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FocusLo sguardo del fumetto secondo Richard Corben

Lo sguardo del fumetto secondo Richard Corben

I fumetti hanno quella complessità che solo i bambini, e chi ne ha mantenuta o recuperata la lucidità dello sguardo, sanno decifrare. Voglio dire: per riuscire a godere di un fumetto è necessario riuscire ad avere uno sguardo prescolastico, libero da quell’ idealistica tirannia dell’alfabeto, per resistere alla quale Roy Harris ci ha dato gli strumenti.

ricard corben saggio boris battaglia
La copertina del saggio Un dove che non c’è – La geografia anatomica di Richard Corben, da cui è tratto questo articolo

Pensa che l’insegnamento dell’alfabeto, cioè dell’imparare a leggere e scrivere, non ha subito particolari modifiche da come si svolgeva nel Primo Secolo avanti Cristo, secondo le istruzioni di Quintiliano. Questa sclerotizzazione ultramillenaria che ha bloccato, a livello pedagogico, l’evoluzione del nostro rapporto diretto con la scrittura (mentre si evolvevano – scusa, non è nemmeno il termine giusto “evolversi” – diciamo piuttosto: mentre cambiavano in modo radicale i mezzi e i supporti della scrittura) e la lettura, che ancora ci fanno credere abbiano più valore di altre forme narrativo/espressive rottami come il romanzo e la poesia, ha inciso e purtroppo incide, con risultati necrotizzanti, sul nostro sguardo.

Uno sguardo alfabetizzato infatti, se non si è mai trovato in un rapporto disarmato dalle sovrastrutture scolastico/ idealistiche che gli hanno inoculato a scuola, con il cinema o il fumetto non ci capisce un cazzo. Per questo trionfano film brutti e fumetti peggiori. Uno sguardo “scolarizzato” ha notevoli difficoltà a decifrare il percorso (per questo il fumetto è, se non disprezzato, considerato con sufficienza dai cosiddetti lettori forti) di una storia a fumetti. Uno sguardo libero dalle pastoie scolastiche (credo sia chiaro che non nutro molta simpatia per la scolarizzazione, in particolare quella primaria, come intesa nel nostro Occidente) si muove con più facilità, e senza pregiudizi letterari (cioè, non va perennemente alla ricerca di metafore e simboli da decifrare che nel fumetto, quando gli stessi autori ce le mettono, è perché non hanno capito una sega di che cos’è il fumetto) in mezzo alle vignette.

Insomma. È questa la stupidità di cui deve servirsi chi legge fumetti. Una cosa che ha a che fare con lo stupore, non con l’idiozia. Quel tipo di sguardo che caratterizza e salva (fino a che resta tale) un personaggio come Vic.

new worlds magazine

Nel 1964 Michael Moorcock viene assunto dalla Roberts & Vinter Ltd., casa editrice londinese specializzata in fantascienza, come editor (e a questo punto vorrei farti notare l’assoluta rilevanza che hanno gli editor nella storia che, in qualche modo, ti sto raccontando). Quello stesso anno la Roberts & Vinter aveva rilevato dalla Nova Publication, costola dedicata alla fantascienza del gruppo Maclaren & Sons, la storica rivista New Worlds.

New Worlds da circa trent’anni pubblicava racconti fantasy e di fantascienza, e Moorcock ne diventa, per personale inclinazione, il principale redattore. Solo che per una serie di problemi finanziari legati a una pessima gestione distributiva, dopo due anni la casa editrice decide di sbarazzarsene. Nessuno la vuole rilevare e la sorte di New Worlds sembra segnata: il suo destino è la chiusura, ma grazie all’aiuto di Brian Aldiss (per dirti quanto è considerato Aldiss nel Regno Unito: nel 2005 la Regina in persona gli ha conferito il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Capisci? È come se Giorgio Scerbanenco fosse stato nominato senatore a vita), che gli procura il finanziamento dell’Arts Council of Great Britain (capisci? È come se il nostro Ministero della Cultura avesse finanziato la Nova Express di Luigi Bernardi). Moorcock riesce a rilevarla, con una società creata per l’occasione (la Magnelist Publications) e a pubblicarla come rivista indipendente.

Con una redazione all’osso, lui come direttore, Langdon Jones come redattore e Charles Platt come grafico, Moorcock dal luglio del 1967 trasforma una rivista vecchia e stanca in uno dei principali avamposti della New Wave letteraria su cui, per dieci anni, si formeranno almeno due generazioni. Sulle sue pagine troveranno spazio autori rivoluzionari come Dick, Ballard, Burroughs e Spinrad, il cui Jack Barron e l’immortalità, con le scene di sesso esplicito, causerà non pochi problemi alla rivista, che si vedrà sospeso per un certo periodo il finanziamento pubblico.

Sul numero di New Worlds dell’aprile del 1969, Moorcock pubblica un racconto lungo di Harlan Ellison: A Boy and His Dog. L’accoglienza dei lettori per questa storia fu tale che Ellison, già pochi mesi dopo, lo trasformò in un romanzo (breve) e nel 1974 ne venne tratto anche un film. Per il fumetto invece dovremo attendere il 1988: affidato alle matite di Richard Corben, ne verrà fuori un’opera per la quale, ti assicuro, è valsa la pena aspettare.

richard corben vic blood

Quando Vic and Blood: The Chronicles of a Boy and His Dog esce per la St. Martin’s Press in una serie di leggeri comic book, sono passati dieci anni esatti dalla pubblicazione di Mondo Mutante. L’ambientazione però sembra quasi la stessa. Più cupa (cupezza dovuta anche alla colorazione tipografica), più urbana, ma sempre di un mondo post-apocalittico si tratta.

