Tutti i lettori di fumetti, almeno una volta nella vita, sono incappati nelle comic strip. Alcuni hanno la casa invasa di volumoni di serie classiche, altri le hanno incontrate su linus o in qualche Oscar Mondadori recuperato su una bancarella dell’usato, altri ancora sul web, condivise sui social da qualche appassionato. E probabilmente anche i non lettori ci si sono imbattuti, sulle pagine di qualche quotidiano o della Settimana Enigmistica.
È quasi impossibile per chi frequenta i fumetti non avere in mente questo formato, semplicissimo e versatile, che ha costituito la colonna portante dell’industria statunitense per quasi un secolo. Eppure, forse proprio per la loro ricchezza, non è facile destreggiarsi al loro interno. Le strip hanno una serie di tecnicismi, di formati propri, di regole di narrazione e impaginazione che rischiano di disorientare il neofita.
Questa guida è stata pensata proprio per fornire ai lettori di Fumettologica qualche punto cardinale, in modo da poter apprezzare al meglio una raccolta di Krazy Kat, dei Peanuts, di Prince Valliant o di Little Nemo.
Sommario
- Cos’è una striscia a fumetti?
- Pillole di storia
- Strisce quotidiane e tavole domenicali
- I supplementi domenicali
- I syndicate
- Autori e copyright
- Continuity e gag
- I formati delle strisce quotidiane
- I formati delle tavole domenicali
- Le topper
- Consigli di lettura
Cos’è una striscia a fumetti?
Sembra una domanda scontata, lo sappiamo, però è fondamentale mettere in chiaro di cosa stiamo parlando esattamente.
Le comic strip sono un formato di fumetto tipicamente americano, nato alla fine del Diciannovesimo secolo e pensato per la pubblicazione sui quotidiani. La forma più diffusa e più nota è quella che abbiamo presente tutti grazie a Peanuts, Garfield o Calvin & Hobbes: quattro vignette in bianco e nero affiancate, con una battuta finale se sono di genere umoristico; oppure un cliffhanger che tenga avvinghiato il lettore per la puntata successiva se stiamo leggendo una serie avventurosa come L’uomo mascherato o Topolino. Noi siamo abituati a leggerle in albi o volumi che le raccolgono, ma in America sono pubblicate una al giorno sui giornali.
Le strip hanno un “fratello maggiore”, più grande a colori. Se avete presente i già citati Little Nemo e Prince Valiant saprete che non sono strisce di vignette ma paginoni a colori. Eppure anche questi rientrano nel grande insieme delle “strisce sindacate” (vedi voce “I syndicate”), legate a doppio filo alle strip vere e proprie. Sono nate insieme a loro – anzi, prima di loro – per gli stessi motivi, per mano degli stessi autori, sugli stessi supporti e con metodi di pubblicazione identici. Sono a tutti gli effetti una forma diversa della stessa cosa.
In Italia, spesso, pensando alle strisce si pensa agli albi a striscia con cui sono stati pubblicati in origine Tex, Zagor, Capitan Miki, il Grande Blek. Era un formato diffuso negli anni Cinquanta e Sessanta, comodo per la pubblicazione perché economico. Queste strisce non rientrano nel nostro discorso perché ne condividono solo la forma esteriore: questi fumetti raccontano una storia pagina dopo pagina, ma sono ideati in forma di albo. Le singole strisce di vignette non vivono indipendentemente l’una dall’altra, come invece avviene nelle strip americane.
Non tratteremo anche strip italiane vere e proprie, come Lupo Alberto di Silver o Strurmtruppen di Bonvi, nonostante siano chiaramente ispirate a quelle statunitensi. Il motivo è che le strip negli USA si sono evolute in un certo modo grazie al mercato: il formato, l’approccio nei confronti di continuity e diritti derivano dal sistema editoriale dei syndicate e dei quotidiani, che in Italia non esiste in quella forma. Quindi, nonostante la forma e l’umorismo siano paragonabili, non troverete strisce italiane nella guida.
Pillole di storia
Esempi di strisce compaiono dagli albori del fumetto. A ben vedere, già il primo libro a fumetti mai pubblicato, Histoire de monsieur Jabot del ginevrino Rodolphe Töpffer (1833), presenta le disavventure del protagonista in forma di sequenze di 3-4 vignette in bianco e nero.
Ma le strisce che abbiamo in mente tutti noi – e di cui tratta questa guida – sono legate indissolubilmente alla storia dei giornali americani, dove sono nate e si sono sviluppate in oltre un secolo.
