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RecensioniClassic"1602", i supereroi Marvel secondo Neil Gaiman

“1602”, i supereroi Marvel secondo Neil Gaiman

Venezia, settembre 2001. Neil Gaiman guarda i canali insinuarsi tra le calli, annoiato dallo sfarzo dell’albergo, perso a contemplare il senso di inquietudine che gli provocano le gondole. Si domanda perché sia lì (lo sa bene: è ospite di un festival fantascientifico a Trieste e ha una giornata libera), i pensieri gli fioriscono in testa, mentre sulla scrivania della camera c’è un contratto firmato con Marvel Comics e una richiesta di deposizione nel tribunale del Wisconsin. Accettare di scrivere per la Casa delle Idee, dopo un quinquennio di assenza dal fumetto, potrebbe non essere stata la decisione migliore, specie se dietro alla motivazione non c’è un’urgenza creativa ma un’epifania di rabbia.

Joe Quesada, editor-in-chief della Marvel, lo ha convinto a lavorare per lui, di modo da poter racimolare la parcella degli avvocati impegnati in una battaglia legale contro Todd McFarlane per il possesso di Miracleman. Tornato in America, dovrà raccontare al giudice la propria versione dei fatti. È una vicenda contorta che si tira dietro un secondo contenzioso tra i due, relativo ad Angela, un personaggio comprimario di Spawn creato dallo stesso Gaiman. È senza idea, anzi peggio, l’unica idea che gli hanno suggerito è di fare una cosa in grande stile, con tutti i personaggi Marvel, «tipo Secret War».  L’atmosfera stereotipicamente da Altrove di Venezia e il sentimento escapista post-undici settembre («non volevo scrivere una storia di aerei, bombe e pistole») lo portano invece a rifugiarsi nel passato, ispirandogli 1602, una versione dell’universo Marvel ambientata quattrocento anni prima.

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A prima vista, 1602 pare un semplice “Cosa sarebbe successo se gli eroi Marvel fossero apparsi nel 1600 invece che nel 1900?”, ma il pantagruelico What if? che sposta spaziotemporalmente il mondo Marvel nell’Europa del XVII secolo si rivela essere ben altro. L’accenno all’assenza di contemporaneità è, per quanto plausibile, una scusa che non tiene conto della bibliografia gaimaniana, mai improntata al presente e sempre affascinata da altri luoghi e altri tempi. Nel senso, è perfettamente coerente per lui e per quello che, immagino, si aspettasse la Marvel da lui (un bel prodottino letterario da rivendere come volume in libreria, omettendo magari il nome del disegnatore).

1602 fu un progetto stranissimo anche per la Marvel di inizio anni Duemila, irrequieta nel suo desiderio di sperimentazione e nella volontà di emanciparsi dai confini asfittici delle fumetterie. Nei primi anni del secolo, ogni pietra veniva ribaltata per vedere se sotto ci fosse un tesoro, la conservazione dello status quo era stata bandita e a ogni idea – anche se potenzialmente disastrosa – veniva concessa una possibilità. Non c’era domanda a cui non si sarebbe potuto rispondere, anche se la risposta fosse stata una scemenza. Come mai le origini di Wolverine non sono ancora state narrate? Com’è che nei Vendicatori non ci sono personaggi famosi? Perché non possiamo chiamare sceneggiatori e disegnatori che di solito non fanno fumetti? Mi spiegate per quale motivo gli X-Men li deve scrivere Scott Lobdell e non, chessò, Grant Morrison?

