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FocusIntervisteAlessandro Baronciani: «Le immagini hanno perso il loro negativo»

Alessandro Baronciani: «Le immagini hanno perso il loro negativo»

È uscito alla fine del 2018 per Bao Publishing il nuovo graphic novel di Alessandro Baronciani, musicista e fumettista, già autore di Una storia a fumetti, Le ragazze dello studio di Munari e La distanza (con il cantautore Colapesce).

alessandro baronciani negativa

Il nuovo libro si intitola Negativa e mostra un Baronciani per certi versi inedito in termini di stile e contenuti. Abituato a storie sentimentali, introspettive, con Negativa l’autore ha preso infatti una svolta nera, che tocca il thriller e l’horror. Eppure non ha perso i propri tratti più distintivi, con un racconto che ha al centro i sentimenti, stavolta carichi di implicazioni estreme.

Ad alcune settimane dall’uscita, ormai a mente fredda, è il momento di discutere con l’autore di quale è stato il processo che ha portato a questo interessante capitolo della carriera di uno degli autori più interessanti del panorama italiano.

Negli ultimi anni hai realizzato La distanza con Colapesce, hai pubblicato da solo Come Svanire Completamente, una storia particolare “chiusa in una scatola” e c’è stata la ristampa di un tuo libro ormai introvabile come Le ragazze nello studio di Munari, ma questo nuovo lavoro è il tuo ritorno al libro a fumetti più tradizionale. Cos’è cambiato nel tuo modo di lavorare, nel frattempo?

Non so cosa sia cambiato, non penso sia cambiato qualcosa. Piuttosto con Negativa volevo tornare al bianco e nero, utilizzando questo stile in modo che però avesse un significato preciso.

Non era una questione di semplificare (oggi stampare a colori non è più – quasi – un problema), doveva essere il pensiero da cui partire. La prima suggestione che mi è arrivata per questa storia è stato un video di qualche anno fa: una bellissima sfilata di Chanel su Youtube dove queste modelle fantastiche sfilavano in un bosco ricostruito in un gigantesco palazzo delle esposizioni a Parigi. Ho appena rivisto il video: è del 2013, questo per farti capire quanto alle volte le idee si sedimentano in testa e un po’ alla volta prende forma qualcos’altro.

Guardatelo, è ancora affascinante e suggestivo. Poi sono arrivate “le immagini”, e la fotografia, i rullini, i negativi e i telefoni. Provai a scrivere un piccolo soggetto, sembrava una storia da supereroi e pensai che le cose si stavano sommando abbastanza bene…. Così un po’ di anni più tardi ho tirato le somme… Mi piace tirare le somme.

alessandro baronciani negativa

Negativa è una storia di genere. Cosa ti ha spinto verso l’horror e il thriller?

Mi piacerebbe che lo fosse. Forse più che veramente horror è una storia inquietante. Ai miei amici, più che la trama in sé, ha fatto paura il fatto che fossi riuscito a disegnare una storia di questo genere.

Avevo voglia di mettermi alla prova, di sperimentare, anche se quando dico “sperimentare” ho sempre paura di essere frainteso. Volevo scrivere e giocare con la paura, che è sempre stata una componente del mio divertimento da adolescente.

Dai primi Dylan Dog comprati in edicola, ai film horror visti al cinema, o nelle prime videocassette prese a noleggio, dai libri di Stephen King che giravano tra amici alle montagne russe, che ci salivi lo stesso anche se ti spaventavano a morte perché poi quando scendevi si rideva tantissimo.

In un certo senso sembra un libro col quale un po’ ti allontani da certi tuoi temi abituali, quelli delle storie introspettive e sentimentali, vero? O perlomeno vedi in prospettiva diversa certi rapporti.

Mhh, no. Ci sono sempre storie d’amore e belle ragazze, soltanto che questa volta muoiono.

Cos’è che ti ha influenzato di più?

Sono partito dalla fotografia. La storia ha preso forma da questa idea che mi girava in testa e dal fatto che oggi le immagini hanno perso il loro “negativo”. Prima del digitale ad ogni immagine corrispondeva una sua controparte, fissata su una pellicola. Questa componente dell’immagine era importante se volevi che venisse riprodotta. In un certo senso ne dava l’autenticità, ne comprovava la realtà. Una foto era la documentazione di un avvenimento e il negativo tratteneva tutto il suo lato “non vero”, finto. Questa contrapposizione tra vero falso, bianco e nero, è stato l’inizio della storia che racconto in Negativa.

Mi hanno influenzato tantissimo le letture di Camera Chiara di Barthes, le interviste di Bauman sulla “società liquida” e poi le mie ultime riletture a fumetti, tra le quali Tezuka e Go Nagai. Rileggo sempre Devilman prima di cominciare a disegnare un libro nuovo.