La vulgata vuole che il primo personaggio dei fumetti sia Yellow Kid, creato da Richard Felton Outcault nel 1984 sulla rivista Truth e passato l’anno successivo sul quotidiano New York World di Joseph Pulitzer, dove le sue storielle divennero un appuntamento fisso del supplemento a colori del giornale. Lì prese anche il suo soprannome – prima era l’anonimo portavoce dei bambini di Hogan’s Alley – grazie al giallo acceso con cui veniva colorata la sua camicia.
Forse oggi non definiremmo più “fumetti” le prime tavole di Yellow Kid, grandi illustrazioni a colori con compresenza di disegno e parole, che Outcault non suddivideva in vignette: erano dei grandi “fermo immagine” in cui succedevano molte cose in contemporanea. Solo in una seconda fase, dalla primavera del 1897, Outcault iniziò a disegnare fumetti veri e propri, con la griglia di vignette tipica del medium.
Il loro successo, insieme a opere come quelle di James “Jimmy” Swinnerton, pose le basi per lo sviluppo del medium, creando uno spazio fisso per i racconti disegnati che prima comparivano sui giornali in modo sparso. Negli anni a cavallo del 1900 ci fu quindi un fiorire di personaggi a fumetti, moltissimi effimeri, con poche settimane di pubblicazione, altri durati anni, se non decenni. Una manciata di loro, addirittura oltre un secolo.
Le sezioni dei giornali che pubblicavano questo nuovo medium, nato da una costola delle vignette umoristiche e improntato quindi esclusivamente alla comicità, presero presto il nome di funnies (da funny, “divertente”).
Le prime serie a fumetti erano pubblicate la domenica, sui supplementi a colori dei giornali (vedi voce “I supplementi domenicali”) oppure sporadicamente in settimana. La prima a uscire regolarmente dal lunedì al sabato, in bianco e nero, fu Mutt and Jeff di Bud Fisher, nel 1908.
Sempre in quei primi anni il fumetto iniziò a “industrializzarsi”, con un sistema di distribuzione dei contenuti su scala nazionale, e a volte internazionale (vedi voce “I syndicate”), che portò alla regolarizzazione della produzione e all’aumento vertiginoso di serie, autori e compensi.
I formati di strisce e tavole si regolarizzarono, mentre nelle serie iniziarono a svilupparsi cicli e continuity, e all’umorismo iniziarono ad affiancarsi veri e proprio feuilleton disegnati, come Little Orphan Annie di Harold Gray (1924) e Wash Tubbs di Roy Crane (1924), quest’ultimo dai toni decisamente avventurosi.
La data di svolta fu il 7 gennaio 1929, quando sui giornali americani uscirono in contemporanea le prime strisce di Buck Rogers, disegnata da Dick Calkins su testi di Philip Nowlan, scrittore e inventore del personaggio, e di Tarzan, adattamento ad opera di Hal Foster del primo romanzo di Edgar Rice Burroughs.
Furono le prime serie esclusivamente avventurose, senza umorismo e gag. Storie che si dipanavano per mesi quattro vignette alla volta, e che fecero scuola: la moda delle strip avventurose esplose negli anni Trenta e Quaranta, con decine e decine di titoli famosissimi come Mandrake, l’Uomo Mascherato, Brick Bradford, Flash Gordon, Dick Tracy, Cino e Franco, Terry e i pirati. Il loro successo non si fermò alla madrepatria, dato che questi fumetti furono immediatamente tradotti in mezzo mondo, influenzando profondamente il mercato dei paesi europei, Italia e Francia in testa.
Dagli anni Trenta a oggi il mercato è cambiato completamente, e il successo delle strip è cresciuto e calato a fasi alterne, ma da un punto di vista tecnico questa forma di fumetto è variata molto poco. I formati sono praticamente gli stessi (vedi voci “I formati delle strisce quotidiane” e “I formati delle tavole domenicali”), e anche se le tecniche di stampa permettono di pubblicare a colori Get Fuzzy, Perle ai porci o il fumetto su Papa Francesco, davvero poco è cambiato nella loro produzione rispetto agli anni Cinquanta dei Peanuts o ai Trenta di Flash Gordon.
Strisce quotidiane e tavole domenicali
Una delle prime cose di cui si accorge chi sfoglia una raccolta di strip – ad esempio le integrali di Calvin & Hobbes – è l’alternanza di strisce in bianco e nero e altre a colori. Se ci si fa caso, sono sempre 6 in bianco e nero per una a colori.
