recuperato documenti preparatori e versioni a matita relative alla serie di Dylan Dog e in particolare del primo numero. Il suo fiuto per questo genere di reperti ha consentito questo nuovo importante ritrovamento, che racconta così:

«Tutto ebbe inizio circa sei anni or sono, quando iniziai a intervistare il Maestro Tarquinio, intervista che è diventata una lunghissima conversazione che dura ancora oggi, e che mi ha reso suo umile collaboratore e depositario di incredibili avventure e memorie. Non ringrazierò mai abbastanza Dio per avermi dato quest’uomo, ma soprattutto questo grande artista come amico (ma non su Facebook). Dovete sapere che nonostante l’altissima qualità tecnica delle sue tavole disegnate, la sua vera passione per la vita non è stata il fumetto ma la pittura e l’incisione. Il mattino si dedicava alla produzione delle pagine originali, tra gli altri, per Gino Casarotti, per lo Studio D’Ami, per la famiglia Bonelli, per il Vittorioso, per il Giornalino eccetera. Il pomeriggio invece era dedicato a vivere la Sua Arte. L’Arte è nella realtà un fatto espressivo, ma per Sergio è il solo mezzo che ha di comunicare agli altri tutto quello che di suo è pensiero e concetto estetico. Naturalmente, tradurre il pensiero in forma grafica non è da tutti. Occorre che questo concetto della forma espressiva diventi modulo pratico, e per far sì che diventasse tale, Sergio ha impegnato tutta la sua vita. Proprio per contenere i legni delle sue incisioni, unti e sporchi di pittura, utilizzava quello che gli capitava sotto mano: giornali, fogli di riviste, carta straccia, e… I LAYOUT DI GINO D’ANTONIO!!!

Metabolizzato l’orrore provato come collezionista e appassionato,  devo riconoscere che in passato non c’era il culto per gli originali e molti autori non davano loro alcun peso. Lo stesso Gino diceva ai suoi collaboratori Polese e Tarquinio di disfarsene. Polese ne tenne poco più di una dozzina per documentazione nella propria corrispondenza (recuperati grazie al figlio Lello, che ringrazio). Tarquinio li utilizzava invece per avvolgere i suoi “caspita” di legnetti!

Durante una nostra conversazione, a un certo punto disse: “Ma lo sai che Gino mi mandava delle scarne sceneggiature appena accennate, ma le accompagnava con dei dettagliatissimi schizzi…”. Mi si aprì un mondo. Recuperati in maniera avventurosa (Indiana Jones al confronto appare uno di quei pivelli tanto nominati da Fonzie nella serie televisiva Happy Days) sono oggi qui e per sempre (come promesso dalla tecnologia) per gli occhi di tutti gli appassionati di fumetti o per il semplice sguardo di un curioso lettore, con il loro fascino senza tempo.»

In Italia non c’è ancora un approccio museale verso il fumetto. L’iniziativa e la passione di associazioni e privati ha consentito di recuperare e custodire materiale importante. Ma il supporto pubblico verso iniziative di questo tipo avviene al massimo a livello locale (penso al nostro Centro Fumetto di Cremona o al Wow di Milano, in attesa che riprenda il percorso del Museo di Lucca). Eppure, la ricerca e la conservazione di questi documenti è importantissima per poter riconoscere uno dei nostri più importanti prodotti Made in Italy: il fumetto. Per fortuna ci sono persone come Cortellazzi, capaci non solo di investire tempo e risorse personali, ma anche di condividerne con tutti i risultati raggiunti.

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Un layout di D’Antonio per la storia “Vento d’autunno” (Collana Rodeo n. 141 – Storia del West n. 59, marzo 1977), disegnata da Tarquinio.

Qualche notazione va spesa su quanto possono rivelarci questi layout a un primo esame, nonostante le condizioni di conservazione ne abbiano spesso compromesso la comprensibilità. I layout destinati a Tarquinio sono molto più sommari rispetto a quelli inviati a Polese. Probabilmente le capacità di composizione della tavola che possiamo riconoscere a Tarquinio, capacità derivanti dal parallelo lavoro nel campo della pittura, permettevano a D’Antonio di limitarsi a una definizione grafica minima, seppur straordinariamente chiara. Il mestiere di Polese aveva invece un retroterra diverso. Non era una questione di fiducia, preso atto dell’amicizia veramente stretta che li legava, ma proprio di garanzia del raggiungimento del risultato atteso. Ecco quindi che questi altri layout tendono quasi ad assomigliare a delle matite preliminari. In entrambi i casi, le tavole finite rispondono veramente in modo notevole alle indicazioni dello sceneggiatore.

