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FocusIntervisteIntervista a Raina Telgemeier. Raccontare il mondo con i fumetti per capirlo

Intervista a Raina Telgemeier. Raccontare il mondo con i fumetti per capirlo

L’autrice americana Raina Telgemeier ha vinto tre Eisner Award e ottenuto un successo straordinario con i suoi graphic novel per ragazzi Smile, Sorelle, Drama e Fantasmi.

Racconta storie semplici e quotidiane, in cui normali teenager sono alle prese con i problemi tipici della loro età. Con uno stile grafico essenziale, riesce a illustrare la complessità dell’adolescenza e a valorizzare il modo, spesso impacciato ma sicuramente schietto, in cui i ragazzi si confrontano con il mondo.

Ospite alla scorsa edizione di Lucca Comics and Games grazie all’editore italiano Il Castoro, ha risposto alle nostre domande con la gentilezza che riserva ai suoi fan e l’onestà che contraddistingue le sue storie.

Leggi anche: Raina Telgemeier, ovvero l’importanza delle storie normali

fantasmi

A differenza del passato, oggi il mondo del fumetto è pieno di autrici donne. E tu col tuo successo ne sei un esempio particolarmente lampante. Secondo te quali novità hanno portato le donne nel fumetto? Come lo hanno trasformato?

È vero che ci sono molte più donne nel mondo del fumetto oggi. Però io sono partita dal fumetto indipendente. In quell’ambiente ce n’erano già tante e io non mi sono mai sentita fuori luogo. Inoltre la mia casa editrice, che pubblica libri per ragazzi, è mandata avanti soprattutto da donne – del resto quasi tutti quelli che lavorano nell’editoria sono donne, anche se ci sono delle eccezioni.

Negli Stati Uniti c’erano delle barriere per le donne che volevano fare fumetti, ma fortunatamente io non le ho mai avvertite. Credo che le donne siano più brave a raccontare storie personali. Pensando a molte autrici che conosco e che fanno libri per ragazzi, mi viene da dire che noi riflettiamo di più e siamo più brave a condividere noi sesse. E per questo le lettrici si ritrovano in quello che scriviamo.

Hai raccontato che, quando hai cominciato a disegnare Il Club delle Baby-Sitter, hai deciso di lasciare il lavoro da grafica, più sicuro e remunerativo. In pratica hai fatto una cosa che tanti vorrebbero fare e pochi fanno davvero: inseguire il tuo sogno. Com’è scattata la scintilla che ti ha fatto prendere questa decisione? Ti va di raccontarci quel momento fatidico?

Ho iniziato a disegnare a 10 anni e a pubblicare i miei lavori a 20-21 anni. Ma subito dopo l’università avevo bisogno di mantenermi. Ho cominciato quindi a lavorare come grafica in una casa editrice e ho amato tutto di quel lavoro. Mi piacevano i colleghi e mi piaceva capire che cosa c’è dietro la pubblicazione di un libro. Poi la sera tornavo a casa e lavoravo per me. Realizzavo storie che vendevo agli amici, alle convention o che pubblicavo online sul mio sito.

Dopo un po’ ho cominciato a conoscere nuove persone, tra cui un editor di Scholastic che mi ha chiesto di collaborare con loro. E avendo lavorato in una casa editrice, ero molto felice che un editore mi avesse chiesto di collaborare. Quindi mentre disegnavo il Club delle baby-sitter in realtà mantenevo ancora il vecchio lavoro. È andata avanti così per qualche anno, finché sono stata costretta a lasciarlo. E non perché non volessi più farlo ma perché non ce la facevo a fare tutto. A livello economico avevo risparmi sufficienti per mantenermi, in modo da potermi dedicare ai fumetti.

I tuoi fumetti raccontano storie quotidiane e sembrano suggerire che non servono i superpoteri per essere degni di attenzione. Eppure viviamo in una società che ha il culto del vincitore e mostra poco rispetto per chi non segue determinati modelli. Come si fa a essere a sé stessi in questo tipo di società?

