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FocusIntervisteTony Valente: «In Radiant racconto rifiuto e accettazione del diverso. Migranti inclusi»

Tony Valente: «In Radiant racconto rifiuto e accettazione del diverso. Migranti inclusi»

Tra gli shonen manga di successo in Europa negli ultimi anni, Radiant è una curiosa anomalia. La sua fortuna è senza dubbio inferiore ai blockbuster di Shueisha o Kondansha, ma alcuni aspetti ne hanno fatto un piccolo “caso editoriale”. Il primo è la sua produzione: Radiant è opera non di un autore giapponese, bensì del francese Tony Valente. Quel che si dice un “euromanga”, insomma.

Prodotta a partire dal 2013 in Francia dall’editore Ankama e pubblicata in Italia prima da Mangasenpai e ora da J-Pop Manga, la serie fantasy con protagonista il giovane stregone Seth ha inoltre messo a segno alcuni primati. Si tratta infatti del primo manga seriale di produzione europea ad essere stato pubblicato anche in Giappone, accompagnato peraltro dall’endorsement di mangaka di primo piano (Yūsuke Murata di One Punch Man e Hiro Mashima di Fairy Tail).

Fatto ancora più sorprendente – e più rilevante – Radiant è il primo manga europeo adattato in una serie di anime per la tv giapponese, in onda su NHK Educational TV, la seconda rete del servizio pubblico televisivo nipponico (in Italia la serie è distribuita in simulcast dalla piattaforma streaming Crunchyroll).

Tra le ragioni di questo successo c’è sicuramente la vivacità del racconto, che mette in scena combattimenti molto coreografici contro i mostruosi Nemesis, la ricerca di Seth dell’origine di queste creature e la sua maturazione come mago e come ragazzo. Tutti ingredienti in linea con le aspettative dei giovani fan di shonen di cui Tony Valente è a tutti gli effetti parte: Radiant è infatti nato con spirito da fanfiction che mescola Dragon Ball, One Piece, Hunter X Hunter tanto nella struttura quanto nel design.

radiant tony valente intervista

Ma insieme a questo la serie di Tony Valente ha saputo distinguersi per attenzione e sensibilità verso uno dei grandi temi dei nostri tempi: la diversità culturale fra ‘etnie’ e comunità spesso contrapposte. La saga di Radiant mette infatti al centro non solo il razzismo (in questo caso fra popolo e stregoni ‘infetti’), ma dedica diversi episodi alle dinamiche di costruzione della propaganda e dei pregiudizi intorno ai migranti. Con il risultato di farne uno shonen manga atipico, del tutto simile nella forma a tanti altri, ma molto più diretto rispetto alla stretta attualità.

Tra colpi di magia – detta Fantàsia – bizzarrìe fantasy e stramberie caratteriali alla One Piece, gli avversari di Seth detti Inquisitori riportano subito alla mente le notizie del giorno, tanto le proposte politiche delle destre xenofobe quanto le ciniche tattiche di comunicazione create ad hoc da alcuni leader politici (anche nostrani) per inventare fatti e promuovere un’immagine negativa di stranieri e altre minoranze.

Mesi fa, quando il Museo Palazzo Roverella di Rovigo mi ha chiesto di presentare progetti relativi al fumetto per le proprie esposizioni, e mentre era in preparazione la mostra “Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea”, la mia proposta è stata proprio di includere Radiant. Che oltre ad essere a tutti gli effetti un prodotto collocabile nella lunga tradizione del japonisme, e un insolito caso editoriale al confine tra Europa e Giappone, è un esempio di intrattenimento per giovanissimi in grado di lavorare con intelligenza (analoga a quella dimostrata da Sio) su temi chiave per il loro e nostro futuro.

In occasione del viaggio in Italia di Tony Valente per Lucca Comics & Games e per visitare la sua mostra “Radiant. Venti d’Oriente nel manga europeo” a Rovigo, lo abbiamo incontrato per una breve chiacchierata.

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radiant tony valente intervista

A sei anni dal debutto, in quale fase si trova oggi la serie Radiant?

Penso sia ancora verso l’inizio. Non ho ancora raggiunto il punto centrale della mia storia. Ho in testa gli elementi principali e so bene cosa voglio raccontare alla fine. Al momento immagino che arriverò tra i 20 e 30 volumi, forse persino oltre. Nel 2020 uscirà il quindicesimo.

Cosa intendi raccontare in questa parte centrale della saga?

Il tema di fondo rimane il rifiuto o l’accettazione della differenza. In Francia ho iniziato a pubblicare un arco narrativo che si svolge su Bôme, ispirato a Roma, alla Chiesa e ai suoi dogmi. La Chiesa mi interessa non tanto per la religione in sé, ma per quello che rappresentano le regole: come è possibile arrivare, a partire da una buona idea, a creare delle cose che sono troppo stringenti e che vanno a rifiutare una determinata categoria di persone.

Per esempio L’Inquisizione nella mia storia è partita da una buona idea: ci sono persone che hanno poteri, esiste la stregoneria, e dunque cosa fare di queste persone quando alcuni decidono di usare quei poteri per scopi criminali? L’Inquisizione è nata così, ma io parlo di quello che è diventata molto tempo dopo. Ovvero come, da questa necessità, si è arrivati a ritenere un’intera categoria di persone, dotata di queste facoltà e dunque differenti, una minaccia. Come mai sono ostracizzate, marginalizzate e accusate di tutta una serie problemi?

In Radiant il potere è gestito soprattutto dall’Inquisizione. Ma esiste anche un potere politico non militare? E quale ruolo svolge?

