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FocusStoria di "Alita", il manga di Yukito Kishiro

Storia di “Alita”, il manga di Yukito Kishiro

Il 14 febbraio esce nei cinema italiani Alita – Angelo della battaglia, film diretto da Robert Rodriguez (Sin City) con l’appoggio produttivo di James Cameron (Avatar), che per anni ha inseguito e desiderato con forza la trasposizione cinematografica dell’omonimo manga di Yukito Kishiro. Un’opera che ha fatto la storia del fumetto giapponese, riprendendo riferimenti culturali importanti – orientali e occidentali – per rimescolarli all’interno di suggestioni inedite.

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Le vicende editoriali
Unanimemente riconosciuto come un titolo di punta del fumetto giapponese degli anni Novanta e non solo, Alita emerse dalle suggestioni di Akira di Katsuhiro Otomo, conclusosi pochi mesi prima sulle pagine di Young Magazine, raccogliendone in qualche modo il testimone.

Alita l’angelo della battaglia – il cui titolo originale è Gunnm, unione delle parole “gun” (pistola) e “dream” (sogno) – iniziò a essere serializzato in Giappone a cavallo tra 1990 e 1991 e fu poi raccolto in nove volumi, per concludersi nel 1995. In Italia, dopo una fugace apparizione sulle pagine di Zero (rivista ammiraglia della casa editrice Granata Press), fu pubblicato da Planet Manga (allora Marvel Manga) a partire dal 1997, nel pieno del manga-boom che sarebbe proseguito fino ai primi anni Duemila con autori contemporanei quali Naoki Urasawa, Tsutomu Nihei e Hiroki Endo. Al centro di questa rivoluzione c’era la fantascienza, declinata nelle sue forme più trasversali e talvolta imprevedibili.

Il manga di Kishiro fu poi ristampato in edizione di grande formato tra il 2001 e il 2002, con l’inserimento di alcuni brevi episodi inediti e l’eliminazione del finale originale, per volontà dello stesso autore, in vista della pubblicazione del seguito della serie, ovvero Alita Last Order (pubblicato in Giappone fra il 2001 e il 2014). Nel 2016 infine, Planet Manga ha ristampato la serie originale in nove tankobon, del tutto simili a quelli giapponesi, ripristinando anche il finale originale.

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Alita fu il parto della mente di un ventitreenne, nerd fino al midollo, che alla fine degli anni Ottanta (quando la parola “nerd” era decisamente un insulto un po’ in tutto il mondo) decise di convogliare le sue ossessioni in una lunga storia a fumetti, tentando il grande salto nell’industria editoriale giapponese, in cui già aveva fatto capolino con alcune storie brevi. Lo fece sfidando quella stessa industria, visto che la fantascienza all’epoca era un genere poco trattato e mal visto negli autori esordienti.

Prese tutto quello di cui era follemente appassionato (arti marziali, armi, tecnologia e filosofia cyberpunk, lingue straniere, musica) e ci costruì intorno una storia che, in buona sostanza, parlava di umanità. È facile chiedersi, immersi nella lettura, se sia più umano un cyborg con un vero cervello o un uomo in carne e ossa con un chip nella scatola cranica.

L’epopea della protagonista, prima cacciatrice di taglie, poi giocatrice di motorball, poi agente governativo, segnata da terribili lutti e rivelazioni sconvolgenti (chi era, prima di finire tra i rottami della Città Discarica? Perché è così esperta di arti marziali? Che cosa la lega a Salem, la città sospesa, sogno e incubo di tanti?), circondata da comprimari tratteggiati in maniera memorabile, inchiodò milioni di lettori prima in Giappone e poi nel resto del mondo, rivelandosi un successo. L’autore però patì gli inesorabili meccanismi editoriali giapponesi e, a causa di un forte esaurimento nervoso, finì col dover chiudere la serie in modo improvviso.

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Postmodernismo
Alita è un’opera che lavora assiduamente sul concetto di postmoderno, celebrando innanzitutto l’impianto che ne rappresenta l’ispirazione. Uno scienziato trova il corpo di un cyborg e lo trasforma in un guerriero con un cuore in una società futurista, distopica, in cui l’organizzazione sociale è rigidamente verticale. Vi ricorda qualcosa? Ovvio: Astroboy di Osamu Tezuka. Kishiro partì quindi dal prodromo, là dove tutto è iniziato. Lo fece raccogliendo gli elementi chiave del classico di Tezuka, cioè la proposizione di un intreccio mai banale in cui sentimenti, esistenzialismo, riflessione politica e sociale, disumanità, crudeltà si sovrapponevano fino a creare una tela impressionante per profondità e coinvolgimento emotivo. Il tutto fu calato in un contesto di genere specifico, quello fantascientifico.

Kishiro prese poi a modello l’altro caposaldo del manga, colui che aveva coniugato intrattenimento e riflessione, Oriente e Occidente, portando questa metodologia di racconto su un piano internazionale: Katsuhiro Otomo. Da lui prese la cura esasperata per le prospettive, l’attenzione per quel cinetismo che esplode all’improvviso da situazioni apparentemente tranquille, la costante tendenza a generare una dimensione in perfetto equilibrio tra puro intrattenimento e un impianto concettuale di un certo peso.

Ma i riferimenti non si limitarono a opere unicamente nipponiche: l’amore per la cultura e l’arte occidentale portarono Kishiro a realizzare una sorta di sintesi in cui molteplici suggestioni e la propria, intima visione del mondo e dell’arte convogliarono in una sola, mastodontica opera. Frank Miller, Moebius, Jim Lee su tutti ma, come ha avuto modo di dichiarare lo stesso autore, anche Enki Bilal e Taiyo Matsumoto.

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Il film
Il primo progetto per un film risale al 2000, con Cameron già coinvolto nella produzione. Una genesi molto lunga, dunque, che ha portato al film in uscita in questi giorni, che è interpretato da Rosa Salazar (Alita), Christoph Waltz (dott. Dyson Ido), Jennifer Connelly (Chiren), Ed Skrein (Zapan), Jackie Earle Haley (Grewishka) e Keean Johnson (Hugo), tra gli altri.

Il film copre la prima e la seconda parte del fumetto, con la protagonista che viene salvata dal dottor Ido per poi diventare una giocatrice di motorball. I produttori hanno già confermato di essere al lavoro su un possibile sequel, che proseguirà le vicende di Alita secondo quanto raccontato da Kishiro nel suo manga.

Articolo scritto in collaborazione con Federica Lippi.

Leggi anche:
Le prime recensioni del film “Alita – Angelo della battaglia”
La Panzer Edition di Alita

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