Sto ancora cercando una risposta a questa domanda… Diciamo che per me la cosa più importante è essere onesti. Non ho la classica poker face, anzi sulla mia faccia si legge tutto, non sono in grado di mentire. Ecco perché penso che la cosa che più mi si addice sia raccontare storie realistiche. Vorrei fare un esempio che riguarda Sorelle. In Sorelle ho lasciato un finale un po’ aperto, e infatti non si capisce se i miei genitori divorzieranno, come sarà il rapporto tra me e mia sorella e così via. Era un finale volutamente poco definito.

La questione era capire se sarebbe piaciuto ai ragazzi. “I ragazzi di solito vogliono risposte, non possono restare soddisfatti con un finale così”. E parlando con gli editori e i primi lettori, tutti pensavano che non sarebbe andata bene. Beh, ai ragazzi è piaciuto molto questo finale. Soprattutto perché quando si hanno 14 anni tutto è molto confuso, non si hanno risposte di nessun tipo. Mi chiedono ancora oggi come sia andata a finire, e io rispondo che i miei genitori si sono lasciati e che io e mia sorella ora andiamo più d’accordo. Ma la storia deve assomigliare alla vita vera, e spesso nella vita vera non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Penso però che se siamo soddisfatti di quello che abbiamo nel presente, sarà molto più semplice andare avanti.

In Sorelle tua sorella Amara viene dipinta un po’ come il vero genietto della famiglia, mentre tu ti mostri come un’adolescente perfettamente normale. Ci sono stati momenti in cui ti sei sentita invidiosa del suo talento? E viceversa lei oggi si sente un po’ invidiosa del tuo successo di disegnatrice, visto che anche lei amava disegnare?

Posso solo parlare per me, dovresti chiedere a lei che cosa pensa a riguardo. Tra di noi ci sono 5 anni di differenza, lei è di 5 anni più piccola di me, ma a 2 anni sapeva già fare tutto quello che io facevo a 7. E questo mi indispettiva un po’. Per esempio, se io mi iscrivevo a una competizione artistica ottenevo il premio di consolazione, mentre lei qualche anno dopo arrivava al primo posto.

Avevo sempre l’impressione di lottare duramente per avere dei risultati, mentre per lei era tutto facile. E lei non era brava solo nel disegno. Era brava in matematica, era brava a scrivere, era brava in scienze. Era davvero un talento naturale in tante cose. Quello però che trovava difficile era relazionarsi con gli altri, trovare nuovi amici, una cosa che invece a me veniva spontaneo. Quindi siamo estremamente diverse, ma quando siamo insieme ci compensiamo perfettamente.

telgemeier sorelle

Per raccontare l’adolescenza bene come fai tu bisogna essere rimasti un po’ adolescenti nel cuore? O al contrario bisogna aver superato e “digerito” quella parte della propria vita?

Per me è sempre stato più facile raccontare storie che si sono già concluse, anche se magari nei libri hanno un finale aperto. Però ho sempre bisogno che passi qualche anno per elaborare quello che è successo. Anche quando racconto storie che non sono parte della mia vita vera, mi rifaccio spesso a momenti che ho vissuto da adulta, raccontandoli sempre dal punto di vista di una ragazzina.

I miei libri sono rivolti ai ragazzi tra gli 8 e i 12 anni, è passato molto tempo da quando avevo quell’età ma mi ricordo tutto perfettamente. Anche perché ho tenuto i disegni che facevo da piccola, e anche il diario. Se ho bisogno di un contatto con la me stessa di allora, posso tornare indietro rileggendo quello che scrivevo.

I tuoi fan ti seguono tantissimo e a volte sembrano considerarti un po’ come una sorella maggiore. Quando disegni ti senti in qualche modo condizionata da loro e dalle loro aspettative? E invece ci sono stati dei casi in cui proprio i fan ti hanno ispirata suggerendoti nuove idee?

Ogni tanto mi capita di vedere qualcuno e pensare “wow, quello sarebbe un bel personaggio!”. Però visto che scrivo dal mio punto di vista, preferisco ispirarmi a me stessa o a persone che conosco bene. I miei fan sono più che altro una fonte d’ispirazione “visiva”. Per esempio quando vedo qualcuno con un taglio di capelli particolare. Presto molta attenzione al modo in cui la gente parla e si muove, al linguaggio del corpo, a come i ragazzi parlano a telefono, se per esempio corrono in maniera buffa.

