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FocusInterviste15 anni di Canicola Edizioni

15 anni di Canicola Edizioni

Una casa editrice, un’idea di fumetto, un progetto culturale. Tutto per trovare un luogo a segni e storie che allora erano nuove e, oggi, non hanno perso in maturità e capacità di suggerire nuove direzioni. All’inizio Canicola edizioniè un gruppo di autori e operatori editoriali, ed una rivista. Nasce a Bologna e raccoglie, attorno al nucleo formato da Andrea Bruno, Edo Chieregato e Liliana Cupido, gli autori Giacomo Nanni, Davide Catania, Giacomo Monti, Amanda Vahamaki, Michelangelo Setola e Alessandro Tota.

Nel 2019 Canicola compie 15 anni di attività, che saranno oggetto di una festa/happening durante l’imminente festival BilBOlbul 2019 a Bologna, organizzata insieme a Maple Death Records. In occasione di questo anniversario Fumettologica ha incontrato i responsabili editoriali di Canicola, per ripercorrere non solo la storia di un editore e di un gruppo, ma del più ampio contesto in cui si è sviluppata quell’idea di “editoria di progetto” nel fumetto che l’etichetta bolognese ha strenuamente cercato di portare avanti.

Nel corso del tempo, infatti, Canicola si è affermata come un marchio di punta nel panorama del fumetto più innovativo, di ricerca o “d’autore”. I premi festivalieri più importanti non sono certo mancati (Lucca Comics & Games, Comicon Napoli, Treviso Comic Book Festival), e alcune delle sue produzioni hanno influenzato altri: sia editori, con l’impulso dato da Viaggio a Tokyo di Vincenzo Filosa e da L’uomo senza talento di Tsuge all’attenzione per il gekiga manga; sia autori, con il ruolo di ispiratori per numerosi giovani talenti dato dal lavoro di giovanissimi fumettisti come Setola e Vahamaki; sia autori ed editori insieme, grazie alla costante produzione di short stories, prima su rivista e poi in una collana di albi sia piccoli che ‘giganti’, come la collana di grande formato Sudaca. Un buon esempio, questo, della posizione che la piccola casa editrice ha saputo conquistarsi: un luogo di proposta di talenti emergenti ma anche uno spazio di libertà per artisti già affermati, all’insegna della ricerca formale, da Bruno a Giandelli, da Bacilieri a Rocchi.

Nel percorso di questi quindici anni Canicola è stata dunque molte cose: una casa editrice cosmopolita ma in prima linea nella produzione di nuove opere italiane; un’etichetta marginale nel mercato ma influente per la critica quanto per gli autori; un gruppo di animatori culturali impegnati nel mondo dei libri quanto in quello della formazione (laboratori, workshop, mostre, interventi didattici in contesti sociali difficili o insoliti per il fumetto).

Di tutto questo abbiamo parlato con Liliana Cupido e Edo Chieregato, i motori di questa casa editrice atipica, per parlare dei loro obiettivi e delle loro peculiari modalità editoriali.

Canicola edizioni intervista
Illustrazione di Michelangelo Setola

Le origini

Cominciamo dall’inizio, da quello che c’era prima di Canicola, da come nasce…

Chieregato: L’incontro con Andrea (Bruno) è avvenuto nella redazione di Mano a Bologna. Mano, la rivista curata da Giovanna Anceschi e Stefano Ricci da metà degli anni Novanta, è stato secondo me uno dei progetti editoriali sul fumetto tra i più importanti di sempre, in cui l’idea del montaggio di materiali diversi (fumetto, disegno, scritti) e sempre straordinari, proponeva un discorso critico molto alto in cui il fumetto dialogava apertamente con l’arte, il cinema, la letteratura, la fotografia, ecc. Tutto questo accadeva in un decennio in cui la produzione editoriale in Italia era davvero limitata… Il primo numero di quella rivista, che trovai in libreria, fu una vera folgorazione.

