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La continuity, il vero “cattivo” dei fumetti

di Manuel Enrico*

Croce e delizia di lettori, ma soprattutto degli autori, la continuity è uno degli elementi più iconici della narrazione seriale. Solitamente, la si associa al mondo dei fumetti, ma la continuity è presente anche in altri media, come le serie tv. Proprio da questo ambito si può comprendere come sia complesso gestire una continuità narrativa solida ed impeccabile, considerato che le produzioni televisive si avvalgono di una figura che ha il solo compito di verificare il rispetto del background costruito sino a quel momento.

Per le serie tv, dove ampi budget consentono la presenza di curatori e supervisori, questo controllo sulla coerenza narrativa è molto rigido, ma non infallibile. Prendendo ad esempio uno dei franchise più longevi di sempre, Star Trek (iniziato nel 1966), è possibile trovare una serie di incongruenze tali che, per ironizzarci sopra, è stato addirittura coniato un acronimo apposito: YATI, Yet Another Trek Inconsistency (“Un’altra incongruenza di Star Trek“).

Se nel mondo televisivo la continuity è, tuttavia, facilmente gestibile, il discorso si complica non poco entrando nel mondo del fumetto. La quantità di numeri e dettagli inseriti in un fumetto seriale, specialmente negli ultimi anni, è considerevole, rendendo il controllo della continuità narrativa un’esigenza che deve tener conto dei giudici più spietati: i lettori. Per quanto un autore possa esser preciso e fedele alla continuity arriverà un momento in cui incapperà in un errore, magari anche un’inezia, ma di sicuro al lettore più attento non sfuggirà questa incongruenza.

La continuity nei fumetti

Parlando di continuity nel mondo delle nuvole parlanti, spesso questo termine rimane un mistero per i meno avvezzi al mondo dei fumetti. Per avere un’idea di come funzioni la continuity fumettistica, possiamo vederla come il corrispettivo nei comics del nostro vissuto, il background dei nostri beniamini.

Provate ad immaginare di creare un personaggio a fumetti, capace di conquistare il pubblico e venire pubblicato per decenni, in cui, ad ogni numero, fate incontrare nuovi personaggi, o di cui svelate dettagli del passato che i lettori, appassionandosi alla vostra creazione, considereranno come i pilastri della sua personalità. Ne state raccontando il passato, insomma, definendolo in modo preciso e, inesorabilmente, immutabile. Ovviamente, il nostro personaggio, per essere reale, allaccerà rapporti con altri personaggi, che a loro volta avranno un proprio passato che dovrete, giocoforza, raccontare ai vostri lettori.

A ogni aggiunta di un nuovo dettaglio, vi sembrerà di dare maggior solidità alla vostra creazione, ma inconsciamente vi state complicando non poco la vita. Perché ognuno di questi elementi diventerà un punto fermo della storia del vostro personaggio, entrando nella sua continuity. E se i lettori sguazzano in questo universo di curiosità e approfondimento su un personaggio, per gli autori inizia una serie di problematiche che non si sarebbe mai immaginato.

Se da un lato un mondo ben caratterizzato, che sappia muoversi autonomamente dalla figura di un personaggio principale, è avvincente e si presta anche a diverse tipologie di storie, dall’altro rappresenta un terreno minato in cui sono incappati anche alcuni tra i più venerati autori di fumetti. Se a questo si aggiunge, specialmente in ambito supereroistico, l’introduzione di espedienti narrativi quali multiverso e viaggi nel tempo, la fragilità della continuity è inevitabile.

Verrebbe da chiedersi chi abbia avuto questa folle idea di introdurre la continuity nei fumetti. Sicuramente, all’inizio, questo passaggio non era stato pensato per essere sviluppato nei decenni a venire, visto che l’introduzione della continuity risale a un periodo della storia dei fumetti in cui la breve vita editoriale del media non poteva far pensare ad uno sviluppo che ha portato oggi i fumetti ad essere una vera e propria forma di letteratura.

Non è un caso che sia proprio il fumetto supereroico la maggior vittima della continuità, l’origine della tanta temuta continuity. Durante la Golden Age dei fumetti (convenzionalmente considerati gli anni dalla nascita di Superman nel 1938 al nuovo Flash nel 1956) vennero sfornati una quantità incredibile di personaggi per serie a fumetti, tanto che la DC Comics e le sue concorrenti come la Timely Comics (la futura Marvel) si ritrovarono con una situazione complessa di eroi che, apparentemente, non sapevano dell’esistenza l’uno dell’altro. Come fare dunque a porre rimedio a questa situazione? L’idea nacque in casa DC: creare una squadra di eroi.