Questo deriva da un aspetto a cui abbiamo già accennato, ovvero il differente trattamento dei fumetti nei giorni della settimana. Dal lunedì al sabato i giornali americani pubblicano le cosiddette daily strip o semplicemente dailies, le strisce quotidiane. Ogni giorno sui quotidiani ci sono una o due pagine dedicate ai fumetti, varie serie a strisce pubblicate una sopra l’altra, come si vede nella prima immagine di questo articolo. Le pagine sono stampate insieme al resto del giornale, quindi spesso, soprattutto in passato, con il solo inchiostro nero e carta di bassa qualità.
La domenica, invece, lo spazio è maggiore e la stampa è a colori (vedi voce “I supplementi domenicali”). I fumetti si sviluppano quindi in tavole di grandi dimensioni e più spettacolari, chiamate sunday strip o sunday page, ovvero le tavole domenicali.
Non tutte le serie hanno o hanno avuto sia domenicali che quotidiane, anche tra quelle nate dopo il 1908. Normalmente una serie nasce come daily strip e se ha successo si guadagna in qualche tempo un posto nei supplementi a colori, ma ne esistono alcune che hanno fatto il percorso opposto e altre che non hanno mai fatto “il salto” nonostante la loro qualità. Un caso emblematico è Rip Kirby di Alex Raymond, che dal 1946 al 1956, finché fu in mano al suo creatore, per sua volontà visse solo in bianco e nero nei giorni feriali.
Un caso opposto è Prince Valiant di Hal Foster, che dal 1937 a oggi (sì, è una delle serie più antiche ancora in corso) è stato pubblicato sui giornali solo la domenica. Anche i Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks furono esclusivamente pubblicati in questa forma per tutta la loro lunghissima storia, dal 1897 al 2006, se si esclude un brevissimo tentativo di strip quotidiana negli anni Trenta nella loro versione intitolata The Captain and the Kids (vedi voce “Autori e copyright”).
Se una serie ha sia domenicali che quotidiane, solitamente è scritta e disegnata in entrambe le forme dallo stesso autore o team creativo, ma anche in questo caso ci sono numerose eccezioni. Fumetti come Tarzan, Topolino o Flash Gordon hanno avuto mani diverse al lavoro in contemporanea su dailies e sundays.
I supplementi domenicali
La prima casa dei fumetti, l’abbiamo accennato prima, sono stati i supplementi domenicali dei quotidiani, noti come sunday magazine o sunday supplement, una tradizione che sopravvive da oltre un secolo e mezzo: il primo noto è quello del San Francisco Chronicle, del 1869.
Sono inserti che molte testate inseriscono la domenica per offrire maggiori contenuti ai lettori. Per lungo tempo, per tanti americani l’edizione domenicale era l’unica che veniva acquistata, e per questo gli editori puntavano molto sui suoi contenuti. È su questi inserti, stampati a colori e spesso su carta migliore rispetto al quotidiano, che sono nati i fumetti di cui stiamo parlando.
Erano gli anni della lotta commerciale tra Pulitzer e il suo principale concorrente William Randolph Hearst, i due maggiori editori degli Stati Uniti. Il primo – che ha istituito per testamento il celebre Premio a suo nome -, immigrato dall’Ungheria, fu un importante giornalista e politico diventato poi editore; negli anni Settanta del Diciannovesimo secolo aveva prima comprato e fuso il St. Louis Dispatch e il Post, poi il New York World, che sotto la sua direzione era diventato il primo quotidiano del Paese per tiratura.
Hearst, invece, figlio di un magnate e con il pallino del giornalismo, aveva ottenuto dal padre la direzione del San Francisco Examiner, primo tassello di un impero editoriale che lo portò a rivaleggiare con Pulitzer, di cui voleva seguire le orme.
I due erano al continuo inseguimento di contenuti di successo (vedi voci “I syndicate” e “Autori e copyright”), e i fumetti erano perfetti come lettura d’intrattenimento per le masse dei quartieri operai di New York. Non è un caso che Yellow Kid fosse un ragazzino di estrazione popolare, così come moltissimi personaggi coevi erano chiaramente rappresentazioni di immigrati e minoranze.