In quegli anni collaboravo con la rivista Lo Straniero di Goffredo Fofi e lavoravo in teatro. Fofi mi fece conoscere Stefano e Giovanna che, nel 2000, mi chiamarono per aiutarli nell’organizzazione di Territori del racconto a fumetti, un festival di fumetto contemporaneo ideato assieme a Igort. Per un mese, accanto a una mostra di originali di Altan, Baru, Charles Burns, Munoz & Sampayo, David Mazzucchelli, Jiro Taniguchi, Adrian Tomine, si tennero quotidianamente dei workshop degli autori esposti (tranne Burns e Mazzucchelli) insieme a quelli di Lorenzo Mattotti, Gabriella Giandelli, Francesca Ghermandi, David B., Ben Katchor, Stefano Ricci, Igort, e tavole rotonde con editori e autori. Fu un’iniziativa culturale straordinaria e credo seminale per chi vi partecipò, penso a nomi come LRNZ, Squaz, Michelangelo Setola, Mara Cerri, Magda Guidi, Alessio Spataro, Alberto Pagliaro, Beatrice Pucci, Anna Ciamitti, Enrico D’Elia, Davide Catania, Davide Garota, Piero Macola, Lorena Canottiere, tra coloro che hanno continuato con il disegno.

Fu quella l’occasione speciale in cui io e Andrea iniziammo a conoscerci, perché mentre io ero più sull’organizzazione e la redazione, lui si occupava con Stefano soprattutto della grafica. Ma non credo sia stato lì che abbiamo iniziato a fare squadra a biliardino, quello venne dopo… (per tutto Territori, la sera, al baretto della Festa dell’Unità perdurò un torneo di biliardino che coinvolgeva tutti… bellissimo…).

Com’è nata l’idea della rivista?

Chieregato: Con Andrea, negli anni a seguire, abbiamo pian piano maturato il desiderio di una nostra rivista, che fosse condivisa con un gruppo di autori che ritenevamo in quel periodo portatori di una ricerca linguistica interessante. Da subito pensammo ai nomi di Giacomo Nanni e Davide Catania, che ci piacevano per la loro sperimentazione, e a Michelangelo Setola che ci folgorava a ogni disegno. Ci fu anche chiaro che volevamo coinvolgere altri outsider più giovani di cui avevamo intuito il potenziale, e così si aggiunsero Giacomo Monti, Amanda Vähämäki e Alessandro Tota.

Fin dalle prime riunioni capimmo che volevamo una rivista sobria ma frontale: solo fumetti in bianco e nero, un piccolo editoriale, dei “disegnoni” in apertura e chiusura. La grafica era minimale e prediligeva la forza iconica del disegno, le storie erano tradotte con sottotitoli in inglese e lavorammo in maniera sistematica a una promozione sia in Italia che all’estero.

Nel giro di qualche numero il progetto impose la sua identità, e in particolare all’estero fu molto apprezzato. La formazione dei fondatori era in qualche modo simile, nel senso che tutti non eravamo fumettocentrici, ma nello stesso tempo per molti di noi il fumetto era il riferimento di partenza o di arrivo. Nella selezione degli autori il disegno, lo stile, è stato indubbiamente la chiave principale con cui abbiamo filtrato il gruppo originario, nonostante fosse il racconto che ci interessava.

Il primo numero della rivista Canicola

La poetica

Affermare la centralità del disegno, parlando di fumetti, può sembrare ovvio. Ma la via del disegno narrativo proposta da Canicola sembra ‘alternativa’ alla centralità dello storytelling affermatasi con la vulgata del graphic novel. Quali sono state, secondo voi, le conseguenze di quella scelta? In cosa ritenete che quell’approccio sia produttivo oggi?

Chieregato: Canicola nasce nel pieno degli albori della graphic novel e se ne allontana da subito. In quegli anni, l’attenzione di molti autori è attorno lo storytelling, ma per noi era il disegno la chiave di ingresso narrativa. Da una parte lo stile grafico è connotazione primaria di autorialità per il semplice fatto che il fumetto innanzitutto lo si vede, dall’altra certa rappresentazione segnica è da subito espressione forte. Ma la nostra pulsione è sempre stata per il “fumetto fumetto”, cioè per un fumetto che, per quanto potesse essere sperimentale, fosse linguaggio narrativo.