Vic è un quindicenne, si muove in un mondo devastato da due guerre mondiali (la terza e la quarta), spinto da due sole pulsioni: la fame e il sesso. Diversamente da Mondo Mutante, qui le coordinate di quello che è successo ci vengono date, in una breve introduzione in cui la voce narrante è quella del cane Blood. Ma è ovvio: il testo originale è un romanzo e, a differenza delle immagini, le parole (e qui sta quel vizio che indebolisce e impoverisce lo sguardo del lettore di letteratura quando si approccia ai fumetti) devono raccontarti quello che è successo, non possono solo mostrartelo.

Dopo la quarta guerra mondiale, la parte migliore dell’umanità sopravvissuta alla catastrofe si è rifugiata sotto terra in enormi città cisterna, abbandonando la superficie a masnade di ragazzini orfani, che vagano senza meta, accompagnati dai loro cani telepatici.

Vic ricorda abbastanza Dimento, e lo ricorda anche dal punto di vista intellettuale. È Blood, il suo cane telepatico, a raccontarci che il suo amico umano non brilla certo per intelligenza, però è uno che se la cava bene nella desolazione del mondo là fuori… anzi, forse se la cava proprio perché non è una cima, perché le sue azioni non sono dettate da nessuna consapevolezza, ma dall’istinto di sopravvivenza.

richard corben vic blood

Quello che fa non è mai complicato da una riflessione etica. Quello che fa, come per il suo amico animale, è semplicemente quello che deve fare, non quello che dovrebbe fare. In questo senso la “stolidità” si differenzia da quella di Dimento, in quanto il comportamento del protagonista di Mondo Mutante era dettato dalla valutazione di quello che secondo lui era il bene; in Vic questa complicazione etica non c’è. Il suo sguardo è in qualche modo vergine ed è per questo che riesce a sopravvivere in quel mondo. Quando il bene e il male irromperanno nella sua valutazione del mondo, portandolo a vedere cose che non ci sono (fottute metafore che piacciono così tanto a poeti e romanzieri!), non riuscirà più a decifrare il paesaggio e a difendersene. Possiamo dire che nell’esatto momento in cui il suo sguardo diventa adulto, per Vic è finita.

Piccolo inciso: metti che non hai letto questo gioiellino di Vic & Blood, devo allora raccontarti cosa succede allo sguardo di Vic. Nell’episodio centrale, quello intitolato “Un ragazzo e il suo cane”, Vic incontra una ragazza, che in realtà ha il ruolo di esca per attirarlo in una città cisterna (te l’ho detto che il sesso è una delle due pulsioni che lo muovono) dove lo fanno prigioniero per usarlo come riproduttore. I maschi della città sono sterili e il loro mondo sta rischiando di estinguersi. Vic riesce a fuggire, insieme alla ragazza di cui crede di essersi innamorato.

richard corben vic blood

Quando escono dalla città cisterna, tornando in superficie, trovano Blood, che era rimasto da solo quando Vic era stato attirato nella città, e sta morendo di fame. La ragazza intima a Vic, se davvero sa cos’è l’amore, di abbandonare il cane e andare via con lei. Vic sa cos’è l’amore, e per la prima volta nella sua vita fa una scelta etica. Mostruosa ma, secondo il paradigma di quel mondo malato, etica. Uccide la ragazza e la usa per sfamare il suo cane. Perché l’amore è quello che un ragazzo prova per il suo cane.

L’episodio si chiude con la dichiarazione di una presa di coscienza: Vic ha fatto quello che era giusto fare, soprattutto per il proseguimento della storia, che non avrebbe potuto andare avanti senza Blood. Perché è Blood il vero protagonista.

Con questo atto (che tra l’altro non viene mostrato: è un momento privato che viene sottratto ai nostri occhi per preservarne l’innocenza) lo sguardo di Vic ha assunto una consapevolezza che non riesce a reggere, e che – in un certo qual modo – lo porta a scegliere l’annientamento.

Il finale di Mondo Mutante, che negava l’iniziale assunto voltairiano sull’idiozia di Dimento, dandogli tutta la leibniziana ragione che il suo ottimismo si meritava, è completamente ribaltato nelle ultime tavole di questo fumetto senza speranza. Hai presente la testa piegata di lato di Dimento che si interroga sul domani?

Qui resta solo la testa di Blood, piegata di lato, in quel modo tipico che hanno i cani, quando non capiscono qualcosa, quando si trovano davanti a qualcosa che succede ma che non avrebbe dovuto succedere (quella sensazione di inquietudine che gli anglofoni hanno un termine bellissimo per definire: eerie), davanti alla quale non c’è nulla da capire. Perché è solo un fumetto, bimbo.

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Questo articolo è un estratto del saggio Un dove che non c’è – La geografia anatomica di Richard Corben, di Boris Battaglia, pubblicato da Oblò e acquistabile presso il sito dell’editore.

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