Un caso quasi unico fu quindi quello del Chicago Sunday Triubune, che nel 1906 puntò su contenuti decisamente più raffinati, pensati per un pubblico intellettuale, e chiamò a realizzare i suoi fumetti un gruppo di artisti tedeschi. Il più famoso fu Lyonel Feininger, che scrisse e disegnò due serie effimere ma di svolta come i Kin-der-Kids e Wee Willie Winkie’s World.
I syndicate
Quando si parla di strip per i quotidiani americani si usa spesso il termine “fumetti sindacati”. È un calco dall’inglese e si riferisce al fatto che le serie di cui stiamo parlando sono prodotte e distribuite da syndicate, agenzie che rappresentano gli autori presso i giornali.
Non tutti gli editori, infatti, possono permettersi di avere i propri fumettisti a libro paga. D’altro canto i disegnatori hanno bisogno della stabilità economica che può dare solo una pubblicazione regolare, e i giornali hanno bisogno di riempire quotidianamente la pagina dei fumetti. I syndicate risolvono questi problemi commissionando le strisce agli autori e vendendone i diritti di pubblicazione in tutti gli USA e spesso nel resto del mondo.
I syndicate non si occupano, in realtà, soltanto di fumetti. Anzi, già da prima di Yellow Kid trattavano articoli, vignette, illustrazioni, fotografie, racconti, giochi, enigmistica. Quello del fumetto è stato però a lungo uno dei settori più redditizi.
I primi syndicate nacquero tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento intorno alle redazioni più grandi, che iniziarono a vendere ad altri le opere dei propri autori: giornali importanti come il New York Herald e il Chicago Tribune, gruppi editoriali o addirittura associazioni tra quotidiani indipendenti di città diverse, come l’Associated Newspapers che riuniva The New York Globe, Chicago Daily News, The Boston Globe e Philadelphia Bulletin. Nei primi decenni del Ventesimo Secolo i syndicate attivi erano una decina, mentre nell’età d’oro delle strip, tra gli anni Trenta e i Cinquanta, arrivarono a essere oltre cento.
Pulitzer fondò il World Feature Service intorno al 1905 per distribuire le strip che pubblicava sul New York World, come The Captain and the Kids (la seconda vita dei Katzenjammer Kidz, vedi voce “Autori e copyright”).
Il suo arci-rivale Hearst nel 1914 creò il King Features Syndicate, leader quasi incontrastato del mercato ancora oggi. Tra i suoi titoli troviamo Popeye, Flash Gordon, le strisce Disney, Felix the Cat, l’Uomo mascherato, Mutts, Grimmy, Beetle Bailey, giusto per citarne qualcuno.
Oltre al KFS i nomi più importanti furono l’United Features Syndicate, fondato nel 1918: a catalogo, Tarzan, Nancy, Sansone, Get Fuzzy, ma soprattutto i tre maggiori successi commerciali di sempre, i Peanuts, Calvin & Hobbes e Garfield. Oggi è una divisione dell’Andrews McMeel Syndication.
Gli altri due soggetti principali ancora attivi sul mercato sono il Tribune Content Agency e il Creators Syndicate. Il primo è il risultato della fusione dei syndicate del New York Daily e del Chicago Tribune, da cui ha ereditato Dick Tracy, Gasoline Alley e Little Orphan Annie (oggi solo Annie). Il secondo è nato soltanto nel 1987 ma rappresenta licenze di tutto rispetto come B.C., Il mago di Id, Liberty Meadows, Isidoro e Momma.
Autori e copyright
I fumettisti più quotati in passato sono stati oggetto di vere e proprie battaglie tra le agenzie, non dissimili da quelle dei calciatori di Serie A. Non si contano i casi di autori che in carriera hanno lavorato per più syndicate, a volte portando con loro le proprie creazioni.
Ad esempio Geo McManus pubblicò tutte le sue prime strisce, tra il 1904 e il 1912, per Pulitzer, creando una decina di personaggi ormai dimenticati, finché non passò al gruppo di Hearst, per il quale inventò nel 1913 la sua striscia più famosa, Bringing up Father, da noi Arcibaldo e Petronilla.
Winsor McCay pubblicò Little Nemo in Slumberland sul New York Herald tra il 1905 e il 1911, per passare poi al New York American di Hearst dove lo disegnò fino al 1914, intitolandolo In the Land of Wonderful Dreams. Nel 1924 tornò poi di nuovo all’Herald, per altri tre anni di tavole. In tutte e tre le incarnazioni il personaggio era chiaramente lo stesso, ma McCay fu costretto a cambiare il titolo per questioni legali al passaggio da un syndicate all’altro.
