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RubricheLo scaffale di...Lo scaffale di Giovanni Timpano

Lo scaffale di Giovanni Timpano

Per la rubrica “Lo scaffale di…” abbiamo chiesto al disegnatore Giovanni Timpano (Eclipse, Batman/The Shadow) di raccontarci le sue letture più recenti.

Niente da perdere, di Jeff Lemire

niente da perdere jeff lemire bao

Amo quest’uomo. Amo tutto quello che Lemire fa come scrittore: la saga fantascientifica Descender, o quella supereroistica Black Hammer, la run su Green Arrow (un po’ meno la sua produzione Marvel). Amo tutto quello che fa come disegnatore: After Death con Snyder per esempio (anche se non sono un grande fan di Snyder). E ovviamente amo tutto quello che scrive e disegna come autore completo: Sweet Tooth, Royal City, Essex County e questo Niente da perdere.

Io nei visi disegnati da Lemire mi perdo, quei visi sofferenti, dai tratti duri e spigolosi, appesantiti da passati ingombranti, le sue pagine ne sono piene: vignette vuote, senza parole, solo quei volti, che dicono molto più di tante parole. Anche in questo caso, con Derek, uno dei protagonisti di questo fumetto, ci troviamo davanti a molto più che il classico loser, che attraverso lo sport, l’hockey, ha provato a lasciare quella provincia, tanto presente nelle storie dell’autore Canadese. Provincia che spesso torna come un fantasma, avvolgendo i personaggi in una cortina di sofferenza e struggimento, facendo intuire al lettore che dietro c’è molto di più. E quel dietro lo scopriamo attraverso dei flashback che somigliano a picconate, che vanno a scavare i visi (si, ancora) di Derek e sua sorella, fino ad arrivare alla verità.

Come in tante storie di Lemire, qui non ci sono buoni e cattivi; ripercorrendo la vita di Derek, mi son soffermato a pensare che lui sarebbe potuto benissimo essere il “cattivo”, all’interno della storia di qualcun altro. Tanta gente che ha incrociato la strada dell’ex giocatore di hockey, non ha fatto una bella fine, spesso senza una ragione valida. Ma questa è la sua storia e ovviamente non si può fare a meno di non “tifare” per lui. Insomma, Lemire sbrigati perché ho già bisogno del tuo prossimo fumetto.

Jupiter’s Legacy, di Mark Millar e Frank Quitely

jupiter legacy millar quitely

I supereroi, quelli fatti bene (e soprattutto quelli disegnati da Frank Quitely). Millar non si può non leggerlo, va fatto, nel bene e nel male, e se lo disegna Quitely è d’obbligo. I due rimettono su una storia di supereroi, come non lo si vedeva dai tempi di Authority, Ultimates o della prima Civil War Marvel. Queste tre opere, per me sono il top raggiunto dall’epica dei supereroi dei nostri tempi. Quello che è venuto dopo, sia dalle due major che dagli indipendenti, per me non è stato all’altezza.

Ecco, Jupiter’s Legacy è riuscito a ridare ai supereroi l’epicità delle tre saghe che ho citato sopra, anche senza scomodare personaggi Marvel e DC, dandocene di totalmente nuovi, ma a cui ti affezioni subito e facilmente. Grazie ai meravigliosi disegni di Quitely, questi personaggi sembrano veramente Dei sulla terra, sia per come si atteggiano, che per come se le danno. Anzi soprattutto per come combattono, come usano i loro poteri, come Quitely li disegna, perché spesso è tutto lì il segreto: se ripenso a Civil War, non posso non pensare allo scontro Captain America vs Iron Man; se ripenso ad Authority, non posso non ricordare le battaglie di questo super gruppo, con Dio prima, con Albione o il terribile Seth poi; e per quanto riguarda gli Ultimates, vogliamo parlare del combattimento finale contro l’armata di Loki? Sono supereroi, che devono usare il loro super poteri e come lo fanno può fare la differenza.