Per certo non ci interrogavamo su strutture narrative, costruzione di personaggi a tavolino o di soggetti a progetto, e ognuno procedeva con la propria ricerca. C’era la volontà per un approccio onesto e senza mediazioni alla narrazione, un’ambizione che si distanziava dalle retoriche del racconto. Alcune narrazioni funzionavano altre erano al limite di un autismo concettuale, ma in generale funzionava la ricerca di nuove strade, perché c’era consapevolezza e si aggiungeva un istinto, un’urgenza vera al fare bene.

Più che la scelta per il disegno, la radicalità era piuttosto nel racconto, ora data dal “disegno pensiero”, ora dalla ricerca grafica, ora dall’approccio narrativo. L’identità è emersa da subito e proveniva molto anche da un sentire comune che andava molto aldilà del fumetto. L’apprezzamento del progetto fu immediato all’estero, mentre da noi, dove la curiosità e l’incoraggiamento di una piccola nicchia di addetti ai lavori era comunque molto viva, incontrammo una certa impreparazione generale. Ho letto di recente una cosa di Valerio Bindi in relazione alla prima edizione del festival Crack! dove diceva che «Canicola guardava il futuro», forse era così.

Cupido: Sì, sulla dimensione del segno/disegno si è fondata la ventralità della poetica Canicola. Se ripenso al primo numero della rivista è come se gli autori tornassero a un grado zero della narrazione a fumetti, dove la lettura della realtà si traduce in una militanza segnica e di scrittura.

Il dinamismo isterico delle linee di Davide Catania, l’importanza dei dettagli nell’essenzialità del reale di Giacomo Monti, la potenza iconica di Nanni: quegli stili come uniche voci possibili per quegli specifici corpi di racconto. Uno “splendore scabro della pietra”, espressione riferita alla scrittura di Camus perfettamente calzante. Un andare al cuore delle cose attraverso il disegno che abbiamo cercato poi anche nella realizzazione dell’antologia Canicola bambini, dove abbiamo individuato autrici e autori attraverso il filtro della visionarietà e della potenza grafica.

L’identità

Qual era e qual è la vostra idea di posizionamento riguardo a concetti come underground, autorialità, avanguardia e tradizione?

Chieregato: Il nostro esordio pubblico è stato il 3 dicembre 2004, nell’occasione del primo Happening underground all’XM 24 di Bologna. Già lì, dove di fatto c’era gran poco attorno, ci sentivamo pesci fuor d’acqua, e lo stesso è stato l’anno successivo al Crack! di Roma.

Dell’underground incarnavamo al massimo la dimensione di libertà espressiva, non tanto e solo in chiave produttiva, ma proprio di emancipazione dal mercato e dal pensiero comune in auge dello storytelling e, come dicevi, di una “vulgata del graphic novel” in divenire. Ma non eravamo ideologicamente antagonisti a qualcosa se non all’omologazione dell’immaginario. Questo derivava molto dalla formazione, che per tutti era fuori dal fumetto, e quando vi si pescava lo si faceva in termini di rialzo, pensando ai grandi maestri della tradizione o contemporanei e guardando a certo fumetto internazionale che via via scoprivamo.

Non riflettevamo comunque troppo in questi termini, semplicemente condividevamo un’esperienza collettiva decisamente autoriale che forse miscelava underground, avanguardia e tradizione.

Una prova di copertina realizzata da Giacomo Nanni

A proposito dell’autore

Dal collettivo alla casa editrice, com’è cambiata la vostra relazione con gli autori? E quali sono secondo voi le cose che Canicola offre di diverso dagli altri editori? È cambiato nel tempo il modo di lavorare con gli autori?

Chieregato: Da quando la redazione è strutturata come casa editrice, il rapporto con gli autori è più semplice in quanto i ruoli sono più chiari. Se agli inizi il confronto era in termini di “osmosi organica” per definire un’identità, dalla produzione dei primi libri di autori come Francesco Cattani e Marino Neri, e successivamente con Vincenzo Filosa e Paolo Cattaneo, si è sviluppata una pratica di editing molto sistematica.