All’epoca, infatti, le leggi sul diritto d’autore erano molto meno chiare di oggi, tanto che il mondo delle strip conobbe numerose vicende legali sulla proprietà dei personaggi. Le più emblematiche sono quelle relative a Yellow Kid, Buster Brown e ai Katzenjammer Kids.
Come racconta Alfredo Castelli nel fascicolo L’altro Yellow Kid/L’altro Little Nemo «alla fine di settembre del 1896 Outcault consegnò la trentottesima tavola di Yellow Kid, dopo di che uscì dalla redazione del World di Pulitzer, si infilò nell’ascensore e raggiunse l’undicesimo piano dell’edificio all’angolo tra Park Row e Frankfort Street dove si trovavano anche gli uffici del quotidiano concorrente, il Journal di William Randolph Hearst. Con sé portava il proprio personaggio, non senza averne prima depositato l’immagine e il nome presso il Copyright Office di Washington, garantendosene così la proprietà».
Outcault iniziò a disegnare per la concorrenza, che l’accolse a braccia aperte, valorizzandolo come Pulitzer non aveva mai fatto. Questi, però, non rinunciò al personaggio e incaricò George B. Luks di disegnare altre tavole del ragazzino in maglia gialla. Per un certo periodo ci furono quindi due Yellow Kid, che uscivano in contemporanea. Pare che Hearst domandò un risarcimento all’altro magnate, ma decise poi di lasciar cadere la facenda.
Anche Buster Brown era un personaggio di Outcault, pubblicato tra il 1902 e il 1905 sul New York Herald, quando l’autore decise di cambiargli casa e di tornare di nuovo da Hearst sul New York American. Qui però successe una cosa imprevista, diversa dal precedente di Yellow Kid: il nome del personaggio era stato registrato dall’editore, e un tribunale sentenziò che il fumettista non poteva utilizzarlo. Non poterono però togliergli la proprietà intellettuale del personaggio stesso.
Fu così, quindi, che anche Buster Brown visse due vite in contemporanea, una sull’Herald, disegnato da William Lawler, e un’altra, privata però del titolo, per il syndicate di Hearst per mano del suo creatore. Il caso volle che entrambe le versioni furono pubblicate in Italia sul Corriere dei Piccoli, dove furono giustamente trattate come un unico personaggio di nome Mimmo.
Ancora più complicata è stata la vicenda dei Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks, da noi noti come Bibì e Bibò. Esordirono nel 1897 sul supplemento umoristico del New York Journal di Hearst e furono disegnati dal loro creatore fino al 1913, quando lui chiese di poter lasciare temporaneamente la serie dopo oltre 15 anni di pubblicazioni. Il magnate non glielo concesse e ne approfittò per incaricare del compito Harold Knerr, che disegnò la strip per oltre 35 anni, passando poi il testimone ad altri autori fino al 2006, quando il KFS chiuse la produzione e iniziò a distribuire solo ristampe.
Intanto Dirks si rivolse a Pulitzer per portare da lui i personaggi. Di nuovo ci fu una causa, di nuovo il tribunale giudicò allo stesso modo, accreditando all’editore il marchio ma all’autore la proprietà intellettuale e il permesso di proseguire la serie. Il fumettista riprese quindi le storie dei monelli con un titolo diverso – prima Hans und Fritz, poi The Captain and the Kids – e le disegnò fino al 1955. La serie fu continuata poi dal figlio e terminò solo nel 1979. A differenza di Buster Brown, che ebbe due vite parallele per meno di un lustro, i monelli e il capitano vissero in due versioni concorrenti per oltre sessant’anni.
Non tutte le serie, per fortuna, hanno alle spalle vicende di diritti così complicate: la maggior parte nascono e muoiono per lo stesso syndicate. Spesso, però, a essere protagonisti delle strisce non sono personaggi creati apposta per i quotidiani ma nati in altri medium, come Topolino, i Flintstones, Bugs Bunny, Batman e Superman.
Nati in animazione o in fumetto di altro formato, tutti loro furono spesso trasformati in strip per godere della maggiore diffusione dei giornali, che facevano così da volano pubblicitario per comic book, film e merchandising. La cosa interessante è che spesso i team creativi erano composti da autori di altissimo livello nel medium di origine, come nel caso delle dailies di Spider-Man scritte da Stan Lee e disegnate da John Romita Sr.