Nell’inverno del 1940 Gardner Fox sceneggiò una storia che riunisse in un unico albo diversi eroi dei fumetti. Fu così che Doctor Fate, Hour-Man, Spectre, Hawkman, Flash e Green Lantern furono riuniti nella Justice Society of America. Con questa mossa, Fox diede il via alla concezione che i personaggi a fumetti fossero parte di un mondo molto più ampio di quanto precedentemente pensato. I lettori gradirono questa idea, e l’idea di universi condivisi tra i diversi personaggi venne data come assodata per i fumetti successivi.

continuity fumetti justice society of america

Ma se è vero che la DC è l’involontaria creatrice della continuity, è stata la sua diretta concorrente, la Marvel, a sviluppare il concetto di continuity nella sua forma più complicata (e di conseguenza, spietata). La nascita del Marvel Universe è stata una delle tappe fondamentali dello sviluppo del concetto di continuità, specialmente applicata in un contesto più ampio che consentisse di intrecciare le vite di più personaggi.

La “Casa delle Idee” ha sempre voluto creare un universo solido e coeso. Il primo passo per la creazione di quello che sarebbe poi divenuto il Marvel Universe risale proprio a quel 1940, con il primo crossover tra due personaggi di quella che all’epoca era ancora conosciuta come Timely Comics. In Marvel Mistery Comics 8-10, infatti, si scontrarono Namor The Sub-Mariner e Human Torch, l’androide Jim Hammond; questo primo incontro tra due personaggi della casa editrice si può considerare, a tutti gli effetti, il primo mattone del Marvel Universe fumettistico, e di conseguenza il seme della continuity Marveliana.

Una continuity che si è in seguito ampliata con la comparsa di una serie di supersquadre che riunivano diversi personaggi, sull’esempio della Justice Society of America di casa DC. Dopo il primo incontro tra Namor e Human Torch comparvero All Winners Squad (in cui ricomparve Namor e apparve anche Capitan America), la Liberty Legion e gli Young Allies. Si tratta, però, di pubblicazioni antecedenti agli anni Cinquanta, periodo in cui la figura del supereroe perse di interesse presso il pubblico, decretandone una parziale scomparsa in favore di altri temi, come la fantascienza o l’horror. In questo panorama editoriale mutevole, la continuity venne momentaneamente messa sotto ghiaccio, come un certo eroe che sarebbe poi divenuto il fulcro dell’universo Marvel: Capitan America.

Sul finire degli anni Cinquanta, Martin Goodman, titolare della Timely Comics, decise di cambiare il nome alla casa editrice, ribattezzandola Marvel Comics. La speranza era quella di dare nuova linfa al fumetto supereroistico, seguendo l’esempio della DC, che nel 1956 aveva riacceso l’interesse degli appassionati mostrando in DC Comics’ Showcase 4 una nuova storia di Flash.

In Marvel si decise di puntare subito su un nuovo parco di personaggi, portando alla nascita di personaggi quali Fantastici Quattro, X-Men, Spider-Man, Iron-Man e Avengers. Tradizionalmente, si fa partire la continuity marveliana dal 1961, anno di uscita del primo numero delle avventure della famiglia Richards, ma nel n. 4 di Avengers, gli Eroi più Potenti della Terra trovano un corpo tra i ghiacci del Nord e, a loro insaputa, riportano nel Marvel Universe uno dei personaggi essenziali della continuity marveliana: Steve Rogers, alias Capitan America.

continuity fumetti avengers 4 capitan america

La retcon

Con l’introduzione del personaggio all’interno degli Avengers, si rende implicitamente unico l’universo dei fumetti degli anni Quaranta con quello degli anni Sessanta, accogliendo nel Marvel Universe le storie appartenenti all’era della Timely. Già in questa prima fase emergono i primi problemi della gestione di una continiuità narrativa solida, ma in Marvel non ci si spaventa e si crea il primo caso di retcon.

Per retcon si intende quel processo in cui si riprendono elementi già stabiliti di un personaggio (quasi sempre le origini) e li si adatta ad una nuova esigenza. Per quanto simile al reboot, che prevede un riavvio totale della storia considerata, il retcon non implica la cancellazione delle storie successive.

In Marvel si utilizza questa tecnica per introdurre all’interno del nuovo universo narrativo i personaggi nati nei fumetti romantici o horror degli anni Cinquanta. Per fare un esempio, Patsy Walker, l’eroina nota come Hellcat, nasce inizialmente come personaggio di un fumetto rivolto a un pubblico di giovani adolescenti, ma con un’operazione di retcon viene trasformata in una metaumana, utilizzando come escamotage l’idea che le sue precedenti avventure fossero in realtà racconti a fumetti creati dalla madre, che ne raccontava l’adolescenza romanzandola per renderla più interessante… Cosa non si fa, per proteggere la continuity!

