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Floyd Gottfredson: inventare Topolino a fumetti

Floyd Gottfredson non pensava che sarebbe finito a disegnare i fumetti di Topolino. Era entrato in Disney per fare l’animatore pochi mesi prima, ma poco dopo Ub Iwerks, colonna portante dello studio, l’animatore che aveva creato Topolino insieme a Walt Disney, se n’era andato sbattendo la porta, lasciando vacante il ruolo di disegnatore della strip di Mickey Mouse, scritta dallo stesso Walt.

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Un giovane Floyd Gottfredson al tavolo da disegno

In quarantacinque anni di produzione, Floyd Gottfredson, con la preziosa collaborazione dei suoi sceneggiatori, di Bill Walsh e dei vari inchiostratori che si sono succeduti, ha contribuito come nessun altro autore a definire Topolino per i fumetti, riuscendo a incorporare elementi presi dai contemporanei disegni animati in un tessuto narrativo diversissimo, creando nuovi personaggi o arricchendo la personalità di spalle e villain che nei minuti contati degli short animati non potevano essere definiti al meglio.

Il suo stile ha saputo evolversi di pari passo con quanto avveniva nei cinema: se si confrontano una storia degli anni Trenta e una dei Cinquanta potrebbe non essere semplicissimo accorgersi che si tratta dello stesso, straordinario autore.

Nella sua lunghissima carriera ha inaugurato filoni e stilemi che ancora oggi sono alla base di tantissime storie di Topolino: quante avventure abbiamo letto in cui Topolino, seduto tranquillo sulla poltrona di casa, viene convocato con urgenza da Basettoni alle prese con un caso apparentemente insolubile? Ebbene, questo non è che l’incipit di Il mistero di Macchia Nera, continuamente ripreso e adattato migliaia di volte da autori di tutto il mondo.

Qualcuno alla lezione dell’autore si è rifatto in modo più marcato, come Romano Scarpa, ma possiamo dire che ogni storia con Topolino di ieri e di oggi deve sicuramente qualcosa alle creazioni di questo artista, così come ogni storia con i Paperi deve qualcosa all’altro pilastro del fumetto Disney: Carl Barks.

Gli esordi

Walt Disney non era molto interessato ai fumetti e non lo sarebbe mai stato: le sue attenzioni erano monopolizzate prima dai cortometraggi animati, poi dai film come Biancaneve e i sette nani, e alla fine da televisione e parchi a tema. Dei fumetti non gliene è mai importato granché.

Capiva però che una striscia quotidiana dedicata a Topolino sarebbe stato un formidabile modo per rendere il suo personaggio ancora più famoso e accettò quindi di occuparsene in prima persona. Teniamo a mente che siamo nel 1930 e che gli studios Disney sono ancora lontani dal diventare il colosso che conosciamo.

Ad ogni modo, quando Iwerks lasciò gli studi, venne temporaneamente messo come rimpiazzo Win Smith, che già si occupava di inchiostrare le strisce di Iwerks. Smith concluse la prima avventura della serie Topolino nell’isola misteriosa, e poco dopo l’inizio della seconda storia, Topolino nella Valle infernale, Disney decise di chiamare Floyd Gottfredson, giusto per qualche settimana.

Il giovane animatore in realtà aveva sempre sognato di disegnare fumetti, ma si era lasciato convincere da Walt ad accettare un lavoro da intercalatore nel reparto animazione. Avrebbe dovuto cioè realizzare i disegni intermedi del movimento, lasciando quelli più importanti agli artisti più esperti.

Nato il 5 maggio 1905 a Kaysville, nello Utah, aveva lavorato come proiezionista e si era trasferito a Los Angeles sperando di diventare vignettista. L’incontro con Walt lo aveva momentaneamente spostato in un settore diverso, ma il destino volle che non rimanesse animatore molto a lungo.

Smith se n’era appena andato perché Disney voleva sbolognargli anche il compito di scrivere la striscia, e il disegnatore non ne aveva alcuna intenzione, così Walt si ricordò di quel ragazzo che voleva fare i fumetti e decise di chiamarlo come rimpiazzo temporaneo.
Spero di non fare uno spoiler troppo grande se vi dico che sarebbe rimasto lì per ben 45 anni.