Canicola nella sua evoluzione ha continuato a cavalcare una “politica degli autori” e nella selezione questo è il filtro che sempre adottiamo. Nella sostanza la selezione si basa quindi sui criteri di sempre, ma siamo decisamente più aperti nella proposta di stili e sensibilità anche in funzione delle nuove collane, che sono progetti nel progetto.

Credo che Canicola sia in qualche modo un piccolo brand di qualità editoriale, gli autori ci avvertono come una realtà con un pensiero complessivo abbastanza coerente, e credo sappiano riconoscere il valore aggiunto della progettazione culturale che costruiamo attorno ai libri.

A differenza della maggior parte degli editori, Canicola non ha uno o più autori best seller che assorbono la maggior parte delle energie di marketing e si fanno manifesto di quel marchio. Abbiamo un catalogo di opere concatenate e facendo leva su una comunicazione in cui il gioco di specchi tra autore ed editore è forte, investiamo su ogni pubblicazione tutta la progettualità specifica che possiamo realizzare.

Cupido: Ogni volta che intraprendiamo un nuovo progetto cerchiamo di individuarne il nocciolo, la sua più vera sostanza narrativa. Il confronto con le autrici e gli autori durante la lavorazione è sempre teso a far emergere dalla storia quello che crediamo possa essere il loro massimo potenziale, lontani dal forzare uno story-telling standardizzato, ma decisi nel definire una direzione narrativa che funzioni nel rispetto della singola poetica autoriale.

Questo vale in maniera ancora più netta per i progetti della collana Buzzati rivolti ai bambini. La scelta adottata finora di coinvolgere autrici e autori che usualmente non lavorano per l’infanzia è stata il punto di partenza più rischioso e allo stesso tempo più stimolante. Abbiamo sempre cercato di mantenere l’autenticità dell’approccio narrativo di ciascun autore insieme a una ricerca delle peculiarità che possono essere messe in gioco lavorando per lettori più piccoli: da una parte si tratta di dare voce a un potenziale di grande libertà espressiva da più punti di vista, dall’altra di rispettare certi criteri senza i quali perderemmo il lettore durante il racconto. Credo che ne siano venute fuori delle vere e proprie opere, valide per un pubblico di tutte le età, ed è questa in fondo la nostra sfida più profonda.

Una prova iniziale per il design di copertina (illustrazione di Andrea Bruno).

A proposito del lettore

Per chi pubblicate i fumetti? Pensate che sia cambiato in quindici anni il vostro modo di rispondere a questa domanda?

Chieregato: Solitamente uno realizza e pubblica quello che vorrebbe leggere, per cui si rivolge inconsapevolmente a chi gli somiglia. Così, da subito, senza pensarci, abbiamo pubblicato per dei lettori non fumettocentrici, pur amando visceralmente il fumetto. Agli inizi la sperimentalità del progetto, la non compiacenza, certa frugalità nella comunicazione, ci portava verso un pubblico inevitabilmente di nicchia, curioso o sofisticato. Un pubblico di addetti ai lavori e lettori attenti che in Italia era ed è ancora troppo poco presente tra i non lettori di fumetto. Abbiamo sempre immaginato un fruitore trasversale, non specialista, ma tranne che per numeri esigui abbiamo visto che questo pubblico in Italia è cresciuto poco proporzionalmente alla crescita esponenziale del sistema editoriale di quest’ultimo decennio.

Il nostro atteggiamento nei confronti dei lettori è cambiato parecchio, da qualche anno la nostra attenzione è meno concentrata sul linguaggio e molto più sullo storytelling. Abbiamo nuovi obiettivi culturali nei quali la sperimentazione grafica non è una priorità, ci interessa che le storie funzionino bene e abbiano qualcosa da dire, per focalizzare questo nella maggior parte dei casi il lavoro di produzione si fa lungo e con un dialogo intenso con l’autore.

