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Graphic NovelSunday Page: Emanuele Giacopetti su "Maus"

Sunday Page: Emanuele Giacopetti su “Maus”

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica ospitiamo Emanuele Giacopetti, Nato a Genova nel 1982, ha collaborato con numerose autoproduzioni, tra cui Lucha Libre, Bradiponauta e Costola. Il suo ultimo fumetto è Il regno animale, edito da BéBert Edizioni.

maus

La tavola che ho scelto è la pagina 210 di Maus di art spiegelman. Per la precisione quello che trovo strepitoso sono le prime 4 vignette dove l’autore interrompe il racconto del padre per chiedere conferma dell’orchestra di Auschwitz all’uscita dei prigionieri per il lavoro.

Penso che in questa tavola ci sia molto del mestiere di fare i fumetti e moltissimo di chi fa fumetti su fatti reali. Immagino che sia andata così: durante il lavoro di ricerca che Spiegelman affianca alle interviste a Vladek, l’autore trova testimonianze e foto dell’orchestrina del lager. È un’immagine “ghiotta” sia come resa grafica che come simbologia dell’assurdità del luogo in cui si svolge la storia, vuole mettercela ma può mettercela non solo se l’orchestra è esistita realmente, ma anche se suo padre l’ha vista e la ricorda. La grandezza del disegnatore sta nel decidere di inserire tutto questo ragionamento nel fumetto usando i testi per proporcelo e il segno grafico per risolverlo.

Nella tavola le due vignette di flashback sono poste una sopra l’altra, la loro compattezza visiva mantiene solido il flusso narrativo mentre in mezzo, la vignetta della domanda di Art Spiegelman sull’orchestra spacca come un frame il “film” del racconto. È tutto molto veloce, la terza vignetta è la stessa scena della prima un secondo dopo: Vladek ha negato di ricordare la musica all’uscita del lager, ma l’orchestra non è sparita, è solo sommersa dall’ondata dei prigionieri in colonna. In fondo, minuscoli, vediamo ancora spuntare il contrabbasso e la bacchetta del direttore: il racconto storico e quello personale coesistono nella stessa vignetta.

Queste quattro vignette diramano il fumetto su tantissimi livelli, si potrebbe dire che questo (come molto di Maus) è metafumetto allo stato puro. La sequenza che si legge in poco più di due secondi ci parla del lavoro di ricerca dell’autore, della diversa scala di valori attribuita ai dettagli del racconto fra il fumettista e il sopravvissuto, ci fornisce elementi topografici e sonori che si aggiungono al racconto collettivo dell’olocausto e, infine, utilizza l’orchestra per riportare la storia alle proporzioni del minuscolo punto di testimonianza oculare del topo Vladek.

Quand’è che hai letto per la prima volta l’opera – o comunque la prima volta che ne hai sentito parlare?

Allora: la prima volta che ho visto Maus è stata nel 1994, avevo 12 anni e a Genova era stata organizzata la mostra “Arte della libertà” con opere del ventennio che va dalla prima alla seconda guerra mondiale. Opere di Dix, Grosz… Già di suo incredibile.

Una delle mostre abbinate all’evento era: “Maus-TOPOgrafia del terrore” (l’altra esponeva foto di Robert Capa, una roba così a Genova non l’abbiamo vista mai più). Quindi il mio primo impatto con Maus è stato con le tavole originali di Spiegelman, gli schetchbook e tutto il materiale di ricerca utilizzato per il lavoro compresa un’intervista video al padre.

La prima volta che ho visto la mostra (ci sono tornato) mi ha portato mia madre che deve aver visto la mia faccia e ha deciso di comprarmi (40.000 lire) Maus, che era ai tempi in edizione con i due volumi distinti. Con Maus quindi è stato da zero a mille al primo impatto. Per me fino ad allora il fumetto era Bonelli e Topolino quindi, oltre ad aprirmi un mondo, è stato un po’ come nei sogni quando le persone che conosci (in questo caso Topolino) sono sempre loro ma in maniera disturbante.

Il lavoro di ricerca storica poi dava ai miei occhi per la prima volta il valore di documento ad un fumetto. Vladek ad un certo punto si infervora nel ribadire il suo ruolo di testimone oculare e facendolo all’interno di un fumetto che è esperienza esclusivamente visiva per natura legittima Maus come testimonianza oculare di un testimone oculare (scusa il bisticcio di parole).

La pagina che hai scelto è anche interessante perché mostra un tedesco ‘diverso’, in qualche modo empatico con gli ebrei, negando una delle grandi critiche a Maus, esemplificata in Katz, cioè la fallacia logica dietro alla scelta di rendere con un solo animale le diverse nazionalità – come a dire, tutti i tedeschi sono gatti, tutti gli italiani sono cani. Secondo te l’idea si Spiegelman regge?

L’idea di Spiegelman regge, per vari motivi. Innanzitutto io penso che le responsabilità delle nazioni siano collettive, comprese le nazioni guidate da una dittatura. Quello che una nazione decide di fare necessita comunque della passività di molti per farlo quindi occorre raccontare gli episodi controcorrente ma inserendoli nel contesto della massa determinante da cui si distaccano.

Un gatto quando non si comporta da gatto non diventa un cane, rimane un gatto che si comporta diversamente. È un gatto l’SS empatica come è un gatto il prigioniero che dice di essere vittima di un errore perché tedesco. Inoltre Spiegelman racconta i protagonisti dividendoli, tranne che nel caso degli ebrei, per nazionalità e non per etnia, religione o altro, così facendo baipassa il livello del pregiudizio inserendo la sua allegoria nel contesto dell’analisi storica delle nazioni in quel momento.

Inoltre va detto che in realtà l’idea di Spiegelman è geniale in quanto non inventa nulla ma sviluppa l’idea di Goebbels e Steicher ritorcendola contro di loro, e lo fa da ebreo consapevole che la parola “ebreo” è la più evocativa di stereotipi fra le parole esistenti.

L’episodio di Katz mi sembra piazzarsi fra la paraculata e la sega mentale, ma probabile son io che non capisco, penso comunque non si tratti di fumetto ma entri nell’ambito dei gesti artistico-concettuali che poco mi interessano, anzi un po’ mi fanno pure incazzare. Sulla questione invece ebrei-purelorogatti, parlando da convinto antisionista mi sento di dire che la cosa non regge dal punto di vista storico, il genocidio degli ebrei d’Europa nelle loro coniugazioni nazionali è uno dei primi atti fondativi dello stato d’Israele, identificare le scelte odierne di Israele con le vittime dell’olocausto è un favore che non voglio fargli. Poi graficamente non mi piace come è venuto quindi parto prevenuto.

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