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La prima striscia di Topolino attribuita a Floyd Gottfredson, pubblicata il 5 maggio 1930

All’inizio il segno di Gottfredson è ancora acerbo e le trame di Disney non possono dirsi esattamente memorabili. La storia vede avvicendarsi per una manciata di strisce anche un altro disegnatore di nome Jack King. Come se non bastasse, nel bel mezzo della storia Disney cede a Gottfredson anche l’incombenza della scrittura.

La mole di lavoro è tale da impedire all’artista di occuparsi anche della tavola domenicale, richiesta a gran voce dal distributore, il King Features Syndicate, che viene accontentato solo nel 1932, quando finalmente a Gottfredson sono affiancati degli sceneggiatori: Webb Smith, Ted Osborne e Merrill de Maris, che si avvicendano durante gli anni Trenta, anche se Floyd continua a occuparsi dei soggetti. Anche agli inchiostri si succedono diversi artisti, compreso Al Taliaferro, che in seguito disegnerà le domenicali delle Silly Symphonies e di Paperino.

L’arrivo di Floyd Gottfredson coincide con l’inizio di una continuità narrativa più stringente, e l’introduzione di due cattivi: uno, Lupo, che ritornerà in una manciata di storie prima di essere dimenticato; l’altro, un certo Pietro Gambadilegno, nato nei corti animati e destinato a comparire giusto un altro paio di volte…

Sin dall’inizio, ancor prima dell’arrivo di Gottfredson, si afferma l’abitudine della striscia di riprendere gag, situazioni e spunti narrativi dai contemporanei short cinematografici, talvolta anche anticipandone l’uscita. Si comincia con Topolino desideroso di diventare aviatore come nel cortometraggio Topolino pilota (1933), nella storia Le prodezze di Topolino aviatore (1933) e si continua con Topolino e i due ladri (1932), che riprende una messinscena del romanzo La capanna dello zio Tom dal corto Il melodramma di Topolino, che uscirà solo l’anno successivo.

A volte Gottfredson riprende precisamente le inquadrature dei disegni animati, con una straordinaria abilità a inserire brevi gag all’interno di un contesto più avventuroso e in una trama maggiormente articolata.

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Il cartoon “Il melodramma di Topolino” a confronto con il fumetto “Topolino e i due ladri”

Arriva l’avventura

La componente avventurosa che renderà le storie di Topolino a striscia un classico del fumetto sindacato non c’è ancora nei primissimi anni della strip. Nei cartoon le storie non possono che essere umoristiche, perfette per i pochi minuti di pellicola, con una grande enfasi sull’aspetto sonoro e musicale, che proprio Disney e Topolino avevano introdotto con il primo cortometraggio distribuito nelle sale Steamboat Willie.

Nonostante affiorino elementi più avventurosi, come il sequestro di Clarabella da parte di una banda di perfidi zingari (il politically correct non era ancora stato inventato), gli avversari di Mickey per ora sono il dispettoso Gatto Nipp e il pugile Creamo Catnera, che nel nome fa il verso al celebre boxeur friulano Primo Carnera.

Il dosaggio degli ingredienti di Gottfredson e dei suoi collaboratori si evolve di pari passo con quanto avviene nelle sale: a un corto come Topolino e lo scienziato pazzo (1933) nel fumetto corrisponde Topolino e Orazio nel castello incantato (1932), un gothic horror in chiave disneyana in cui a Topolino viene affiancato Orazio, dato che Pippo era apparso in animazione solo pochi mesi prima.

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“Topolino e Orazio nel castello incantato”, dalla prima edizione italiana sul Supplemento a Topolino (collezione Leonardo Gori)

Nel giro di qualche mese il bilanciamento tra umorismo e avventura pende ora decisamente a favore di quest’ultima, e Topolino diventa l’unico funny animal che è al contempo uno dei grandi eroi del fumetto avventuroso, alla pari con Phantom o Brick Bradford.

Graficamente, Floyd Gottfredson migliora di storia in storia, attenendosi sempre con attenzione al modello cinematografico. A livello caratteriale invece, Topolino è un entusiasta, un puro che non esita a buttarsi a capofitto in un’avventura o ad aiutare qualcuno in difficoltà.

È un aspetto difficile da individuare nei cortometraggi animati, dove nei primi tempi il Nostro può anche avere un ruolo di giullare, con gag costruite attorno a lui e ai suoi errori. Dopo qualche anno, diventato il simbolo stesso degli studios Disney, non gli è più concesso: le trovate comiche devono essere affidate alle spalle, che si tratti di Pippo, Paperino o di qualche occasione animale da compagnia, come il buffo cavallo Piedidolci.