In Negativa trovo infatti molto manga, sia graficamente (con le tante pagine al vivo) che nei temi, vicini a un Tezuka degli anni Settanta (penso a storie come La cronaca degli insetti umani, Barbara, I.L).

Non ho mai sopportato l’impaginazione, ai miei esordi la consideravo semplicemente superficiale. Mi piacevano i manga, ma graficamente i miei primi fumetti erano formato “pocket”, tipo Diabolik. Due inquadrature una sopra e una sotto. Venivo dalla Scuola del Libro di Urbino ed ero abituato ad immaginarmi lo storyboard con le vignette tutte uguali, 9×12, una vicina all’altra. Non mi piacevano le immagini lunghe e strette nei fumetti, soprattutto per far capire un panorama. Non sono panoramiche, sono soltanto strette! E soprattutto quando le guardo riesco a vedere tutto.

Mi piaceva invece l’idea di usare delle pagine che si aprivano a cancelletto. Il lettore doveva guardare la tavola e svelare l’immagine nascosta nella pagina.

Ho iniziato a pensare veramente all’impaginazione di un mio fumetto con Negativa. Il libro si apre con un parabrezza infranto da una testa e le inquadrature nella pagina si spargono in mille pezzi, come il vetro dell’automobile. La prima volta che il taglio diagonale mi ha coinvolto tantissimo è stato quando per la prima volta ho letto Devilman di Go Nagai. In quel fumetto l’impaginazione è parte fondamentale della storia.

Di autori che usano così bene la pagina che amo tantissimo ci sono Guy Peellaert e oggi Eldo Yoshimizu. Negativa è pensato dall’inizio alla fine a doppie pagine. Quindi è un po’ come andare al cinema e sedersi davanti ad uno schermo gigante tagliato a caso in tante parti da un rasoio. A colpo d’occhio capisci cosa succede, e poi, “entri” nella pagina cominciando a leggere la storia spostandoti tra le didascalie.

alessandro baronciani negativa

In interviste e presentazioni ragioni spesso sul ruolo che hanno le immagini oggi, in un mondo in cui ci si nutre di immagini si comunica per immagini. Questo libro è anche una tua riflessione sul tema?

Sì, come ti dicevo tutto nasce da queste suggestioni sul negativo, sulla fotografia, che aveva perso il suo supporto. Ho cominciato a pensare a questa “ribellione delle ombre”. Ombre non più rinchiuse nella pellicola ma libere di danneggiare, di fare male semplicemente perché contrapposte al bene o più semplicemente perché nate senza sapere cosa fosse.

Prova a pensare ad una persona anaffettiva cresciuta senza ricevere mai un abbraccio. Per loro è naturale, non è un problema, non capiscono o meglio non hanno questo bisogno di sentirsi abbracciati. Così doveva essere la violenza per le ombre, inconsapevole e opposta ad una idea generale su cosa sia l’affetto. Negativa nasce come quando, in una storia di supereroi, un cattivo nasce. Dipende sempre dalla luce che produce il supereroe nel momento della sua creazione. Più forte è il bene che lo spinge più efferato e senza senso è il male che spinge il cattivo, l’ombra, a uccidere.

Continui a esplorare le possibilità di una cartotecnica alternativa e diversa, con apertura di pagine o pagine tagliate. Qual è la motivazione dietro a questa ricerca?

Le pagine “panoramiche” venivano appunto dalla voglia di nascondere qualcosa agli occhi nella stessa pagina. Avevo scoperto questo “effetto speciale” già dalle mie prime autoproduzioni. 

Sono dei giochi, mi piace pensare a delle soluzioni per idee che ho in testa e vedere se funzionano. Anche Quando tutto diventò blu aveva una invenzione: il colore dell’inchiostro non era nero ma blu. L’idea veniva dalla rivista Shonen Jump, dai primi numeri che ero riuscito ad avere da amici che andavano in Giappone. Tra una storia e l’altra nel settimanale maschile cambiava il colore della carta mentre in altri settimanali femminili cambiava il colore degli inchiostri.

Le idee sono in giro e, come diceva Munari, «da cosa nasce cosa». Bisogna capire soltanto dove potrebbero andare bene. Quando penso ad una storia vado avanti fino a quando non riesco ad immaginarla in stampa… L’esperienza deve coinvolgere, e l’oggetto libro non deve essere soltanto un “supporto”. Deve far parte della storia.

Come accennavi, il formato compatto che si avvicina ai classici pocket italiani ti caratterizza, o almeno ti caratterizza il fatto di evitare i formati più ordinari. Come mai, qual è l’idea che c’è dietro? Qui ci si avvicina quasi ai classici italiani del genere nero anche nella tematica.

Anche se Negativa è un po’ più grande, ho amato tantissimo il formato pocket. Come amo il formato manga. Non capisco perché non nascano nuovi progetti editoriali da edicola italiani in formati così piccoli. A me piace tantissimo L’A5. Ci sono legato dalle autoproduzioni. Disegnavo in A4 e poi riducevo la tavola in A5. Contenevo i costi, era facile da spedire, perfetto.

