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FocusIntervisteUn monumento all'eros. Intervista a Milo Manara

Un monumento all’eros. Intervista a Milo Manara

Dopo quasi cinquant’anni, Milo Manara si è riaccostato all’arte con cui è cominciata la sua parabola professionale e creativa: la scultura. Lo scorso 28 settembre, infatti, nella piazza antistante il museo del cinema di Saint-Tropez, recentemente ricavato da una dismessa gendarmeria, è stata inaugurata una statua in bronzo realizzata sulla base di un disegno firmato dallo stesso Manara e ritraente Brigitte Bardot, che quel giorno ha compiuto 83 anni.

Manara non si è limitato a concepire l’immagine su cui è stato poi modellato il monumento: ha supervisionato scrupolosamente la creazione dell’opera, recandosi più volte nel laboratorio di Pietrasanta in cui gli scultori Liber Milian Garcia e Roberta Castellani l’hanno materialmente prodotta.

«Tutto è nato dalla volontà della Bardot di promuovere un’iniziativa imperniata su di sé che potesse finanziare la sua fondazione a favore degli animali. Siccome da tempo non si fa più fotografare», spiega Manara, «ha pensato di ricorrere a degli acquarelli e mi ha così incaricato di eseguire una serie di suoi ritratti da mettere in vendita: io ne ho fatti 25. Dopo poco il Comune di Saint-Tropez ha deciso di dedicare a Brigitte, a cui deve buona parte della propria fama, una statua, e a quel punto è stata proprio lei a volere che a occuparsi del disegno preliminare fossi io. Le ho fatto avere una serie di proposte e lei ha scelto quella che le è piaciuta di più».

Una selezione di queste illustrazioni è tra i piatti forti della ricca mostra bolognese Nel segno di Manara, organizzata dal Gruppo Pallavicini e da Comicon e attualmente in corso di svolgimento, per la cura di Claudio Curcio, presso il Palazzo Pallavicini di Via San Felice, dove la si potrà visitare fino al 21 gennaio 2018.

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La statua di Brigitte Bardot a Saint Tropez | Foto © Comicon

Come mai, poco più che ventenne, ha iniziato la sua carriera praticando la scultura?

Perché alla fine degli anni Sessanta gli scultori erano gli unici che, avendo bisogno di assistenti a differenza dei pittori, potevano far lavorare un giovane di belle speranze come me.

Con chi ha collaborato?

Con Mario Salazzoli, che ho aiutato a realizzare il monumento ai caduti di Cefalonia collocato nel Parco dei Bastioni di Verona, e con Gino Bogoni, assieme al quale ho lavorato al calco della statua di Tito Livio di Arturo Martini presente nell’università di Padova. Successivamente sono stato assistente, durante il suo periodo veronese, dello spagnolo Miguel Berrocal, per il quale però non modellavo né scolpivo ma realizzavo disegni.

A quale scopo?

Berrocal è famoso per le sue sculture smontabili, composte da centinaia di pezzi a volte anche molto piccoli e fatti talora di materiali preziosi. A ogni opera era accluso un manuale di istruzioni per montarla e io disegnavo appunto questi libretti.

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Manara tra la folla durante l’inaugurazione della statua dedicata a Brigitte Bardot | Foto © Comicon

E i fumetti?

Mi incuriosivano ma non ne ero mai stato un lettore, perché a casa mia, per imposizione di mia madre che era una maestra all’antica, erano di fatto proibiti. Il poco che conoscevo lo avevo visto fugacemente nelle abitazioni di amici. La scintilla vera e propria è scoccata per merito di Berrocal, anzi della sua moglie di allora, che era francese e si faceva mandare da Parigi le principali novità editoriali: tra queste notai la Barbarella di Jean-Claude Forest, che mi fece innamorare del fumetto grazie alle sue tematiche fantascientifiche e ai momenti sexy.

Come è divenuto un fumettista?

Per guadagnare qualche soldo, allora tutto pensavo tranne che i fumetti sarebbero stati il mio mestiere. Nel 1969 iniziai a far vedere in giro alcuni miei disegni in bianco e nero fino a che un editore di Milano, Furio Viano, non decise di affidarmi la versione a fumetti di un fotoromanzo per adulti di buon successo, “Genius”, che era poi uno dei tanti epigoni di Diabolik. Così è cominciato tutto.