Lo scorrere del tempo

La continuity Marvel, tramite incontri e scambi di villain tra i vari personaggi, prosegue sino a quando interviene il vero nemico della continuity: l’Attento Lettore, nemico/amico di ogni autore. Nel 1968 un fan dei Fantastici Quattro pose la fatidica domanda: quanto tempo passa tra un numero e l’altro? A rispondere fu Stan Lee, che forse inconsciamente diede la prima indicazione sul tempo del Marvel Universe: «Anche se una storia completa si svolge in un giorno solo, non vuol dire che la seguente inizi il giorno successivo. L’avventura seguente potrebbe avviarsi il giorno dopo, o la settimana successiva o anche dopo un mese, persino l’anno dopo!».

Quindi, il tempo nel Marvel Universe scorre in modo differente, una concezione che ha concesso agli autori Marvel di muoversi liberamente all’interno di questo flusso temporale. All’epoca si era convinti che il Marvel Universe fosse in vita da circa 7 anni, ma come gestire una continuity dopo 50 anni? Oggi Capitan America dovrebbe essere ormai quasi centenario, e Spider-Man dovrebbe esser acciaccato dall’artrite anziché volare tra i palazzi di Manhattan. Anzi, proprio Peter Parker è diventato, in un certo senso, il punto di riferimento per lo scorrere del tempo in casa Marvel.

continuity fumetti crisi sulle terre infinite

Per cercare di portare un minimo di ordine nella continuity Marvel, si è dunque scelto di prendere due punti fermi da cui tentare di organizzare gli eventi di così tanti decenni di storie. Il primo è la comparsa dei Fantastici Quattro nel novembre 1961, stabilendo che 4 anni di storie in edicola corrispondono a un anno di vita di personaggi. Quindi, il primo albo con una storia di Spider-Man (Amazing Fantasy 15, 1962) è concomitante alla prima avventura dei Richards. Ma questo (allora) 15enne impacciato morso da un ragno, non è invecchiato? La risposta è arrivata nel 2014, con l’avvio di The Amazing Spider-Man vol. 4, in cui viene spiegato che da quel numero sarebbero passati solamente 13 anni, stabilendo quindi che il Tessiragnatele ha 28 anni.

Tenendo per buono questo rateo di conversazione temporale di 4 a 1, la continuity Marvel – almeno per la questione temporale – sarebbe risolta. Ma rimane un altro problema: il cambio di autori alla guida delle testate. In casa Marvel i personaggi sono affidati a rotazione ad autori differenti, ognuno intenzionato a raccontare le proprie visioni dei personaggi. Inevitabilmente, si creano situazioni che vengono ribaltate o riarrangiate all’occorrenza. Ecco quindi comparire la salvezza delle continuity: il multiverso. Ciò che non rientra in una continuity precisa e lineare può comparire in un universo alternativo, scelta possibile in casa Marvel da quando nel 1983 Alan Moore con la storia Rough Justice nell’antologico britannico The Daredevils 7 stabilì che la continuity principale della Casa delle Idee si sviluppasse su Terra-616 (il che fra l’altro permise nel 2000 di creare ex novo le riletture dell’universo Ultimate).

La volontà della Marvel di non ricorrere mai al reboot ma limitarsi a retcon periodici (fino al recente All-New, All-Different Marvel del 2015) è una scelta editoriale che molti lettori hanno apprezzato. Alla DC si è andati meno per il sottile, scegliendo alcuni punti nevralgici del continuum delle avventure di Batman e compagni per imporre veri e propri reboot: il più famoso è stato a lungo la Crisi sulle Terre Infinite del 1985, finché è arrivato l’evento epocale The New 52 del 2011.

Verrebbe da chiedersi se i fumetti seriali possono esistere senza continuity. Per una storia one-shot la domanda è inutile, ovviamente, ma la verità è che la continuity può esser gestita in una maniera più delicata, in cui siano pochi elementi a esserne la colonna portante. Maggiore sarà la vita editoriale del fumetto, maggiore sarà il rischio di incappare in un errore, ma una buona complicità tra autore e lettore può aiutare a sorvolare su queste piccole mancanze.

*La versione integrale di questo articolo è disponibile sul mensile Fumo di China 299, ora in edicola, fumetteria e online.

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