Nelle storie a fumetti questa evoluzione contribuisce a rafforzare la posizione di Topolino come action hero, ma nei cinema decreterà il lento accantonamento del personaggio, difficile da padroneggiare perché non poteva più essere al centro delle gag.

Gli anni Trenta diventano così quelli della Grande Avventura, in cui Gottfredson perfeziona ulteriormente il delicato equilibrio tra gag e azione, grazie anche allo sviluppo di Pippo, personaggio dalla vena surreale che però l’autore non tratta mai come uno sciocco, ma come una sorta di campione del “pensiero laterale”, caratterizzato in originale anche da una buffa parlata da hillbilly.

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La filosofia di Pippo

Le storie di questo decennio riprendono con attenzione i filoni più celebri del cinema del periodo: il western, le imprese aviatorie, le storie di pirateria, l’esotico Oriente e la fantascienza fanno tutti capolino, talvolta anticipando clamorosamente cose che si vedranno al cinema (o nei fumetti) solo anni dopo.

Tra gli esempi più interessanti possiamo ricordare Topolino e il bandito pipistrello (1934), in cui il cattivo firma i suoi messaggi con un piccolo chirottero stilizzato, proprio come farà Batman qualche anno dopo nelle sue prime avventure, ma soprattutto la splendida Il misterioso “S” flagello dei mari (1935), in cui Topolino si scontra con un cattivo, il pirata Orango (in originale Doctor Vulter) in possesso di un sottomarino in grado di rapire i passeggeri delle navi e di una base nascosta dietro a un’altissima scogliera. Dopo essere stato Intrappolato dal malvagio, Mickey riesce a liberarsi e a sventare i piani di conquista del folle criminale.

L’intreccio anticipa quello dei film di James Bond degli anni Sessanta: un villain misterioso e folle, veicoli fantascientifici (come il submarplane che usa Topolino) un rifugio segreto per i cattivi e l’eroe che alla fine riesce a cavarsela per il rotto della cuffia. Puro 007, con trent’anni di anticipo!

Alle avventure ai quattro angoli del mondo se ne alternano altre più leggere e umoristiche, talvolta con un animale disturbatore a fare da spalla, come il buffo struzzo Oscar o l’elefante Bobo.

D’altra parte il Topolino di Gottfredson non perde mai di vista il contatto con la realtà: la povertà di Clarabella in Il tesoro di Clarabella (1935), così simile alla situazione di milioni di persone negli USA di allora, il gangsterismo imperante di Topolino giornalista (1935), in cui inizia a pubblicare un giornale di denuncia della corruzione imperante in città…

Un altro punto di forza di Floyd Gottfredson sono i cattivi: a parte l’immarcescibile Gambadilegno, qui ben lontano dal rapporto di quasi-amicizia dei giorni nostri, i grandi villain dell’autore sono irrimediabilmente destinati ad una sola o al massimo una manciata di apparizioni, in grado però di lasciare il segno. È il caso del citato Orango, del serafico ladro gentiluomo Giuseppe Tubi, di Eli Squick, uno spietato strozzino, e naturalmente di Macchia Nera, usato solo in una storia a strisce, ma nei decenni successivi villain fondamentale nei comic book e soprattutto nella produzione estera, in particolare italiana.

Lo stesso discorso può farsi anche per i comprimari “buoni” non derivati dall’animazione, anche loro designati ad un rapido oblio, come Musone e il dottor Enigm di Topolino e il mistero dell’uomo nuvola (1936), profondo conoscitore dei terribili rischi dell’energia atomica con quasi dieci anni di anticipo sulle tragiche esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. Non si può non citare poi il viziatissimo monarca identico a Topolino, Re Sorcio di Gran Tassonia, che permette a Topolino di fare un tuffo nel cappa e spada nella miglior tradizione de Il prigioniero di Zenda (Topolino sosia di re Sorcio, 1937).

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La grande maestria di Floyd Gottfredson, da “Topolino e il mostro bianco”

Topolino sembra non fermarsi mai, e dopo essere diventato re si imbarca con Pippo su una baleniera in Il mostro bianco (1938), storia che segna probabilmente uno dei massimi risultati del Gottfredson disegnatore. I personaggi sembrano balzare fuori dalla pagina, grazie ad un uso perfetto delle ombreggiature, e l’autore si avvale di un retino tipografico che esalta il suo segno: se non vedessimo davanti a noi un topo e un cane parlanti, le imbarcazioni e i dettagliatissimi sfondi potrebbero benissimo essere presi da una serie d’avventura.