Ho sempre pensato all’oggetto che hai in mano come a qualcosa di prezioso. In Come Svanire Completamente sono arrivato all’A6. Piccolo e speciale come una cartolina. Ancora oggi vado alla ricerca di vecchi Diabolik o di Kriminal disegnati da Magnus per mercatini, hanno un formato perfetto. Non si confonde con le altre riviste.

Il cinema e la fotografia sono centrali in questo libro. Ti ho già sentito citare in altre occasioni Antonioni, ed effettivamente leggendo questo libro viene in mente Blow Up .

Ci sono varie citazioni nascoste o più o meno esplicite. Ci sono i dipinti di Dino Buzzati – anche lui amante e cronista di nera – c’è Crepax (ma non c’è Valentina, e in un certo senso Negativa è il capovolgimento del fumetto di Crepax). Anche il fotografo all’interno della storia all’inizio doveva assomigliare a Rembrant (il fidanzato di Valentina). Poi ci sono Nicolas Winding Refn, Bava padre e Bava figlio e ovviamente Dario Argento.

Anche la musica è sempre parte integrante del tuo lavoro. Una colonna sonora / playlist per questo libro?

Andrea Provinciali sulla sua pagina Spotify ne ha fatta una speciale da ascoltare mentre si legge il libro. Nella prima parte di questa playlist ci sono canzoni legate un po’ a me e ai miei ultimi anni di lavoro (ad esempio l’amicizia e la collaborazione con Colapesce da cui sono nati il libro La distanza e il Concerto Disegnato). Nella seconda parte, in generale, ci sono un sacco di canzoni dark! Mi piacciono soprattutto i testi delle canzoni in questa compilation. Perché parlano tutte più o meno di paura e di quanto sia difficile capire dove andare quando si è spaventati. Si trova QUI.

negativa alessandro baronciani

Nella tua carriera hai collaborato spesso con altri artisti, come musicista, colorista, autore. Nel mondo del fumetto d’autore italiano credo che in parte manchi uno spirito di collaborazione, sono rare le esperienze come quelle dei Super Amici, per citare altri autori, e anche i gruppi di autoproduzioni sembrano ragionare sempre in modo personalistico. Cosa ne pensi?

Collaborare vuol dire creare qualcosa insieme. È difficile, e si deve mettere da parte qualcosa di sé per creare qualcosa di più grande insieme a qualcun altro. Secondo me ci deve essere alla base una necessità, una sorta di bisogno dell’altro. Mettere insieme un gruppo, invece, è un modo per divertirsi, farsi forza a vicenda e spendere meno perché ci si dividono i soldi e soprattutto le spese.

Chi rimane indietro viene stimolato da quelli più avanti. Ultimamente, le fanzine sono sempre più belle, e con l’aumento della possibilità tecnologiche (pensa solo al print on demand) si hanno più possibilità di creare basse tirature e stampare quello che si desidera molto più facilmente.

Per quanto riguarda i problemi, nelle collaborazioni spesso non si riesce a combinare niente. Ci si vede per pranzare insieme, si parla tantissimo e a vanvera e difficilmente si conclude qualcosa. Come un seme in un vaso che aspetta che cada la pioggia per crescere. Ci si prova sempre, ma spesso non nasce mai niente.

Nelle fanzine i problemi invece sono i contenuti altalenanti, 6 pagine con una storia bellissima e disegni spettacolari e poi 20 altre pagine di “prove tecniche di trasmissione”, cioè materiale quasi sperimentale, fatte dall’autorepiù per se stesso che per un possibile lettore. È vero che viene fatta anche e soprattutto per questo, ma mi aspetto un avanzamento dell’idea di fanzine… non so dirti neanche come. Ci hanno provato disegnando riviste a tema, poi però spesso il tema scelto non interessava a tutti i partecipanti e così, da essere un elemento di unione tra tutti gli autori, diventava soltanto un gioco fine a se stesso o peggio il compitino.

Ci vorrebbe un “2.0” nella creazione di fanzine collettive. Qualcosa che unisca i partecipanti creando un contenuto unico non solo nel formato. Penso all’antologia americana Kramers Ergot o a gli ultimi due numeri di Puck messi in piedi da Hurricane Ivan. L’effetto è incredibile, e la lettura è veramente stupefacente, come direbbe Max Collini, «molto più della facile battuta».

Stai già lavorando a un nuovo fumetto?

Sì! Devo sempre pensare ad un nuovo fumetto mentre finisco di disegnare il libro che sto stampando. È l’unico modo in cui riesco a non sentirmi vuoto quando improvvisamente va tutto in stampa. Il prossimo fumetto parlerà di pillole, pasticche, medicinali. Non so ancora bene cosa succederà e molto probabilmente userò la mia piattaforma di crowdfunding perché sarà speciale come Come Svanire Completamente.

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