Registro tutto nella mia testa. E poi ovviamente faccio caso a come si vestono, devo restare al passo visto che scrivo storie attuali. Faccio però attenzione a quello che mi sembra troppo legato a una moda, e che magari dopo qualche anno non si usa più.

drama telgemeier

L’anno scorso, stando all’American Library Association, Drama è stato bandito da alcune biblioteche con l’accusa, abbastanza infondata, di essere “sessualmente esplicito”.  Perché così tanti genitori sentono il dovere di proteggere i loro ragazzi da argomenti come l’omosessualità? Come mai hanno paura di affrontare certi discorsi con i loro figli?

Drama è stato etichettato come sessualmente esplicito perché ci sono due ragazzini che si baciano. Ci sono anche un ragazzo e una ragazza che si baciano, ma se fosse stato solo questo nessuno avrebbe detto niente. Ho ricevuto molti giudizi negativi da persone estremamente conservatrici, che pensano che i loro figli di 10 anni debbano essere protetti da “cose” del genere. Ma in realtà i ragazzi sanno chi sono già da piccoli.

Ho conosciuto persone che sapevano di essere omosessuali già dall’età di 5 anni. Ci insegnano a vergognarci di queste cose, ma se ce ne vergogniamo poi non riusciamo a essere chi vogliamo essere. Fortunatamente io sono cresciuta in una città libera, San Francisco, forse anche con genitori di mentalità aperta. Per me non è mai stato un problema. Molti dei miei migliori amici si sono scoperti omosessuali e io ho voluto raccontare la nostra amicizia.

Se di un fumetto guardi solo un disegno o solo una pagina togliendoli dal contesto, ecco le reazioni del tipo “oh mio Dio! non è adatto a mio figlio!”. Io dico che se leggi la storia per intero, magari puoi finire con l’avere a cuore proprio quel determinato personaggio e cambiare idea. Ma le persone che hanno bandito i miei libri non hanno la propensione al cambiamento, vogliono vivere nel passato e proteggere il loro punto di vista. Credo che questo sia un loro diritto, ma penso che sia anche un diritto dei ragazzi essere ciò che vogliono. Il mio lavoro è quello di esprimere quello che vedo, quello che so, quello che ho vissuto. Alcuni pensano che tutto sommato sia un grande onore esser stati censurati.

Hai uno stile chiaro e lineare, che tu stessa hai definito cartoony e friendly. Questa scelta grafica serve a illustrare i lati positivi di situazioni potenzialmente tragiche, come la malattia e la morte in Fantasmi?

Sono convinta che un bel disegno possa attenuare il dolore, anche per cose molto difficili da affrontare. Per me è stato così, quando ero più piccola. Anche se leggevo storie tristi, le immagini riuscivano ad aiutarmi. Questa cosa non succede per esempio nei fumetti con un disegno più realistico, rivolti agli adulti. Ma il mio stile non è così. È quasi infantile, anche se la mia testa non è quella di una ragazzina, è cresciuta con me. Penso che i ragazzi abbiano voglia di capire il mondo, e raccontarlo in una veste che lo rende più comprensibile può essere bello. Può fornire il pretesto per fare discorsi più seri.

Fantasmi022

In futuro pensi di rivolgerti anche ad un pubblico adulto? Tra qualche anno racconterai la Raina adulta come fino ad ora hai fatto con la Raina adolescente?

Non credo accadrà presto. Aanche perché la mia casa editrice pubblica solo libri per ragazzi fino a 16 anni, e con loro sto già lavorando ad altri progetti. Inoltre penso di non essere grande abbastanza! Avrei bisogno di diversi anni per maturare una storia di questo tipo, e poi al momento non credo di aver niente di interessante da raccontare della mia vita adulta. Forse quando avrò 60 anni scriverò di una me trentenne o quarantenne.

Puoi darci qualche anticipazione sul tuo prossimo lavoro?

Posso solo dire che anche il mio prossimo lavoro sarà basato su ricordi personali, sulla scia di Smile e Sorelle.

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