La perdita dell’illusione

Con la storia Topolino e Robinson Crusoe (1938), in qualche modo, l’illusione si rompe.
Riprendendo uno spunto della storia realizzata per le tavole domenicali Topolino Ammazzasette (1938) ci viene svelato che Topolino è in realtà un attore cinematografico: un colpo molto pesante per una serie che per anni ci aveva quasi illuso che un topo antropomorfo sia in grado di compiere eroiche imprese.

La storia è importante anche perché vengono introdotti gli occhi che lo caratterizzano ancora oggi: il cambiamento avrebbe dovuto essere anticipato al cinema, nel cortometraggio L’apprendista stregone, che però, diventando parte integrante del film Fantasia, sarebbe uscito solo nel 1940. Floyd Gottfredson inizialmente fatica a rendere questo “nuovo” Topolino espressivo come il predecessore.

Meritano a questo punto un breve cenno anche le tavole domenicali, di cui Floyd Gottfredson si occupa dal 1932 al 1938, prima di passare il testimone a Manuel Gonzales. Ci sono alcune differenze tra le strip quotidiane e le tavole domenicali di Mickey Mouse. Oltre alla diversità di formato, le tavole domenicali sono per la maggior parte autoconclusive, e solo una parte costituisce avventure a continuazione, simili a quelle pubblicate nei giorni feriali.

In alcuni casi, come Topolino e Robin Hood (1936), è evidente un forte elemento fantastico e fiabesco, del tutto assente nelle contemporanee strip giornaliere, mentre in altri, come Topolino contro Wolp il terribile brigante del West (1933) lo stile si basa sulla stessa mescolanza di umorismo e avventura delle strisce quotidiane.

Nelle tavole autoconclusive, invece, Mickey è protagonista di brevissime storielle comiche, di ambientazione urbana. Sembra che le tavole domenicali cerchino in questi casi di raccontarci la vita quotidiana di Mickey, un aspetto del personaggio che, nelle strip, è riservato solo alle pause tra un’avventura e la successiva.

In questo periodo di passaggio la vera gemma è probabilmente Il mistero di Macchia Nera (1939), un giallo che introduce un nuovo, grande cattivo, le cui interazioni con Mickey sono molto diverse da quelle con Gambadilegno. Come se non bastasse, appare per la seconda volta Manetta (già comparso in La banda dei piombatori, 1938) ed esordisce il commissario Basettoni: il cast di innumerevoli avventure poliziesche dei decenni successivi è al completo!

Il cambio di decennio, mentre l’incubo della Seconda Guerra Mondiale si fa sempre più vicino, vede un Mickey meno eroico e meno sicuro, spaziando dalla satira sociale di La lampada di Aladino (1939), in cui la presenza di un genio della lampada segna una forte rottura con la verosimiglianza degli anni prima, al ripercorrere atmosfere passate, in questo caso il western con La barriera invisibile (1940), fino ai viaggi nel tempo di Topolino all’età della pietra (1940) e al Canada di Topolino e il boscaiolo (1941).

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Una striscia dalla composizione particolarmente originale, tratta dalla storia “Topolino nella Seconda Guerra Mondiale”

Dopo dieci anni dall’esordio lo stile Floyd Gottfredson non si è ancora cristallizzato: nei comprimari e in alcuni tratti più spigolosi di prima è possibile vedere le prime avvisaglie dello stile dell’artista maturo. Accanto a Gottfredson alla sceneggiatura c’è ancora Merrill De Maris, ma la magia del decennio precedente sembra essere in parte svanita.

Durante la guerra non mancano storie in cui Topolino è alle prese con sabotatori nemici o con i nazisti, di cui fa parte persino Gambadilegno.

Un nuovo sceneggiatore: Bill Walsh

È proprio in questo cruciale periodo che arriva ai testi Bill Walsh, scrittore così torrenziale che a detta di Gottfredson «ci sarebbero volute quattro strisce per disegnare quello che lui scriveva per una», come riportano Gori e Stajano nel saggio Il Grande Floyd Gottfredson – Una vita con Topolino.