Così, a colpi di annunci roboanti e progetti pirotecnici Joe Quesada spinse i limiti del raccontabile. Tra i colpi messi a segno: convincere Gaiman, affrancatosi dal fumetto in favore di una carriera da rispettato romanziere, a scrivere per la Marvel (a oliare gli ingranaggi contribuì la querelle con McFarlane di cui sopra, ma le doti da negoziatore e persuasore di Quesada non sono in discussione). E Gaiman tirò fuori una cosa probabilmente inaspettata, ma in linea con la sua poetica: immaginò un’Europa seicentesca in cui iniziano a spuntare esseri mutanti e superumani e strane tempeste macchiano il cielo. A sbrogliare il mistero sono chiamati Sir Nicholas Fury, capo delle spie reali della regina Elisabetta, e il medico di corte Stephen Strange. Segue un gioco di ricontestualizzazione narrativa per cui Matt Murdock è un menestrello/agente segreto, i Fantastici Quattro esploratori alla ricerca del Nuovo Mondo e Magneto il capo dispotico dell’Inquisizione in lotta con gli esseri occulti dello spagnolo Carlos Javier.

1602 voleva essere diverso, voleva essere librario, qualcosa che avrebbe potuto leggersi anche un non fumettofilo. Aveva l’allure del grande progetto che andava agghindato per bene perché c’era il rischio che la sua esistenza venisse resa nota al di fuori del circolo dei soliti lettori. Lo si intuiva dallo stile xilografico delle copertine, realizzate dal designer Scott McKowen, e dal trattamento delle pagine interne. Non tanto nella scelta del disegnatore, un Andy Kubert che per stipare tutta la narrazione di Gaiman (ma anche per vizio di famiglia) disintegrava le tavole in vignettine a volte troppo asfittiche, quanto più in quella del colorista Richard Isanove, che aggiungeva un retino di linee per dare l’illusione di guardare delle incisioni.

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Spingere i limiti significava farlo anche da un punto di vista grafico e in quegli anni (siamo nel 2003) la Marvel spingeva come non avrebbe fatto più. Forse solo la colorazione di Dean White su X-Force o quella di Matt Hollingsworth su Occhio di Falco sarebbero state altrettanto iconoclaste. Isanove è l’uomo che ha plasmato l’immagine della Marvel nella decade degli anni Zero. Il suo tratto finto-pittorico e la sua tavolozza ambrata hanno colorato i più importanti lavori Marvel, dalle collane Ultimate ai progetti di punta come Wolverine: Origins. Quest’ultimo, come 1602, era disegnato da Kubert e non contemplava l’uso delle chine. Isanove colorava direttamente le matite, che presero il nome di “matite arricchite”. Qui l’effetto restituisce la sensazione di un quadro dell’età d’oro belga (ma in contesti moderni, come il coevo X-Treme X-Men, la tecnica farà perdere di dettagli e verrà abbandonata).

Quello di 1602 è un racconto iper-gaimaniano. Ci sono gli elementi caratterizzanti come la fiaba, il pastiche, tanta parola e poca azione, pochi pugni e tanti sofismi (c’era da aspettarselo dall’uomo che è diventato famoso per un numero di Sandman in cui due personaggi si esibiscono per ventidue pagine nella fina arte del walk and talk), soprattutto c’è la magia che si insinua nel reale a poco a poco, quel senso di mistero che non riusciamo ad afferrare e poi si svela nella sua reale natura (e da qui in avanti potreste incontrare degli spoiler, se non lo aveste ancora letto).

1602 infatti si scolla di dosso lo stigma di mero What if rivelando che la storia di cui stiamo leggendo è un glitch del sistema, una stortura degli eventi per cui Capitan America è stato mandato indietro nel tempo dal futuro che è diventata la realtà 616 – quella in cui si svolgono le avventure canoniche dei personaggi Marvel –, causando tutte le ripercussioni di cui leggiamo. A questa deviazione del percorso ha contributo l’Osservatore: la sua entrata in scena potrebbe sembrare proprio la classica mossa da What If, ma Gaiman riempie la scelta in modo diverso. L’Osservatore è reo di non aver osservato, per un fugace istante, lo svolgersi degli eventi. Una cosa apparentemente impossibile per un essere omnisciente, eppure la giustificazione che arriva («Sono una creatura dell’universo») sembra voler commentare meta-narrativamente che esiste una forza ancora più potente a decidere per tutti: l’autore.