© Milo Manara e Millon, via Actualitté
Brigitte Bardot ritratta in uno degli acquerelli di Milo Manara

Da allora sono passati quasi cinquant’anni: il fumetto gode oggi di una diversa considerazione?

Direi di sì. In Italia (in Francia non ce n’era bisogno) sono stati fatti grossi passi avanti, basti pensare alle tre candidature al Premio Strega che ultimamente sono state riservate ad altrettanti graphic novel. Molto del merito va attribuito a intellettuali come Oreste del Buono, Umberto Eco e Federico Fellini, che hanno sempre dimostrato il loro apprezzamento per il fumetto, dichiarandolo pubblicamente. Vorrei poi sottolineare l’opera di divulgazione portata avanti in televisione, da più di trent’anni, dal mio amico Vincenzo Mollica.

Attualmente legge fumetti? È aggiornato su quel che esce?

Con il passare degli anni, riservando la dovuta attenzione a quello che veniva realizzato dai miei colleghi, mi sono sempre più reso conto delle potenzialità del fumetto: ritengo che in certi periodi, per esempio tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, con esperienze come quelle degli Humanoïdes Associés, di Frigidaire e del Gruppo Valvoline, sia stato il fumetto a esprimere le proposte artistiche in assoluto più significative. Ormai mi sento di dire che chi non legge i fumetti non sa cosa si perde. Questo mio aggiornamento rispetto all’operato altrui, che è attività assolutamente piacevole, prosegue ancora adesso. Autori come Gipi e Zerocalcare mi sembrano interessantissimi.

Lei è anche autore di testi critici su altri fumettisti. Ricordo per esempio un suo scritto molto acuto, davvero centrato, su Andrea Pazienza.

Non dico di essere diventato un esegeta, ma se mi chiedono un contributo critico e ho stima dell’autore di cui si parla, o addirittura l’ho conosciuto personalmente come nel caso di Pazienza, non mi tiro indietro.

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A proposito dei suoi rapporti personali e delle sue collaborazioni con alcuni dei maggiori artisti del Novecento, come è riuscito a convincere Fellini a mettere mano a una versione a fumetti di un film che lui considerava in un certo senso “maledetto”, tanto da non averlo mai portato a termine, Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet?

Fellini si è persuaso in seguito all’ottima accoglienza ricevuta dal nostro precedente lavoro fumettistico, Viaggio a Tulum. È vero che molti spunti del Mastorna erano stati mano a mano riversati in altri suoi film, ma a Federico evidentemente era rimasto questo tarlo nella testa e a un certo punto – malgrado il sensitivo Gustavo Rol, cui lui prestava molto ascolto, lo invitasse da sempre ad accantonare il progetto – deve aver ritenuto, confortato da Vincenzo Mollica e da me, che fosse giunta l’ora di liberarsi da questa specie di superstizione. Poi, misteriosamente, è successo che sull’ultima tavola della prima parte della storia, uscita nel 1992 sulla rivista Il Grifo, diretta da Mollica, sia comparsa, non si è mai capito inserita da chi, la scritta “End”. A quel punto, anche in seguito al fatto che il suo amico scrittore Ermanno Cavazzoni, fuorviato dall’erronea indicazione, gli aveva telefonato per dirgli che quello era un ottimo finale, Fellini scelse di non andare più avanti. E alla fine il Mastorna si rivelerà davvero il suo ultimo lavoro, dato che morirà nel 1993 senza avere realizzato altro.

Avevate altri progetti in cantiere?

Sì, ce n’era uno a cui Fellini si sarebbe voluto dedicare una volta archiviato il Mastorna. Lui aveva una scorta di storie, spesso rimaste fuori da film precedenti, a cui era solito attingere. E quando le trasformava in sceneggiature era estremamente accurato, arrivava a produrre dei veri e propri storyboard.

Quale sarebbe stato l’argomento di questo nuovo fumetto?

Posso dire che riguardava i segni zodiacali.

Esisteva anche un terzo progetto con Hugo Pratt, dopo L’estate indiana e il Gaucho.

