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FocusL'imbarazzante anomalia di "Escaflowne"

L’imbarazzante anomalia di “Escaflowne”

di Jacopo Mistè

La mancata pubblicazione in Occidente delle serie robotiche di punta di Sunrise degli anni Ottanta ha arrecato un danno culturale di dimensioni incalcolabili, soprattutto per quanto riguarda il secondo mercato più grande del mondo dell’animazione giapponese: gli Stati Uniti.

È a causa di questa voragine che negli anni Novanta il pubblico mondiale pensa di scoprire in Evangelion il primo titolo del genere basato su storia e personaggi, e crede che prima vi fosse solo il tokusatsu à la Toei Animation; è per questo che travisa l’opera di Tomino e si appassiona all’orrendo Gundam W del 1995, primo titolo della saga a uscire dalla madrepatria; ed è sempre per questo se saluta come un capolavoro un concentrato di mediocrità assoluta come Escaflowne dei cieli di Sunrise.

Insieme a Cowboy Bebop, Escaflowne è uno dei titoli ad alto budget che invadono gli schermi occidentali in quel periodo, e affascina perché è la prima commistione tra robotico e fantasy distribuita fuori dal Giappone, e soprattutto perché è graziato da animazioni, disegni e musiche di livello eccelso, frutto dei trenta milioni di yen a episodio stanziati da Bandai.

Ancora oggi, in Occidente, Escaflowne è considerato troppo spesso un titolo fondamentale, ma sono gli sghiribizzi della storia della cultura, circostanze che inducono la collettività a scambiare la cacca per il cioccolato. In madrepatria Escaflowne non è, come si legge spesso, un’opera passata inosservata. In madrepatria Escaflowne è un flop: trasmesso su TV Tokyo a partire dal 2 aprile 1996 ogni martedì sera alle 18:00, rimedia uno share medio del 5,18% e vendite di model kit ridicole. E nonostante il numero degli episodi sia pianificato – secondo il trend tracciato da EvangelionEscaflowne non è un figlio della terza generazione di registi: è stato congegnato anni prima dal padre di Macross, Shōji Kawamori.

Genesi
Il viaggio in Cina e in Nepal del 1990, che ispira a Kawamori Macross Plus, gli suggerisce anche un’altra idea. Un giorno, camminando ad alta quota, vede dall’alto delle montagne un pezzo di terra immerso nella nebbia: immagina che possa diventare il palcoscenico per un’epica storia di guerra, destino e divinazione. Accettata l’offerta di Bandai Visual di creare Macross Plus e Macross 7, Kawamori convince l’azienda e Sunrise a permettergli di realizzare anche questa visione. Allo studio avrebbe detto: «Se Macross sono robot e canzoni, perché non fare una storia di robot e divinazione?».

Nel progetto iniziale, il candidato protagonista è lo spadaccino Van, ma alla fine si sceglie, con originalità, di affidare il ruolo a una ragazza, Hitomi, di fare di Van il suo partner e aiutante, e di sfruttare l’intrigante ambientazione per parlare del mito di Atlantide, del Triangolo delle Bermuda e di ulteriori topos fantarcheologici. Il prodotto si avvia a diventare la classica serie mecha adolescenziale, tanto che la regia generale è affidata alla star di Giant Robot The Animation – Il giorno in cui la Terra tremò, Yasuhiro Imagawa, che la imposta come un’opera da 39 episodi facendo di Hitomi una bomba sexy, con seno grande, capelli lunghi e occhiali.

È lo stesso Imagawa a coniare il nome Escaflowne, da “escalation”. Ma le cose non andranno come devono perché la pre-produzione va per le lunghe: nel 1994 Imagawa viene spostato su G Gundam, Kawamori è impegnato su Gundam 0083, su Macross Plus e su Macross 7. Il progetto è in stallo, e torna in auge solo con l’arrivo del regista definitivo, Kazuki Akane, che propone delle modifiche alla storia, poi approvate.

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Sotto la gestione di Akane, i 39 episodi diventano 26 e, per lasciare intatta la storia senza modificarla troppo, la si comprime pesantemente, riempendo di materiale ogni episodio e tagliando ogni tanto le sigle per lasciare quanto più spazio possibile alla narrazione; la divinazione diventa lettura dei tarocchi; si cerca un target più basso, passando dai maschi adolescenti ai bambini delle elementari di entrambi i sessi, e così si decide di trasformare il rapporto tra Hitomi e Van in un amore idealizzato e inverosimile da shōjo manga, creando un nugolo di triangoli sentimentali.