Continuity e gag
Il motivo principale per cui vengono pubblicate le strip è far affezionare i lettori ai personaggi e spingerli a comprare i giornali. In questo una parte molto importante è la continuity interna alle singole serie, che gli autori hanno strutturato con sensibilità diverse: da una parte ci sono solitamente i fumetti di avventura, che sviluppano storie per diverse settimane se non mesi, quattro vignette al giorno; dall’altra la maggioranza delle strip umoristiche, le cui puntate possono essere lette in qualsiasi ordine.
Anche queste ultime, però, spesso si organizzano in cicli, che al loro interno hanno una propria trama, e creano situazioni ricorrenti, veri e propri tormentoni come Lucy che toglie il pallone a Charlie Brown o Linus che aspetta il Grande Cocomero, espedienti fondamentali per creare un legame con i lettori.
Già le prime serie in assoluto ebbero approcci diversi al riguardo. Yellow Kid, ad esempio, presentava il protagonista e alcuni personaggi ogni volta in situazioni diverse, senza un particolare sviluppo orizzontale delle loro vicende, se non quando Outcault passò dal gruppo di Pulitzer a quello di Hearst: nella prima tavola del nuovo ciclo, non più ambientato a Hogan’s Alley, si premurò di spiegare che i ragazzini si erano trasferiti altrove, segnando un punto di svolta importante.
Buster Brown di Lawler partì per un viaggio intorno al mondo di un paio di anni, in una serie di tavole autoconclusive ma concatenate. Un altro caso interessante è quello di Little Nemo: una storia unica che continua per tutta la sua pubblicazione, ma al tempo stesso composta da tavole pensate per essere autoconclusive. E ogni volta, nell’ultima vignetta, il ragazzino si sveglia dal sogno che sta vivendo.
Le prime continuity orizzontali vere e proprie, dove ogni puntata è un pezzetto di storia, comparvero alla fine degli anni Dieci, ad esempio in Thimble Theatre di E. C. Segar, la serie in cui sarebbe poi nato Braccio di Ferro.
Il “campione di continuity” del fumetto sindacato nacque proprio in quel periodo, nel 1918: Gasoline Alley di Frank King. Era una vera e propria sitcom a fumetti, che seguiva la vita di un omone di nome Walt e del suo figlio adottivo Skeezix; loro e tutti i personaggi crescevano, invecchiavano, si sposavano – ma non morivano, tanto che il protagonista è ultracentenario e ancora vivo nelle strip odierne.
A complicare la situazione della continuity c’è la doppia pubblicazione in dailies e sundays.
Quando le quotidiane portano avanti una storia unica, le domenicali preferiscono solitamente tavole autoconclusive. È il caso appunto di Frank King, che utilizzava il formato maggiore e il colore per sperimentare con il linguaggio del fumetto.
Un’alternativa è la creazione di continuity parallele scollegate, come fece la maggior parte dei fumetti d’avventura, da Mandrake all’Uomo Mascherato, da Flash Gordon a Cino e Franco, che avevano una storia che proseguiva dal lunedì al sabato e un’altra che procedeva per puntate settimanali la domenica. Esistevano però anche trame che si sviluppavano nei sette giorni della settimana, come quella di Little Orphan Annie.
Ovviamente esistono anche situazioni ibride, serie che alternano domenicali autoconclusive a piccole continuity, e ci sono anche casi di sundays che nascono dalle dailies, come Captain Easy, spin-off dedicato a un personaggio di Wash Tubbs. Le due serie finirono poi per fondersi al temine della loro corsa.
I formati delle strisce quotidiane
Se i contenuti delle strip sono stati sempre molto liberi, più regolamentati sono i formati di pubblicazione. Era una necessità del sistema dei syndicate, che dovevano fornire contenuti in formati standardizzati per facilitare l’impaginazione dei giornali. Nei primi tempi la libertà era massima e ogni agenzia aveva i suoi formati, pur poco diversi l’uno dall’altro, ma essi furono via via resi più regolari e universali.
Gli standard prevedono sempre la possibilità che le strip vengano rimontate per agevolare il lavoro dei grafici. Ogni striscia ha sempre lo stesso numero di vignette e della stessa dimensione – o almeno vignette strutturate a partire sempre dallo stesso modulo – così che le redazioni potessero reimpaginarle su due strisce (vedi l’esempio precedente di Bringing up Father), a quadrato (come siamo abituati a leggere i Peanuts negli albetti tascabili) o addirittura in verticale, per andare a riempire ogni spazio in impaginato.