Cupido: Un discorso ancora diverso va fatto rispetto al pubblico di Canicola bambini. Prima di intraprendere il progetto di collana ci siamo dati circa un anno di preparazione attraverso attività pedagogiche, con una modalità che tracciasse delle coordinate sperimentali, mettendo in gioco il desiderio di contaminare il fumetto con altri linguaggi e di proporre a bambine e bambini situazioni laboratoriali “nuove”. Le storie pubblicate finora nella collana Buzzati sono in qualche modo perfettamente coerenti con il resto del catalogo, e laddove è sempre più difficile delineare un territorio di lettori di fumetto in una ipotetica fascia 8-12 anni, la nostra attività parallela con bambini e ragazzi nelle scuole e in contesti diversi ci da l’opportunità di testare le storie insieme ai loro stessi destinatari. Di recente (Lucca Comics & Games 2019) abbiamo curato un incontro sul fumetto contemporaneo per l’infanzia coinvolgendo editori, autrici e autori attivi in questo campo per stabilire un momento di riflessione e confronto comune sulla complessità generale della situazione italiana.

Un aspetto emerso è stato quello della necessità di onestà narrativa: da parte degli autori verso loro stessi, poi verso il pubblico a cui si rivolgono, e se i bambini sembrano riconoscere una storia che “viene dalla pancia” da un’altra costruita con un approccio tematico scolastico, noi editori abbiamo la responsabilità di poter veicolare storie che stimolino i loro occhi e destino in loro domande, senza necessariamente fornire risposte.

A proposito del libro

La storia di Canicola edizioni è anche quella di una dialettica tra rigore grafico e sperimentazione. Potete raccontarne le fasi? Come sta cambiando ora il vostro modo di “costruire” il libro e perché?

Chieregato: Nel definire la grafica del primo numero della rivista erano state fatte diverse prove e tutte tendevano a una sobrietà complessiva. L’idea era sempre di pochi elementi, molto ponderati. Ne è venuta fuori una grafica in sottrazione, dove mettere al centro il segno, la figura e un logo (la scritta Canicola creata da Giacomo Nanni) anch’esso a mano.

La rivista era in bianco e nero, la copertina in bicromia. Il tutto si giocava quindi nella combinazione di una sola immagine selezionata dall’interno e due colori: nero e un pantone cioè un colore univoco, o due pantoni. Lo stesso approccio fu adottato per i primi libri. Anche la scelta della carta andò in una direzione di semplicità: carta bianca uso mano per interno ed esterno.

L’oggetto che ne venne fuori cos’era? Sperimentazione? Underground o tradizione? A numero stampato fu chiaro che era tutto questo… il primo numero ha l’aspetto di uno dei primi numeri di Linus ma più frontale ed elegantemente “punk”. Dopo questa prima fase grafica, ci sono stati aggiornamenti progressivi come l’inserimento dell’helvetica (ancora Linus…) come font del logo e dei titoli, e successivamente l’inserimento della carta patinata lucida in copertina. Quest’ultima scelta, in particolare, è nata dalla volontà di contrastare proprio la “vulgata della graphic novel” che era diventata anche la vulgata dell’oggetto graphic novel con formati standard, carta uso mano, e via via accortezze di omologazione.

Volendo rimanere fedeli alla sostanza del nostro progetto grafico, ovvero a una grafica che rendesse sempre riconoscibile i diversi titoli del catalogo, abbiamo optato per un contrasto tra quella sobrietà e la plastificazione lucida (a cui si è aggiunto l’uso del colore in alternativa alla bicromia) spesso associata a prodotti decisamente più pop e mainstream dei nostri. Alle prime uscite molti sono rabbrividiti, alcuni altri hanno compreso e apprezzato molto. In questo cambiamento abbiamo anche “sparato” il nostro logo che nel frattempo ha preso anche le fattezze grafiche di una moto rossa (è il pilota Omobono Tenni) dentro a un cerchio bianco, per cui un’immagine molto stridente che galleggia nel fronte di copertina. Il “bollo”, come lo chiamiamo, è il modo per ricordare la nostra identità progettuale, il nostro marchio, in un’epoca editoriale in cui i marchi sono sempre più spersonalizzati e i lettori empatizzano poco con i cataloghi degli editori.

Cupido: Nella costruzione dei libri il cambiamento sostanziale, cresciuto via via, è stato il coinvolgimento sempre più strutturato della redazione nell’editing dei libri di produzione. Sempre più, in particolare nelle prime fasi del progetto, il brainstorming attorno a una storia che ci viene proposta coinvolge più persone con io o Edo che poi tiriamo le fila e approfondiamo il rapporto con l’autrice o l’autore.