Una volta prese le misure, Walsh si rivelerà un autore eccezionale, tanto che, per la prima volta, Floyd Gottfredson abbandona il ruolo di soggettista, lasciando a Walsh onori ed oneri della scrittura della serie.

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Bill Walsh

Già nelle prime storie affiora una vena surreale e un gusto per l’assurdo che prima non c’era, mentre Floyd Gottfredson porta a compimento l’evoluzione del suo stile, che si fa sempre più essenziale, fluido e spigoloso, perfettamente in linea con quanto avviene nei corti del cinema.

Non manca poi un’inquietudine serpeggiante (come gli “aberzombie” di La cassetta elettronica, 1943) che darà alla striscia i suoi momenti migliori qualche anno dopo.
Walsh non si preoccupa troppo di dare coerenza interna alle storie e di giustificare avvenimenti straordinari: in Le meraviglie del domani (1944) Topolino arriva nel futuro grazie a un mantello invisibile che gli consente di viaggiare nel tempo (abbandonando definitivamente i pantaloncini rossi), mentre in Topolino nell’isola della morte (1944) appare una ciurma di fantasmi.

È un ottimo esempio della differente sensibilità di Walsh rispetto ai predecessori: in due storie precedenti Topolino aveva avuto a che fare con i fantasmi (La casa dei fantasmi, 1936 e I topi d’albergo, 1940) che si rivelavano sempre essere truffatori o criminali in carne ed ossa. Qui invece gli spiriti sono davvero spiriti, segno che le storie di Topolino non devono più avere limitazioni di alcun genere.

Perfino la morte dei cattivi di turno non è più un tabù, come accade alla perfida Drusilla di La casa misteriosa (1944). L’innocenza, il coraggio e l’incoscienza degli anni Trenta sono perduti: Topolino si ritrova invischiato nelle vicende non per spirito d’avventura ma perché i guai gli si presentano sull’uscio di casa e sembra a volte che riesca a cavarsela più per fortuna che per autentica abilità, diventando il protagonista perfetto per Walsh e per la sua narrazione ironica e smitizzatrice.

Uno dei punti più alti della coppia Walsh & Gottfredson è senza dubbio il ciclo di avventure in cui viene introdotto Eta Beta, iniziando dalla prima storia Eta Beta, l’uomo del Duemila nel 1947.

Il racconto di questo misterioso essere dalle peculiari abitudini e del suo tentativo di ambientarsi nel nostro mondo è davvero riuscito. I due inventano il nuovo personaggio a poco a poco, navigando a vista, come spesso accadeva agli autori di strisce per i quotidiani, obbligati a scadenze serrate e tempi sempre molto stretti. Le abilità di Eta Beta appaiono e scompaiono ma difficilmente i lettori, che gusteranno la storia al ritmo di una striscia al giorno, se ne accorgeranno.

È sempre all’interno di queste storie che fa la sua unica apparizione (almeno nel Topolino sindacato) uno dei pochi cattivi all’altezza di quelli degli anni Trenta: la Spia Poeta, anche lui destinato al ruolo di one-hit wonder.

Eta Beta, d’altra parte, è probabilmente il solo personaggio non derivato dall’animazione a rimanere nella striscia a lungo, per ben tre anni. Mentre la sua permanenza prosegue, inizia a perdere le sue originarie caratteristiche di diverso, trasformandosi in un comodo deus ex machina per far uscire Mickey da una situazione senza via d’uscita, grazie alle sue capacità apparentemente illimitate.

Nell’ultima avventura in coppia, Eta Beta e il tesoro di Mook (1950) – una riuscita caccia al tesoro in giro per il mondo – riappare anche Gambadilegno, adesso passato dalla parte dei Russi (che pure non vengono nominati esplicitamente): uno spunto per ironizzare perfidamente sulle presunte libertà di oltrecortina. La guerra fredda è già iniziata, e i due autori danno dell’Unione Sovietica una rappresentazione ben poco positiva: vediamo che i carri armati sono di cartapesta, le rivolte sono pressoché quotidiane e per strada la gente porta degli aggeggi per costringerla a sorridere.