Anche per questo, Hitomi è ridisegnata dal character designer Nobuteru Yūki, e perde i tratti sensuali della visione di Imagawa per assumere quelli in cui le bambine possano riconoscersi: capelli corti e fisico atletico. Al di là di tutto ciò, la storia di guerra è lasciata intatta: è la fine, perché nel 1996 Escaflowne esce sui teleschermi proprio con questa bizzarra fisionomia, che mescola personaggi e situazioni infantili con un tema maturo.

Un po’ di trama
Conosciuto internazionalmente come una storia epic fantasy, con agonismi cavallereschi, navi volanti, razze prese di peso dal più generico J-RPG e la grande odissea di un gruppo di eroi, che viaggia di regno in regno affrontando un impero malvagio, Escaflowne è, assai più onestamente, una storiellina sentimentale inverosimile ambientata in un mondo di fiaba. Hitomi Kanzaki è una gioviale studentessa delle superiori con l’hobby della lettura dei tarocchi, che pratica per scherzo ignorando di possedere per davvero latenti capacità divinatorie.

Nel giorno fissato per dichiarare i suoi sentimenti al suo adorato senpai finisce invece, rocambolescamente, con il conoscere Van Fanel, giovane spadaccino che sembra provenire da un altro pianeta e che affronta sotto i suoi occhi un incredibile drago apparso dal nulla. Il tempo di parlare col ragazzo ed ecco che lui e Hitomi sono catapultati nella mistica terra di Gaea. Van si rivela essere l’erede al trono del regno di Fanelia: ha appena superato la prova di iniziazione per essere sovrano ed è pronto ad accompagnare la ragazza a Fanelia per trovare il modo di riportarla a casa.

I due assistono invece alla distruzione del regno da parte del bellicoso impero di Zaibach, interessato a conquistare l’intero pianeta con l’aiuto di potenti tecnologie legate alla scomparsa civiltà di Atlantide. Hitomi e Van, insieme al Guymelef da combattimento Escaflowne, ovvero un mecha, iniziano una fuga dagli emissari nemici, e approfittano delle capacità di premonizione della ragazza che si sono appena risvegliate per salvarsi, di volta in volta, dai vari pericoli. Riusciranno a riportare la pace su Gaea, stringendo alleanza con gli altri sovrani di quelle terre? E quali sono i reali scopi del malvagio imperatore?

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Argomento principale di Escaflowne è il triangolo amoroso, comprensivo di tutti i cliché shōjo umanamente concepibili, tra Hitomi e i due spadaccini che l’accompagnano nella sua avventura, Van Fanel e Allen Schezar, un adone dalla fluente chioma bionda che presto si unisce al gruppo. I topos fondanti della narrazione sono fraintendimenti, elucubrazioni mentali, capricci e ripicche, immancabili comprimari spaccacoppie e baci che non si devono dare in un certo momento perché visti da persone che non devono essere lì in quel momento.

Escaflowne è la storia della classica eroina sensibile e moralizzatrice in piena esplosione ormonale e contesa da figaccioni, che durante la guerra, incomprensione dopo incomprensione, gelosia dopo gelosia, passa da un partner all’altro, pensando solo all’amore invece che ai pericoli mortali che affronta quotidianamente e alle migliaia di vite perse in mezzo alle battaglie davanti ai suoi occhi. Contesto drammatico e avventuroso solo sulla carta quindi, ridicolizzato dal miele.

È evidente, per come è strutturata la serie, che ad Akane il sentimentalismo – scadente – interessa più dei robot. Deludentissimo è anche il modo in cui sono gestite la fantarcheologia e soprattutto l’immaginaria Atlantide, inquadrate per l’ennesima volta nella solita idea delle attrezzature supertecnologiche sopravvissute alla distruzione che utilizzate in un certo modo minacciano di condizionare in modo irreparabile il futuro del pianeta, in un blando rifacimento di Giant Gorg, di Nadia nel mare delle meraviglie e di chissà quante altre storie già raccontate.

Alto budget, contenuti ridicoli
Escaflowne è una barzelletta. Tenta disperatamente di prendersi sul serio con le sue scene di morte e distruzione, con l’antagonista complesso che compie il male per fare del bene, con il tirapiedi sadico e isterico, le città dal design europeo, scenograficamente ben disegnate e riconoscibili l’una dall’altra, con i dialoghi saccentemente aulici e spocchiosi, i duelli all’arma bianca, il cozzare di spade filmato in modo lirico, con un accompagnamento musicale altrettanto solenne.