Negli anni gli spazi sui quotidiani sono cambiati molto, e di conseguenza anche i formati delle strisce. Per averne un’idea il modo migliore è seguire l’evoluzione dei Peanuts dal 1950 al 2000.
Le prime strisce sono molto basse, larghe 5,4 volte l’altezza. Era il cosiddetto “formato salvaspazio”, destinato alle serie nuove o di minor successo, che potevano essere utilizzate così come tappabuchi.
Già alla metà degli anni Cinquanta la serie fu“promossa”, e il rapporto tra altezza e larghezza diventò 1:5, leggermente più alto, e rimase pressoché stabile per circa 30 anni. Alla fine degli anni Ottanta l’United Features Syndicate decise di stringere le sue strisce, da quattro a tre vignette, e il rapporto passò a 1:3,5. Inutile dire che Schulz ne approfittò per disegnare immagini più ariose e addirittura a volte non suddividere più le strip in vignette, certo che ormai il suo bestseller non sarebbe stato rimontato per riempire gli spazi vuoti.
I formati delle tavole domenicali
Anche le tavole domenicali avevano dei formati standard come le quotidiane, con la difficoltà ulteriore dovuta al maggior formato. Nei primi anni grossomodo ogni serie andava a occupare un’intera pagina dei supplementi, come le già citate Gasoline Alley o Little Nemo, oppure solo mezza, come The Upside-Down World di Gustave Verbeek, una curiosa serie da leggere prima dritta e poi capovolta.
Con l’evoluzione del sistema dei syndicate è aumentata la varietà di formati, per venire incontro alla doppia necessità di creare standard e permettere flessibilità di pubblicazione, soprattutto nei quotidiani in formato tabloid, più piccolo.
Per lo stesso motivo furono introdotte le topper (vedi voce seguente) e soprattutto si iniziò a disegnare le tavole in modo da poterle rimontare secondo necessità, come avveniva con le quotidiane. In particolare ai disegnatori fu chiesto di lavorare seguendo griglie fisse e di disegnare gag, sequenze o illustrazioni superflue che potessero essere tagliate senza influire sulla trama.
Esistevano griglie differenti per le domenicali a tutta pagina e per quelle da mezza pagina, così come ogni distributore aveva le proprie regole, leggermente diverse da quelle degli altri, ma all’interno di questi campi il sistema era fisso, preciso e sempre rispettato da tutti gli autori.
Utilizzando di nuovo i Peanuts come esempio, in questa tavola del 1968 abbiamo evidenziato i moduli in cui è strutturata, che – fateci caso – sono sempre gli stessi per ogni domenicale della serie. Il blocco 2 è quello che poteva saltare per permettere, ad esempio, l’impaginazione su quattro strisce.
Questo sistema, pur con qualche variazione, dura tuttora da circa un secolo e sono state pochissime le eccezioni. Il primo autore a essersi “ribellato”, grazie al suo potere contrattuale, fu Bill Watterson, che all’inizio del 1992, dopo circa un anno di stop di Calvin and Hobbes, pretese di impaginare le sue tavole domenicali in modo più libero. E così fu, dal 2 febbraio di quell’anno fino al 31 dicembre 1995, quando terminò la serie.
Le topper
Per facilitare l’impaginazione delle pagine dei quotidiani – ma anche per avere più personaggi a catalogo – i syndicate svilupparono presto la formula delle topper, ovvero serie secondarie che venivano vendute in abbinamento alle tavole domenicali di alcune serie, e come queste erano quasi sempre a colori. Ogni giornale poteva decidere se pubblicarle o meno per risparmiare spazio.
Nel formato più diffuso, sunday e topper insieme occupavano una pagina intera del quotidiano, solitamente in formato 2/3 e 1/3, ma ci sono casi di rapporti diversi e di accoppiate grandi mezza pagina. Solitamente erano realizzate dagli stessi autori delle domenicali e avevano tematiche simili. Ad esempio una serie umoristica a tavole autoconclusive come i Katzenjammer Kids di Knerr dal 1926 era accompagnata dalle buffe vicende di Dinglehoofer und His Dog, mentre, al di sopra di Flash Gordon, già dalla prima puntata Alex Raymond raccontò le avventure dell’altrettanto eroico Jungle Jim.