All’inizio di Topolino buffone del re, in sole due strisce, si consuma l’addio di Eta Beta.
L’uomo del futuro è entrato nella vita di Mickey come elemento destabilizzante, una sorta di Pippo all’ennesima potenza, che permette a Walsh di sfogare qualunque fantasia: oltre a una logica e una filosofia di vita “altre”, lo scrittore lo dota di poteri sensazionali, gli fornisce un gonnellino inesauribile, lo trasforma in un genio della scienza, combinando il tutto con una personalità particolarmente simpatica e accattivante. Eta Beta riesce a eclissare qualunque altro comprimario, compreso Pippo, iniziando a insidiare lo stesso Mickey, che si trova a dividere la scena con lui. Ormai distante dall’eroico personaggio del tempo che fu, viene facilmente messo in ombra dall’ometto del futuro, e nella strip a lui intitolata sembra quasi un semplice comprimario.

Si dice che sia stato per il troppo successo che Floyd Gottfredson e Bill Walsh decisero di pensionare Eta Beta, che riapparirà grazie ad altri autori solo nelle storie per gli albi a fumetti, ma forse si è trattato di un più semplice caso di esaurimento della vena creativa, per un personaggio ormai diventato difficile da mettere nei pasticci.

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La prima apparizione di Eta Beta

Con il ciclo di Eta Beta si conclude il passaggio di Gottfredson al suo stile più maturo, che definiva streamlined (aerodinamico) e che dichiarava di preferire a quello degli anni Trenta, anche perché a suo dire più leggibile.

Il “nuovo” Floyd Gottfredson diventa così più vicino non solo alla contemporanea animazione Disney, ma anche al segno degli artisti che faranno della sintesi grafica una bandiera, come Charles M. Schulz (Peanuts) o Johnny Hart (B.C.).

Partito Eta Beta, Walsh spinge sul pedale della satira, rimettendo al centro della scena Pippo, poco visto negli anni precedenti. In Pippo a Hollywood (1951) ironizza sul mondo del cinema e sullo show business, che conosce bene avendo lavorato come ghost writer e public relations man per la coppia formata dagli attori Gracie Allen e George Burns e per il mimo Edgar Bergen.

Giusto l’anno prima, nel 1950 Walsh aveva debuttato come produttore per lo show televisivo Disney One Hour in Wonderland. Dopo l’avventura fumettistica, Walsh si concentrerà su questo settore, sceneggiando tra l’altro un capolavoro come Mary Poppins (1964).

L’ironia risulta sempre azzeccata, e la vena surreale dello sceneggiatore si sposa alla perfezione con l’esagerato sfarzo hollywoodiano, che già risulta sopra le righe in partenza.
È un momento importante per Pippo, che scompare però subito dopo: sembra che Walsh riesca a gestirlo al meglio solo ponendolo in contesti insoliti, come accadrà anche in seguito.

Dopo Hollywood ritornano le storie in cui predomina la componente fantasy, tra viaggi nel tempo e un anello in grado di rendere immensamente ricchi (La macchina Toc Toc, 1951 e L’anello di Re Mida, 1952). E se con Eta Beta un elemento alieno veniva inserito a forza nella nostra società, alcune avventure sono un ottimo pretesto per spedire Topolino in mondi dove tutto funziona al contrario, come in L’isola Neraperla (1952).

Walsh dimostra di sapersi destreggiare con generi diversi, con una punta hitchcockiana in Topolino contro Topolino (1953), forse una delle storie più inquietanti dello scrittore, in cui Topolino scopre che anche la sua pacifica casetta di periferia può essere piena di pericoli, specie quando un criminale con la tua faccia cerca di sostituirsi a lui.

Ma ancora più inquietante è Pippo cervello del secolo (1955), in cui Pippo scompare nel nulla, per poi riapparire come il geniale scienziato Dr. X, una delle menti più brillanti del secolo. I misteri al riguardo si accumulano, ma non vengono risolti alla fine. Scopriremo solo che il Dr. X è veramente Pippo, che a un certo punto ritorna il solito adorabile personaggio, ma non verrà mai spiegato da cosa sia scaturito il suo cambiamento.

È l’ultimo capolavoro di Walsh e Gottfredson: dopo altre due storie, non particolarmente memorabili, il King Features Syndicate decide che è giunto il momento di convertire la striscia in una serie di gag autoconclusive. È un cambiamento epocale, perché a parte occasionali periodi, come durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la serie era sempre stata composta di strip strettamente collegate tra loro.