Gaiman concepì l’universo Marvel come un organismo funzionante, che cresce e respira, non immutabile ma cangiante, proprio come avrebbe fatto Mark Millar in 1985 (altro titolo che ha alla base l’alternanza di universi e che ha un anno nel suo titolo). Con le loro opere, sia Gaiman che Millar puntavano a creare mini-versi che hanno avuto esiti diversi. Millar stava tessendo una rete comprendente il suo ciclo sui Fantastici Quattro e Vecchio Logan che avrebbe poi abbandonato in favore dell’autoproduzione, Gaiman ha solo arato un campo sui cui altri fattori avrebbero potuto coltivare. Il risultato di queste coltivazioni – 1602: Il nuovo mondo, 1602: Fantastick Four, Spider-Man: 1602 – è roba che non merita nemmeno la riga di segnalazione che sto scrivendo (il loro inserimento nel volume è comunque filologicamente meritevole, ma il fatto che due delle miniserie presentate erano rimaste inedite dice già tutto).

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Con 1602 Gaiman ha messo insieme un’opera neo-silver, appartenente cioè a quel filone, teorizzato dallo storico Peter Sanderson, che recupera le atmosfere della Silver Age e ne aggiorna le intenzioni come rimedio alla cupezza dell’era oscura dei fumetti. Cosa è successo all’Uomo del Domani?, Astro City, All Star Superman e le storie di Topolino realizzate da Casty, per citare un esempio italiano, sono tutti fumetti neo-silver ed è facile capire che cosa li accomuni: lo sguardo al passato, un recupero dei propositi Silver Age, il positivismo delle intenzioni e la classicità della messa in scena. Tutti questi elementi sono però adattati al presente e contestualizzati nell’oggi.

L’oggi, per Gaiman, è un passato che accoglie e allo stesso tempo teme il futuro, perché se da una parte lo interpreta come promessa di un mondo nuovo, dall’altra si fa impaurire delle sue derive distopiche. Si rifugia nell’antico e nell’antico trova conforto e soluzioni per riaffrontare i tempi oscuri del presente.

Trasportandoli nel XVII secolo, Gaiman dimostra l’essenza senza tempo di eroi trascendenti. Il tributo di 1602 verso gli eroi Marvel è la dimostrazione che i personaggi funzionano bene – per linguaggio e caratterizzazione – anche in quella che è inequivocabilmente una storia di Neil Gaiman. Non sono personaggi gaimaniani, eppure sono malleabili abbastanza dal diventarlo senza perdere la loro essenza. Diventano più sofisticati, infiocchettano i discorsi (anche quando si tratta di personaggi che non potrebbero far vanto delle proprie capacità dialettiche), pensano aristocraticamente ma restano emarginati in un mondo che non aveva previsto la loro esistenza e li ha dovuti accomodare a forza. È Marvel piegata a Gaiman.

Della Silver Age Gaiman riprende questo senso di rinascita e ci ricorda chi erano i supereroi statunitensi: figli di immigrati, reietti della società, membri di una comunità nuova che accoglie gli oppressi. In questo caso, gli eroi inglesi scappano dalla Chiesa, un’istituzione che mantiene il potere sopprimendo la conoscenza, o dai vecchi regimi europei (rappresentati da Giacomo I, l’inquisizione e il Dottor Destino), per colonizzare l’altra costa dell’Atlantico. Sono i supereroi, nell’universo di 1602, a fare l’America.

La speranza verso il futuro è ribadita attraverso ciò che Gaiman ha sempre affermato nei suoi lavori: il mondo è fatto di storie, esse sono la particella minima dell’universo e in loro troviamo speranza. Ci muovono, accudiscono, ci guidano, illuminano.

Marvel 1602 – Edizione definitiva
di Neil Gaiman, Andy Kubert e autori vari

Panini Comics, ottobre 2017
Cartonato, 576 pp a colori
€ 66,00

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