Prima di tutto ci sarebbe dovuta essere la seconda parte del “Gaucho”, con protagonista il tamburino Tom Brown e incentrata sulla ricerca della Città dei Cesari, un luogo leggendario che si troverebbe in Patagonia e, come El Dorado, nasconderebbe immensi tesori. Varie spedizioni hanno provato davvero a rintracciarla, ma ovviamente sempre senza successo. Terminato il “Gaucho”, l’intenzione di Hugo era di fornirmi una sceneggiatura riguardante un prigioniero celta che veniva portato a Roma e diventava un gladiatore. Tutto questo molto prima del famoso film di Ridley Scott.

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Oggi con quale artista italiano le piacerebbe collaborare? Butto lì un nome: Paolo Sorrentino?

Perché no? È sicuramente il nostro regista con la sensibilità più vicina a quella di Fellini. Di progetti comuni ho parlato anche con Gabriele Salvatores, che com’è noto ha un occhio di riguardo per i fumetti, e con Maurizio Nichetti. Mi piace lavorare con gli altri e questo genere di incontri è sempre molto fecondo.

Il fatto che la pornografia, per mezzo della rete, sia diventata un vero e proprio fenomeno di massa ha tolto all’erotismo la sua carica dirompente? Oppure, visto che siamo in un’epoca di integralismi religiosi e nuovi oscurantismi, il sesso mantiene una sua forza e un suo ruolo sociale?

In effetti l’impressione è che Internet abbia, per così dire, limato le unghie all’eros, diminuendone la capacità di incidere a livello della mentalità e del costume. Ma è anche vero che questo periodo, per le ragioni che diceva lei, può rivelarsi uno spartiacque, consentendo all’erotismo (e alla sua rappresentazione) di recuperare la propria componente eversiva. Ad ogni modo la battaglia si combatte sul piano dei pubblici comportamenti, non su quella della fruizione privata di immagini sessualmente esplicite. Tutti i dati riportano che i maggiori consumatori di pornografia on line risiedono in Paesi asiatici.

Lei ha affermato che un’opera di fantasia, qualunque sia il suo contenuto, non dovrebbe mai essere censurata. Eppure dalle ultime edizioni del suo fumetto più celebre, Il gioco, ha fatto togliere tre tavole particolarmente scabrose poiché vi compare un minorenne.

La questione è stata dapprima sollevata dall’editore, perché quella di cui parliamo, come le successive, è un’edizione rivolta non a pochi appassionati bensì a un pubblico molto vasto. Io ci ho riflettuto su e ho poi accettato senza particolari problemi. La mia intenzione, quando ho realizzato “Il gioco”, era quella di rappresentare un ventaglio di perversioni per mostrare come una signora all’apparenza bacchettona, se sottoposta a certi stimoli, potesse addirittura scendere i gradini della dignità. Resto dell’idea che tutto sia rappresentabile e che la censura, se parliamo di disegni o di descrizioni compiute con le parole, ossia senza il coinvolgimento di esseri umani, non dovrebbe mai essere applicata a nulla e in nessun campo. Ciò detto, mi rendo però conto che la sensibilità collettiva nei confronti di determinati temi è alquanto mutata negli ultimi anni e allora, visto che l’eliminazione di quella sequenza non danneggia in alcun modo lo sviluppo narrativo o il ritmo della storia, ho ritenuto non valesse la pena correre il rischio di incappare nelle maglie della legge per tre tavole che io per primo non reputo certo artisticamente imprescindibili.

Celentano visto da Milo Manara.
Celentano visto da Milo Manara.

Cosa si sa della serie animata Adrian, ispirata a Celentano, di cui lei ha curato i disegni preparatori?

Sarà trasmessa nel 2018 da Canale 5.

E la seconda e ultima parte del fumetto dedicato a Caravaggio, in cui ha dato al grande pittore lombardo le sembianze di Andrea Pazienza, come procede?

Ci sto lavorando proprio in questo momento. Per la primavera dell’anno venturo, se tutto va come deve andare, sarà nelle librerie.

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato in forma ridotta e rielaborata su Libero del 28 settembre 2017

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