Sinceramente delle saghe venute dopo, non ricordo “scontri finali” di quella portata, tante chiacchere e basta. Forse il solo Kirkman ha capito, col suo Invincible, quanto questo fattore è importante, ed infatti quanto brutali sono i combattimenti in questa serie e quanto sono importanti e non fini a se stessi? Hanno la loro impronta precisa, grazie anche ai disegni di Ottley.

In Jupiter’s Legacy invece Quitely, magari sperimenta meno come in We3 o in altre produzioni, ma con una regia e un layout semplice e efficace ti consegna in mano una bibbia su come un uomo dotato di super poteri, simili a quelli di un dio, dovrebbe muovere il suo corpo, guardare i semplici mortali, fermare un’auto con il corpo, o sferrare un pugno ad un avversario di pari potenza. Invece troppo spesso vedo opere super-eroistiche, concepite con superficialità, dimenticandosi delle capacità che hanno questi personaggi, forse per la paura che il tuo fumetto venga giudicata banale, limitato all’approccio fisico e non mentale. Peccato doverci limitare ad aspettare con ansia la prossima opera di un Millar o di un Quitely, per sperare di vedere dei puri e sani supereroi e supercattivi, fare quello che sanno fare meglio, i supereroi e i supercattivi.

Una sorella, di Bastien Vivès

unasorella

Solitamente cerco di stare lontano dalle opere intimiste/autobiografiche degli autori europei (Portugal di Pedrosa, Un lavoro vero di Madrigal, per esempio, sono stati dei supplizi per me) per ovvi motivi di gusto personale, ma adoro lo stile di Vivès in Last Man, quindi ho voluto provare questo Una sorella e devo dire che mi è piaciuto e tanto.

I disegni sono meravigliosi, come sempre, anzi per certi versi li ho trovati più funzionali qui che in Last Man, quei visi appena appena abbozzati per esempio, (che sembrano nascondere emozioni ma invece le esaltano) li ho trovati più adatti a questo contesto. Buffo come per Niente da perdere di Lemire mi sono soffermato sui visi scavati dell’autore canadese, pieni di segni di china, mentre in questo caso spesso i visi sono appena disegnati, senza occhi o bocche, ma ugualmente forti e coinvolgenti. Questo è il bello del disegno e delle sue mille maniere per esprimere emozioni.

Parlando della storia di questo volume, ho riscontrato che tanta gente lo critica per una trama “già vista” e contesti poco originali: famiglia borghese in vacanza, il ragazzino che scopre il primo amore/sesso, la ribellione, ecc…tutto vero, situazioni già lette e affrontate in altre opere, fumetti e non, ma se poi fai parte di uno di quelli che le ha anche provate in maniera molto simile a quelle dei protagonisti, allora un certo effetto te lo fa. Avendo vissuto fino ai 17 anni in un albergo sulla costa toscana, era normale d’estate avere storie e storielle con ragazze che venivano da fuori, che proprio per il fatto che erano clienti dell’albergo vivevi tutte le emozioni concentrate nell’arco di pochi giorni/settimane. Le ragazze più grandi (ma anche le amicizie maschili) entravano e uscivano dalla tua vita, lasciandoti tanto (ma togliendoti anche tanto), molto di più di quanto potesse fare una storia diluita in diversi mesi/anni. Per questo motivo Una sorella ha toccato in me certe corde. Guarda te se a 40 anni devo diventare pure sensibile ai fumetti intimisti.

Batman contro Robin, di Grant Morrison, Cameron Stewart e Andy Clarke

batman contro robin

Questo volume non l’ho scelto perché ha un significato particolare, è solo l’ultimo che ho letto della gestione Morrison di Batman, che ho seguito durante gli anni di uscita in inglese e che da qualche mese sto rileggendo in italiano. Perché un’opera come quella di Morrison sul Cavaliere Oscuro è quasi offensivo considerare di averla letta e assorbita, una sola volta, diluita in 7 anni, mese dopo mese.