Le motivazioni alla base della scelta sono state chiarite dallo stesso Gottfredson, come riporta Alberto Becattini nel saggio Floyd & Mickey: «La televisione aveva cominciato a sottrarre pubblico ai quotidiani. Tutti i quotidiani erano in crisi, e le agenzie che distribuivano le strip a fumetti facevano di tutto per promuovere il loro prodotto, cosicché decisero che per i fumetti di tipo umoristico fosse più adatta la struttura autoconclusiva a gag, poiché la televisione era in grado di raccontare storie avventurose molto meglio di quanto potessero fare le strisce a continuazione di un fumetto umoristico.» E ancora: «solo le strisce realistiche potevano competere con la TV sulle storie avventurose».

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L’ultima striscia di Topolino “a continuazione”, 4 ottobre 1955

Il nuovo corso inizia con la striscia del 5 ottobre 1955. Walsh continuò a scrivere le
strisce fino al 1962, quando fu costretto a rinunciare a causa dei troppi impegni cinematografici e televisivi.

I testi della strip passarono a Roy Williams e in seguito a Del Connell. La scelta del Syndicate di tornare alle gag autoconclusive non aveva però entusiasmato Gottfredson che, nel 1967, ancora in attività, dichiarò (sempre in Floyd & Mickey): «Preferirei tornare a realizzare qualche storia a continuazione… anche se trattata in maniera umoristica, cosicché se un lettore “salta” una o due strisce non ha importanza.»

Gli ultimi lavori di Floyd Gottfredson su Topolino

Negli anni Sessanta, comunque, Gottfredson rifinì un paio di storie disegnate da altri autori, illustrando anche alcune avventure a tema natalizio, oltre a sostituire occasionalmente Manuel Gonzales per le Sunday Strips di Mickey Mouse. Il ritiro di Gottfredson arrivò il 1° ottobre 1975, dopo 45 anni di lavoro praticamente ininterrotto con Topolino. Curiosamente, l’ultima strip che Gottfredson disegnò non aveva come protagonista Mickey, ma Pippo.

La pensione di Gottfredson non significò, tuttavia, il completo distacco dal mondo del
fumetto. Dopo avere accarezzato per un po’ l’idea di realizzare una strip satirica con un
personaggio di sua invenzione, Marc O’Polo, Gottfredson si rese conto di cosa avrebbe
significato ritornare alla fatica continua che una nuova serie avrebbe comportato.

A partire dal 1978, su invito del collezionista Malcolm Willits, si cimentò poi nel ruolo, per
lui inedito, di pittore, realizzando 24 acquerelli aventi come soggetto, naturalmente, Topolino. I quadri riprendevano le classiche avventure dei tempi d’oro, e Gottfredson fu
felicissimo di impratichirsi nella tecnica dell’acquerello, dopo decenni passati a usare solo
matita e china.

Purtroppo, verso il 1982, le condizioni di salute di Gottfredson iniziarono a deteriorarsi e per gli ultimi due dipinti fu costretto a evitare di elaborare immagini originali, ricopiando due illustrazioni realizzate anni prima. Floyd Gottfredson morì il 22 luglio 1986, a 81 anni, nel suo appartamento in Whitsett Avenue, dietro le colline di Hollywood.

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Uno dei quadri dipinti da Floyd Gottfredson e ispirati alle sue storie più famose. Qui il riferimento è a “Topolino e il mistero di Macchia Nera”

Si diceva in apertura che l’unico autore paragonabile a Floyd Gottfredson per importanza e influenza sull’intero fumetto disneyano è Carl Barks. Come questo ha scritto e disegnato le avventure dei paperi per tutta la vita, forgiandone il carattere e il mondo e arricchendolo di comprimari, così Gottfredson ha messo le basi di quello che sarebbe stato Mickey per 70 anni, da quando altri autori hanno iniziato a raccontarne le storie a oggi.

Ma se i fumetti dell’Uomo dei Paperi vengono ristampati con grande frequenza, per leggere quelli dell’Uomo dei Topi occorre armarsi di un po’ di pazienza. Potete provare così: andate sul sito dell’INDUCKS, cercate una delle storie menzionate nell’articolo e partite da lì.
Per averne un piccolo saggio potrebbe essere utile recuperare i numeri 3 e 9 di Tesori International (Panini) o la collana allegata al Corriere della Sera Gli anni d’oro di Topolino, che ha ristampato tutta l’opera di Floyd Gottfredson con Topolino.

Potrete così recuperare un pezzo alla volta un’epopea non solo straordinariamente influente, ma ancora oggi in massima parte fresca e piacevolissima da leggere come appena uscita.

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