La scrittura di D’Antonio è molto autorevole e riesce a permeare in modo efficace le interpretazioni grafiche dei vari disegnatori, che evidentemente condividono l’estetica e il tono del progetto generale.

Se, per esempio, paragoniamo D’Antonio a Gian Luigi Bonelli, vediamo come nel caso del creatore di Tex prevalga l’attenzione verso l’azione e il suo svolgimento, in una logica di racconto lineare, figlia del formato a striscia. Quel Tex è un film di carta nel quale le singole vignette vedono agire i personaggi già immersi nell’azione, in funzione dello svolgimento di una storia tutta inventata e da scoprire. Invece nel caso della Storia del West il finale è già scritto e noto. Possiamo solo osservane lo svolgimento, prendendo atto dell’amara morale. Ecco allora che ogni tavola (e non striscia) ha una funzione diversa: far entrare i personaggi nella storia e consentire a noi lettori di immedesimarci nei componenti della famiglia Mac Donald, condividendone le vicende dal loro punto di vista, che è quello dell’autore. In molte vignette, la disposizione dei personaggi è costruita in modo da farli entrare e uscire lateralmente, facendo convergere lo sguardo del lettore verso il centro. Inoltre prevalgono le pose enfatiche, che spesso dominano le tavole estendendosi in vignette verticali o diventando quasi delle splash page nel caso dei gruppi. Il lettore può quindi apprezzare le dettagliate caratterizzazioni, la fattura degli abiti e l’aspetto degli oggetti, per esempio le armi. Visto il gran numero di personaggi storici, la loro rappresentazione è importante per dare credibilità a trame che comunque non rinunciano alla fantasia delle situazioni.

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Un layout di D’Antonio per la storia “Le città silenti” (Collana Rodeo n. 85 – Storia del West n. 37, giugno 1974), disegnata da Polese.

Su questo versante spicca ancora una volta il lavoro di Sergio Tarquinio, capace di realizzare primi piani di straordinaria intensità. Penso in particolare a come ha ritratto alcuni celebri capi indiani come Geronimo e Nuvola Rossa, regalandoci momenti intensi.

Oltre ad allestire l’esposizione di questi documenti, abbiamo voluto anche rappresentare il poderoso lavoro di D’Antonio, recuperando dal fondo della famiglia depositato presso la Sergio Bonelli Editore pubblicazioni, dattiloscritti e schizzi. Quando non esistevano ancora google e wikipedia, persone come D’Antonio si procuravano libri in lingua originale e costruivano archivi di articoli e fotografie accuratamente suddivisi per tema. Un lavoro certosino, portato avanti con passione e competenza, che si è tradotto in un centinaio di cartellette riboccanti di documentazione su argomenti storici, scientifici e di costume. Abbiamo trovato anche la sua macchina per scrivere, i tanti premi ricevuti durante la sua lunga carriera e il progetto di prosecuzione di Storia del West… Gino D’Antonio aveva progettato un seguito incentrato sulla nuova dimensione globale che il concetto di Frontiera aveva assunto per gli americani. Conquistato e normalizzato, con le buone e le cattive, l’Ovest, sarebbe toccato ora al resto del mondo. Ancora una volta i protagonisti sarebbero stati i MacDonald: Ben, diventato vedovo (decisamente sfortunato in questo ambito…), avrebbe continuato a condurre la fattoria di famiglia, assieme alla figlia Patricia; Brett avrebbe fatto carriera nell’esercito come ufficiale; Bill Adams e Belinda Hall si sarebbero messi in politica.

Il progetto aveva una sua logica. Ma così come era tramontato il West reale, in quegli anni sembrava che anche quello immaginario dei fumetti fosse ormai giunto al crepuscolo. Invece, tutt’oggi Tex cavalca ancora, Zagor lancia la sua scure e le gesta e i valori dei MacDonald riescono a emozionarci come cinquanta anni fa.

Questo articolo è tratto dal catalogo della mostra “Storia del West 5oesimo”, a cura di Anafi in collaborazione con Collezionando, Centro Fumetto Andrea Pazienza e If Edizioni. La mostra sarà visitabile dall’11 al 26 marzo 2017 a Cremona, presso Santa Maria della Pietà.

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