L’Inquisizione è sì un gruppo militare, ma è definito anche da una ideologia, e ha preso il potere. Nel ciclo di Bôme si incontra un Re. Bôme è la sede e la culla dell’Inquisizione, ma in quel luogo si vede anche un Re che è collocato al di sopra dell’esercito. In fin dei conti l’Inquisizione è un potere militare che si è espanso via via. Un po’ come in Giappone esiste un Imperatore e un Primo ministro, ma è quest’ultimo che tiene le redini del paese.

Intendi approfondire le dinamiche della partecipazione politica, al di là di quello che si è già visto nel ciclo di Rumble Town?

Racconterò un po’ di questa complessità mano a mano. L’Inquisizione ha assorbito una parte del ruolo dei politici perché, in un determinato momento storico, era emersa la necessità di avere figure forti per portare ordine e autorità là dove ce n’era il bisogno. E dunque gli Inquisitori hanno iniziato ad acquisire, piano piano, uno dopo l’altro, altri ruoli oltre alla funzione di polizia. Le elezioni, ad esempio, in quel mondo si svolgono ma non sono pienamente democratiche. Il sistema è governato dall’alto, con persone al di sopra che decidono per altre al di sotto… Mostrerò un po’ di tutto questo, diciamo.

Parlaci della Fantàsia, ovvero la magia di cui sono in possesso gli Stregoni, gli Inquisitori e altri personaggi in Radiant. Come hai scelto di rappresentarla?

L’idea che mi ero fatto è che, diversamente da tante storie che scelgono di rappresentare un potere fantastico in maniera quasi “nucleare”, come una proprietà che qualcuno possiede al proprio interno, io ho sviluppato il potere della Fantàsia come qualcosa che ci circonda. Non tutti sono in grado di utilizzarlo, ma quando lo si usa è come se, concentrandosi, si iniziasse a visualizzarlo, intorno alle mani soprattutto o intorno a bacchette magiche o oggetti. Per questo assume una forma quasi liquida, o di aria, che viene “concentrata” dal personaggio che ha le capacità per gestirla.

Lo story arc ambientato nella città industriale di Rumble Town ha destato molta attenzione tra i lettori e la stampa. Come è stato accolto questo ciclo che evoca l’attualità in modo evidente, mettendo in scena il tema della propaganda sull’immigrazione e della manipolazione dei cittadini?

Ho trovato soprattutto molto incoraggiamento a continuare da parte dei lettori. Molte persone si sono persino ritrovate, e mi hanno scritto o me lo hanno voluto sottolineare durante qualche incontro o presentazione. Penso ad esempio a persone venute da percorsi di immigrazione, o che vivevano in contesti non troppo gradevoli, come migranti o figli di migranti francesi, che mi hanno testimoniato di sentirsi in qualche modo chiamati in causa e che la questione li riguardava.

Siccome poi Radiant è stato piratato online, come vari altri manga (cosa che mi dispiace, ma che non drammatizzo: mi interessa raggiungere i lettori), è stato letto in molti paesi lontani, e ho ricevuto un bel po’ di messaggi non solo dal Nord Africa ma anche in altri paesi africani. Mi ha molto sorpreso ricevere messaggi da questi lettori su questo tema. Nonostante non fossero coinvolti direttamente, perché non francesi e dunque lontani dal sentire il “rifiuto” in quel modo, mi ringraziavano comunque per averne parlato così. Ero stupito che loro, così lontani e non completamente immersi nella situazione europea, si trovassero coinvolti e preoccupati.

radiant tony valente intervista

Rispetto alla versione animata, cosa hai trovato più soddisfacente e cosa meno nell’adattamento?

La parte iniziale della storia è stata trasformata un po’. Andava in onda su una rete in una fascia destinata a un pubblico più giovane rispetto ai lettori ordinari del manga. La produzione e la rete avevano la necessità di portare l’attenzione di questi lettori più giovani fino al ciclo di Rumble Town, e dunque hanno aggiunto molti episodi e hanno distillato molto di più la presentazione degli avvenimenti della trama, per fare in modo di avere il pubblico tutto pronto per affrontare poi i temi più seri.

Le differenze con il manga sono quindi state molte, e so che alcuni lettori non ci si sono ritrovati. Ma a partire da Rumble Twon si sono ritrovati, perché tutto è diventato molto più fedele. La seconda stagione, poi, è davvero completamente fedele: riconosco a volte persino delle vignette e delle inquadrature! Dunque ora la situazione è ottimale. Ma il bello di quella parte iniziale è che ha portato a Radiant molti lettori più giovani, che sono arrivati al manga dopo l’anime e che ci si sono affezionati e sono stati colpiti da temi verso i quali, magari, non si sarebbero mai avvicinati.

Come pensi di essere percepito, in Giappone, in quanto “mangaka europeo”?

Radiant è stato presentato come un vero e proprio shonen manga. La comunicazione non ha sottolineato il fatto che fossi un autore non giapponese, e dunque molte persone non lo sanno nemmeno! Preferisco sia così, perché permette di leggere la storia per quello che è.

Ho incontrato alcuni autori in Giappone, e devo dire che non mi sono sentito sminuito in quanto europeo, anzi è stato il contrario: mi hanno trattato da sensei quanto loro, parlando tra colleghi delle difficoltà del lavoro, del racconto… E’ come se l’industria del manga mi abbia accettato come un tassello del sistema, e non come un fattore estraneo. E questo mi fa davvero piacere.

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