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RecensioniNovitàLa bruciante amicizia femminile di Silvia Rocchi

La bruciante amicizia femminile di Silvia Rocchi

«Tieni dentro di te un piccolo fuoco che brucia; per quanto piccolo, per quanto nascosto». Lo scrive Cormac McCarthy in quell’incubo postapocalittico che è La Strada. Lo ripete, in altro modo e in un altro contesto Silvia Rocchi, ancorando quelle parole al cuore del suo primo graphic novel di fiction realizzato da sola.

brucia silvia rocchi fumetto graphic novel lizard

Illustratrice dai tratti spigolosi e volutamente esteticamente “sgrammaticati”, frutto di una libertà a volte estrema nell’approccio alle tecniche miste, dopo la realizzazione di varie biografie a fumetti (di Alda Merini, Tiziano Terzani ed Ettore Majorana) e la prova come co-autrice di Tumulto (sia ai testi che ai disegni), il primo libro di pura fiction di Rocchi è affrontato con l’audacia della debuttante consapevole delle proprie capacità e inconsapevole dei propri limiti.

Brucia è il risultato di una serie di scommesse (di cosa può essere fatta un’opera prima, se non di azzardi, di forzature, di sperimentazioni?) che lasciano al lettore la sensazione di una lotta intrapresa dall’autrice con i modelli di narrazione, alla ricerca di un punto di vista non per forza nuovo o diverso ma semplicemente “altro”. Lotta che costringe il lettore ad uno sforzo di attenzione in più nella fruizione dell’opera e questo porta con sé rischi ma anche un pubblico di veri affezionati.

Questo “altro” ci accompagna nel racconto di un’amicizia femminile tra una ragazza sposata alle soglie di una controversa maturità e una ragazza alla fine dell’adolescenza. La vita scandita tra i ritmi del lavoro e della famiglia e quelli della scuola all’interno di una piccola comunità toscana, nei primi anni Ottanta, dominata dalla presenza della Fabbrica, un’acciaieria che attrae e assorbe distruggendo tutte le speranze degli abitanti del paese.

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Il quadro, in qualche modo, ricorda le atmosfere del romanzo Acciaio della Avallone, a sua volta derivate dal seminale Bella Mariposa di Atzeni, vero e proprio modello esemplare di uno sguardo femminile e adolescenziale nel sottoproletariato postindustriale, e a quel piccolo capolavoro generazionale che è stato Ovosodo di Virzì.

A differenza di quelle storie, la Rocchi tratteggia un mondo quieto fatto da piccole differenze di status più che istintivamente di classe sociale, in un mondo senza più nemmeno l’idea della lotta di classe. Infatti Tamara è figlia dei dirigenti dell’acciaieria dove lavorano Maria e suo marito, studentessa affamata di radicamento affettivo e alla ricerca dei primi amori. Maria è invece una giovane donna dai sogni frustrati per una possibile vita diversa, un lavoro insoddisfacente e il peso della responsabilità della propria madre, ma con un presente stabilmente abitato da una vita di coppia serena.

Su questi crinali vediamo nascere come un fragile virgulto l’amicizia tra la giovane Tamara e Maria, tra reciproca utilità e affetto sorellare, che in realtà l’autrice ci fa solo intravedere o supporre. Queste vite normalmente disturbate e percorse da piccole incrinature, che potrebbero allargarsi quanto prontamente richiudersi, ci vengono presentate attraverso un inerte tran tran quotidiano, come la calma che precede la tempesta, per essere poi sconvolte da un grave incidente nella Fabbrica.

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L’autrice a questo punto opta per una cesura narrativa, che sarà riempita solo dai dialoghi tra i protagonisti che si rincontrano anni dopo su insistenza di Tamara, adesso donna laureata, sposata con un figlio e alle prese con la solita battaglia per rimanere dove ha trovato una sua stabilità, intrapresa, questa volta, con il marito che ha sostituito in questo i genitori. Questo espediente narrativo evita all’autrice di cadere in una serie di luoghi comuni che ci circondano oggi, legati a episodi come la cronaca della vicenda della Thyssen.

Questa seconda parte del libro è coerentemente riservata a ciò che rimane dopo la tragedia, quando Tamara è stata vicina per anni all’amica in difficoltà, respirandone probabilmente il dolore e la forza di reazione, ma anche quando l’oblio, probabilmente prima tanto agognato, diventa il vero pericolo.

Qui la Rocchi si gioca tutta la sua capacità narrativa graficamente parlando, spostando il disegno, da descrittivo e sonnolento nella prima parte, verso un vero e proprio diario intimo, dove la matita, carica e violentemente espressiva, tratteggia e sottolinea, con felice risultato, il costante stato ansioso da stress traumatico.

Questa ansia, questo dolore che Maria sceglie di condividere ancora con la giovane Tamara, sembra scemare, anche graficamente, solo quando emerge prepotente la convinzione che non esiste una consolazione possibile ma che, anzi, Maria la rifugge con forza per testimoniare la sua volontà di continuare a vivere e a lottare in una comunità distrutta, con la fabbrica bruciata come simbolo di un memoriale non voluto.

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Brucia è dunque un’opera che cerca disperatamente un equilibrio tra la struttura narrativa e la sua espressione grafica, con l’apparente etereità degli stati d’animo e dei sentimenti. Un equilibrio che, nella prima parte del racconto, sembra ancora percorso da un’instabilità frutto di scelte di scrittura che non sempre rispettano l’idea dell’autrice di allontanarsi dagli stereotipi di genere. Forse troppo influenzata da una visione filmica che sempre di più determina il modo di narrare degli autori delle giovani generazioni (il rimando va al primo Wim Wenders per le scelte dei tagli narrativi), la sceneggiatura visiva presenta qualche fuori fuoco e qualche soluzione meno felice dove il rapporto tra le due donne stenta ad emergere, a favore di una descrizione parallela delle due vite.

Si tratta di sbavature che sono assolutamente normali in un’opera prima che, in generale, appare già solida base per un’evoluzione futura. Però l’asticella della scommessa che Silvia Rocchi ha voluto proporre era davvero molto alta, sopratutto se vissuta con il timore costante di non cadere nel luogo comune e nella facile soluzione, non rinunciando mai al marchio di fabbrica di un segno “spiazzante”, da coniugare con storie a carattere ordinariamente realiste.

Questo vuol dire che il coraggio non manca e l’ottimismo della volontà nemmeno, ma il desiderio ha bisogno di esercizio. Gestire e controllare plot, sceneggiatura e regia visiva parlando di sentimenti, sensazioni, emozioni non ricorrendo all’azione – o alle più facili emozioni – e per giunta tenendo tutto in equilibrio, è stata una scommessa che, anche se non vinta pienamente, merita stima e attenzione. Rocchi è, senza dubbio, un’autrice con un piccolo grande fuoco che brucia dentro e che, ormai, non può più nascondere.

Brucia
di Silvia Rocchi
Rizzoli Lizard, ottobre 2017
brossura, 160 pp., b/n
18,00 €

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