Ma, come sempre, le cose non sono così lineari. Ci sono casi, ad esempio, di serie nate separatamente e poi diventate una la topper dell’altra, come successe dal 1926 a And Her Name Was Maud (1904) e Happy Hooligan (1900) di Frederick Opper, da noi chiamati rispettivamente la mula Checca e Fortunello sul Corriere dei Piccoli. Questo solo dopo che i personaggi si erano incontrati spesso tra loro e anche con i protagonisti di un’altra serie dell’autore, in uno dei primi team up della storia del fumetto.
Altre volte una serie ha avuto più topper in contemporanea, per permettere ulteriori possibilità di rimontaggi. A Thimble Theatre di Segar fu abbinata per 21 anni Sappo, di fianco alla quale si trovava Popeye’s Cartoon Club, una serie di giochi da ritagliare o piccolissime lezioni di disegno presentate da Braccio di Ferro.
Ancora, quando a realizzare i fumetti non erano singoli autori ma veri e propri studi era comune che le topper fossero realizzate da altre mani rispetto alle domenicali. È il caso dei fumetti Disney, utilizzati per promuovere i film: la domenica, insieme al Topolino di Floyd Gottfredson e di Manuel Gonzales, si potevano leggere ad esempio le versioni a fumetti delle Silly Simphonies (tipo I tre porcellini e La gallinella saggia, disegnati da Al Taliaferro) o di Biancaneve (dicembre 1937-aprile 1938) e di Pinocchio (dicembre 1939-aprile 1940), entrambe affidate a Hank Porter.
Infine, nonostante il nome, non sempre le topper si trovavano in cima alla pagina. La più famosa è The Medieval Castle, che accompagnò al piede il Prince Valiant di Foster dal 23 aprile 1944 al 25 novembre 1945.
Un caso stranissimo di topper-non-topper, anche perché legato a una striscia quotidiana, riguarda una delle serie più surreali e amate di sempre, Krazy Kat. George Herriman nel giugno del 1910 inaugurò la serie The Dingbat Family e già da luglio mise in scena, negli angoli delle vignette, in parallelo alle vicende della famiglia, le scaramucce tra un topo e un gatto, chiamato “kat”, con tanto di lancio di un ciottolo in testa al felino.
Il 12 agosto l’autore disegnò per la prima volta al di sotto di quella principale una vera e propria strip per gatto e topo, che alla fine del mese era ormai un’entità autonoma e scollegata dalla famiglia Dingbat. La pubblicazione continuò così fino al 1913, quando a Krazy Kat e Ignatz the Mouse fu dedicata una striscia autonoma.
Probabilmente nessun giornale pubblicò mai The Dingbat Family senza Krazy Kat, ma è indubbio che l’opera più famosa di Herriman in questa prima forma fu molto simile a una topper per striscia quotidiana.
Consigli di lettura
Se volete recuperare qualcuna delle strip che abbiamo citato e non volete diventare poveri riempiendo casa vostra degli spettacolari volumi pubblicati da Sunday Press, Fantagraphics, Dark Horse, Taschen e le loro edizioni italiane, qui sotto trovate qualche link per leggere gratuitamente e legalmente qualche fumetto.
Le strip più antiche sono quasi tutte fuori diritti e sono numerosi i siti che caricano online scansioni tratte da giornali e raccolte. Il più ricco è Barnacle Press, e una buona selezione si trova anche su Comic Book Plus, che ha anche molte pagine di Yellow Kid.
Comic Strip Library, un sito ambizioso ispirato al Progetto Gutemberg ma fermo ormai da anni, ospita molti fumetti di Winsor McCay, tra cui quasi tutto Little Nemo. I maniaci di Herriman invece impazziranno per Ingatzmouse.net, che nei suoi archivi ha le scansioni di annate di The Dingbat Family.
I siti ufficiali dei sydicate purtroppo non offrono grandi letture, se si esclude GoComics, una piattaforma di proprietà dell’Andrews McMeel con oltre 500 titoli AMM e Universal, dai Peanuts e Calvin & Hobbes a Perle ai porci e Dilbert. Ha anche un buon catalogo di classici come Nancy (sia nella versione originale di Ernie Bushmiller sia in quella contemporanea), Mutt e Jeff e Li’l Abner, compresa una sezione sulle origini delle strip curata da Peter Maresca, fondatore di Sunday Press.
Per i non anglofoni il suggerimento è invece di andare su Il Post a leggere i buoni, vecchi Peanuts e Doonesbury.
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