Ma scade ripetutamente nel ridicolo ogni qualvolta subentra il registro rosa o, ancora peggio, il suo imbarazzante crogiuolo otaku di donne-gatto, fighetti, androgini tenebrosi e scontati sviluppi da soap opera come rivalità famigliari, paternità celate, tradimenti, migliori amiche innamorate dello stesso uomo e compagnia. Con i suoi numerosi risvolti amorosi, così estremizzati da generare pentagoni sentimentali, con il suo enorme numero di personaggi privi di ripercussione, Escaflowne è un perfetto esempio di anime ad alto budget e dai contenuti ridicoli.

In particolar modo è odiosa la ruffianeria con cui cerca di compiacere i suoi target: al pubblico maschile getta in pasto gli evocativi mecha Guymelef, medievaleggianti e organici, che con il loro smisurato livello di dettagli e il sofisticato design con gemme incastonate nelle armature altro non sono che scopiazzature dei Mortar Headd di Mamoru Nagano. Il bianco Escaflowne titolare è bellissimo: è un robot antropomorfo e ricoperto di scaglie, provvisto di un elegante mantello e capace di trasformarsi in un drago volante. Gli scontri tra Guymelef sono sontuosi, con animazioni fluide e continuative, figlie dello specialista Hirotoshi Sano, e lenti movimenti di grande fisicità.

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Sull’altro versante, il pubblico femminile, quello che in tutta evidenza il regista insegue maggiormente, trova nella serie paturnie amorose, bellocci in ogni salsa, abbigliamenti stilosi e personaggi maschili con l’orecchino o l’ombelico fuori, finanche elementi poetici (non lo sono, ma perché rovinare l’illusione?) come l’eterea sigla di apertura cantata da Maaya Sakamoto, anche voce giapponese di Hitomi, o come le angeliche ali sbandierate dai personaggi appartenenti alla razza draconiana, finalizzati a creare una ridicola impressione di purezza celestiale.

La civetteria si somma al già portentoso lato tecnico: animazioni spettacolari, largo uso di computer grafica splendidamente fusa insieme a disegni 2D, e il colorato, bellissimo – nonostante i famigerati nasoni – character design bishōnen di Yūki, l’interprete per antonomasia delle storie fantasy. La colonna sonora di Yōko Kanno e Hajime Mizoguchi – affidata come in Giant Robot all’orchestra filarmonica di Varsavia e immancabilmente cult presso legioni di animefan occidentali – celebra le sequenze più importanti con suggestive sinfonie gregoriane. Esteticamente tutto bellissimo, vuole sembrare solenne e ci riesce: il giocattolone è servito.

Tuttavia l’opera fin dall’inizio mostra chiaramente allo spettatore cosa lo aspetta. Akane ammette che Gundam il fante mobile e le opere di Hayao Miyazaki lo hanno influenzato più di qualunque altra cosa, ed evidentemente ispirato male da Tomino, fa di Escaflowne un remake non dichiarato di Dunbine. Le similitudini sono troppe perché si tratti di mera coincidenza, dall’umano del “mondo di sopra” che porta la tecnologia bellica in un mondo pacifico distruggendone l’equilibrio alle alleanze e contro-alleanze che caratterizzano la guerra. Ora che Dunbine è stato distribuito ufficialmente in terra americana, che bisogno c’è di esaltarsi per questo tributo grossolano?

Fa anche sorridere leggere che Akane definisca Escaflowne una storia sull’importanza di comprendersi, famoso tema tominiano di cui nell’intreccio non v’è traccia. Solo due idee meritano: la presenza di un celebre scienziato del XVII secolo in qualità di personaggio attivo, e la tematica filosofica del rapporto tra destino e volontà, sviluppata sia attraverso le credenze dei protagonisti sull’esistenza di un inesorabile disegno superiore, sia mediante l’operato di un cattivo che auspica un superamento delle leggi del fato. Sono due elementi integrati decentemente nella trama e convivono in armonia con le suggestioni atlantidee: purtroppo si presentano solo negli ultimi due episodi, troppo tardi per giustificare la mole di sciocchezze e, se non si fosse capito, di noia che bisogna sopportare per arrivarci. Notevole, infine, l’epilogo che distrugge il senso della vicenda sentimentale.

Nel 2000 la storia, modificata radicalmente, resuscita nel lungometraggio Escaflowne (in Italia Escaflowne – The Movie), animato da zero in seguito al successo estero della serie. Lo staff è interamente riconfermato, e Akane definisce l’opera come la versione di Escaflowne rivolta a un pubblico maturo. Lo è per davvero, contraddistinta com’è da un elevato tasso di scene splatter e gore, ma il risultato è comunque ancora una volta trascurabile, specie dal lato tecnico, di poco superiore a quello della serie televisiva.

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