Questo processo collettivo è molto faticoso e delicato per tutti, ma è anche una delle fasi più importanti e soddisfacenti del nostro lavoro. A un certo punto le storie diventano materie vive di discussione, con un’empatia molto forte nel dialogo con l’autore e considerazioni rispetto al target di riferimento. Spesso la cura dei dettagli e una certa ossessione affinché il meccanismo narrativo funzioni prendono una forma organica che si allarga via via su tutte le fasi di produzione del libro e le attività annesse.

Canicola intervista
Alcuni dei primi albetti prodotti col marchio Canicola

A proposito del sistema editoriale

Parliamo della posizione del fumetto nel sistema editoriale attuale e dei suoi problemi.

Chieregato: Le criticità del sistema editoriale fumetto in Italia ci sembra stiano ricalcando quelle della narrativa. In particolare penso alla sempre maggiore difficoltà nel definire e valorizzare le opere tra i tanti prodotti più o meno di qualità che escono. È indubbiamente un discorso complesso e scivoloso, ma la sovrapproduzione associata a un hype mediatico attraverso i social sempre più in balia delle temperature emotive di massa, e quindi a entusiasmi spesso di superficie e inerenti all’hype stesso più che alla sostanza dei libri, non può che confondere la fruizione dei lettori.

Cupido: Se a questo, in termini di sistema, aggiungiamo il potere degli editori più grandi rispetto ai più piccoli in termini di marketing, ufficio stampa e distribuzione, è ovvio che in certi casi quello che viene percepito come un “buon libro” è la costruzione di un ecosistema che posiziona quel libro come tale. Spiegelman, in una intervista con Mattotti, diceva che il 99,5% della produzione a fumetti è merda, magari esagerava un po’, ma sappiamo tutti come le opere buone, davvero buone, non dico necessarie, siano una minoranza in tutti gli ambiti. Ora con la produzione che aumenta esponenzialmente, aumentano i libri buoni, ci sono esordi sempre più interessanti, volumi sempre più ben fatti, grafiche sempre più curate, insomma c’è una consapevolezza complessiva maggiore che solo dieci anni fa ci sognavamo, ma la sensazione di eccessivo chiasso c’è, e la sensazione che fare un bel libro sia solo la metà del risultato è un po’ desolante.

Quali sono, se ne avete in mente, le trasformazioni di sistema possibili?

Chieregato: Noi abbiamo tentato un’alternativa che prevede maggiore lentezza, grande cura e riflessione durante la produzione, e ogni qualvolta ci è possibile inseriamo il libro al centro di un progetto culturale, espositivo o pedagogico. Se vogliamo la nostra è anche una forma di marketing culturale che ci restituisce un’identità che fidelizza i lettori dentro e fuori dal fumetto. È anche un grande investimento questo, perché il tempo della lentezza e della cura è molto costoso, ma ripaga spesso nel rapporto con gli autori, e più in generale nella consapevolezza che il lavoro che fai, il come lo fai, è anche un’azione politica. In prospettiva non credo che il sistema cambierà, anzi, ma mi auguro che le alternative produttive aumentino, e che i progetti di autoproduzione si sviluppino in nuove realtà editoriali, nuove identità, nuove diversità.

Cupido: Anche io credo che la sovrapproduzione non stia portando dei miglioramenti in profondità. Per certo aumentare gli spazi del fumetto in libreria, parlarne di più nei giornali e nel web, può accrescere l’attenzione, ma non credo sia sufficiente a costruire nuovi lettori. La sfida è raggiungere un pubblico di non lettori e soprattutto vedere il fumetto tenere il tempo, e pensando in particolare al pubblico dei bambini e dei più giovani, resistere a tutto quanto offre il mondo digitale. Vanno costruiti percorsi per rendere desiderabile il linguaggio del fumetto e, non dimentichiamolo, l’oggetto libro con la sua specifica pratica di lettura.

*Si ringraziano per la collaborazione Valerio Stivé e Matteo Stefanelli

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