È necessario come minimo una seconda rilettura, più approfondita e con tempi più brevi, percependo meglio dove inizia un filone e finisce l’altro. Perché quello che ha fatto lo scrittore scozzese è stato creare un’unica immensa saga, partendo da certe situazioni strambe delle vecchie storie di Batman, donandogli un nuovo contesto, un significato, così da canonizzare sotto un’altra luce storie assurde come Batman su altri pianeti, costumi viola e gialli, improbabili Batwoman e altro, una delle mie parti preferite della sua lunga gestione. Per poi in seguito introdurre un personaggio che già apprezzavo da lettore, e che ho imparato ad amare visceralmente da disegnatore, sulla serie Shadow/Batman: Damian Wayne, il figlio di Bruce Wayne e Talia Al Ghul.

Passando poi per la presunta morte di Batman in Final Crisis, il suo ritorno ecc. Inutile negare che parte del motivo per cui ho amato questa lunga saga che sto rileggendo, è anche dovuto ai vari disegnatori che si son succeduti, primo tra tutti Frank Quitely (si, ancora lui) che con Morrison fanno l’accoppiata perfetta (We3 è nella mia personale top ten dei miei fumetti preferiti di sempre), ma anche Andy Kubert, che se all’inizio era il Kubert che preferivo meno (suo fratello Adam osava molto di più) in seguito poi ho incominciato ad apprezzare per la solidità delle sue forme. Yanick Paquette su cui non c’è neanche da discutere, il suo segno graffiante, figlio di Kevin Nowlan, è un piacere per gli occhi, Chris Burnham, palese clone di Quitely, che non è mai un male (anzi, mi chiedo come mai nel 2018 continuino a nascere tantissimi cloni di Madureira, e mai abbastanza di Quitely, forse in tutto sono due, Burnham e Ormston di Black Hammer). Chris Sprouse, col suo segno minimalista è una goduria, le belle atmosfere di Frazer Irving, gli stupendi layout di J.H. Williams III. Un po’ meno Tony Daniel, Benjamin, Sook e altri di cui non ricordo il nome, ma nel complesso sempre sulla media positiva.

Black Science vol. 6, Rick di Remender e Matteo Scalera

black science 6 scalera remender Giovanni Timpano

Anche in questo caso prendo il sesto volume, appena letto, per parlare dell’intera serie. Volume dopo volume questa Black Science ha conquistato il mio cuore. Solitamente non sono un grande fan delle sci-fi opere di stampo familiare, per dire, i Fantastici Quattro non mi hanno mai fatto impazzire, né da ragazzino né oggi (detto questo non vedo l’ora di leggere la nuova run di Slott/Pichelli, più per Pichelli che per Slott), ma come dicevo, numero dopo numero mi sono affezionato alla famiglia McKay e alle loro vicissitudini extra-dimensionali.

La varietà di situazione in cui si trovano, la crescita dei vari personaggi, interiore ed esteriore, cattivi che diventano buoni, buoni che diventano cattivi, situazione comiche alternate a drammi, morti e ritorni. Insomma tutti gli elementi classici della space opera. In particolare il quarto volume mi ha folgorato, quello incentrato sul passato di Grant McKay, sulla lotta contro i suoi demoni, che lo hanno reso in qualche centinaio di pagine, il mio padre da fumetto preferito, con tutti i suoi pregi, ma soprattutto i suoi difetti. Quest’uomo con i suoi disperati tentativi di difendere la sua famiglia, mi strugge.

A questo punto mi chiedo se c’è davvero bisogno di parlare dei disegni di Matteo Scalera: è palese che non ci sarebbe stato un Black Science senza lui, percepisci quanto questa serie è veramente figlia del suo dinamismo, la caratterizzazione dei suoi personaggi, la varietà degli ambienti che riesce a creare. Il suo segno frenetico ha pochi pari, giusto un mostro come James Harren raggiunge certe vette. Spero veramente che questi due continuino a lavorare su Black Science ancora a lungo, perché ogni volta che ho l’impressione che sia arrivato ad un punto di svolta, ad una specie di “fine”, eccoli lì che si inventano qualcosa di nuovo, facendo ripartire la giostra, rimescolando tutte le carte.

Concludo con un sesto, strappo alla regola: mentre scrivo queste righe ripenso a Gli arcanoidi di Maicol&Mirco, letto giusto qualche giorno fa, fatevi un favore, leggetelo anche voi!

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