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FocusListeI 10 migliori graphic novel italiani del 2020

I 10 migliori graphic novel italiani del 2020

Dopo le nostre selezioni delle 10 migliori serie a fumetti, dei 10 migliori fumetti classici e dei 10 migliori graphic novel stranieri tra quelli pubblicati nel 2020 in Italia, terminiamo di ripercorrere il meglio della produzione di quest’anno dedicandoci ai 10 migliori graphic novel italiani. Una selezione che, come ricorderanno i nostri lettori più assidui, abbiamo iniziato a proporre da alcuni anni, nella convinzione che il costante aumento della produzione anche (e soprattutto) in questo ambito richieda a noi di Fumettologica un servizio e uno sforzo in più per offrire una guida – e un confronto – intorno al panorama editoriale nazionale.

Ecco dunque la nostra ‘playlist’ dei graphic novel italiani che più abbiamo amato e discusso nel 2020 e che riteniamo una buona rappresentazione del meglio della produzione dell’anno. Una selezione molto varia per temi e generi, che ospita alcuni nomi ormai molto noti non solo agli appassionati di fumetti – e spesso presenti nelle nostre selezioni, come Zerocalcare, Gipi, Davide Toffolo e Manuele Fior – e qualche piacevole sorpresa, a comporre un’annata tutt’altro che povera, nonostante le difficoltà vissute dal mercato librario nel corso dell’anno a causa della pandemia.

Come rubare un Magnus, di Davide Toffolo (Oblomov Edizioni)

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A oltre 10 anni dall’uscita del primo capitolo, Davide Toffolo – leader della band Tre Allegri Ragazzi Morti e fumettista autore di opere come Piera degli Spiriti e Pasolini – ha concluso per Oblomov Edizioni il suo fumetto su Magnus, una storia che mischia realtà e finzione per ripercorre la vita e le opere del disegnatore di Alan Ford, Kriminal e Satanik e creatore de Lo Sconosciuto.

Con il suo tratto morbido, Toffolo racconta la vita del fumettista attraverso le opere realizzate da Magnus e le amicizie che l’autore – al secolo Roberto Raviole – strinse con tanti protagonisti del fumetto italiano. Il genere biografico è qui tanto un omaggio al nume tutelare di Toffolo quanto un mezzo per mettere su carta i processi creativi e provare a spiegare le alchimie misteriose dietro alla nascita di un fumetto.

Dentro Come rubare un Magnus ci sono le parole ma anche i corpi, quelli malandati dei protagonisti, quelli nudi, erotici o comici disegnati da Magnus, e quello dello stesso Raviola, ritratto nella varie fasi della sua vita (da giovane, poi capellone, poi ancora col l’aspetto quasi monacale degli ultimi anni). Come rubare un Magnus è un libro che si dirama verso tante direzioni, tra il mistero, la biografia, il tono farsesco e poi d’indagine intima sui personaggi, ma è soprattutto una lettera d’amore a uno dei maestri del fumetto italiano.
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Qui c’è la nostra intervista all’autore.

Padovaland, di Manuel Vila (Canicola Edizioni)

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Padovaland è una megalopoli potenziale, un parco senza divertimenti, una ipotesi tardiva di Los Angeles, caratterizzata da una distesa di villette a schiera dagli ampi giardini, larghe strade multicorsie, distretti industriali e commerciali coloratissimi, immersi nel verde, illuminati dalle luci al neon. Spazi immensi di aiuole e asfalto nei quali muoversi rigorosamente in macchina, o al più in bicicletta, nelle stagioni che lo consentono. Spazi che definiscono le vite di chi ci nasce e specialmente di chi suo malgrado (perché nell’adolescenza, è sempre un vivere “malgrado”) è costretto a viverci.

Padovaland è l’area che sta tra le province di Padova, Treviso e Venezia, una provincia di cui Miguel Vila – qui all’esordio per Canicola Edizioni – coglie alla perfezione tutti quei “malgrado”: le feste, le bevute, il sesso, Netflix, i social network, gli studi, i rapporti complicati tra persone costrette a convivere nello stesso spazio, quel cercarsi e rifiutarsi che dipende dal fatto che non hai alternative.

In tavole cariche di colori pastello e con vignette senza bordi, Vila ritrae un’umanità crudele e sottilmente violenta che ricorda per certi versi il caustico pessimismo di Tiziano Sclavi, miscelato con lo sguardo un po’ cinico di un Daniel Clowes o, per citare un autore stilisticamente molto affine a Vila, Nick Drnaso con il suo Sabrina.
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Qui c’è la nostra recensione.

Aldobrando, di Gipi e Luigi Critone (Coconino Press)

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Aldobrando è uno spin-off a fumetti del gioco di carte fantasy Bruti, ideato nel 2015 da Gianni “Gipi” Pacinotti, che segna una prima volta per l’autore di Appunti per una storia di guerra e Momenti straordinari con applausi finti: la sua prima collaborazione con un altro disegnatore, in questo caso Luigi Critone, che lavora da anni per il mercato francese.

Nonostante ciò, però, Aldobrando è Gipi allo stato puro. Si tratta di un romanzo di formazione incentrato sul personaggio eponimo, che si ritrova coinvolto in situazioni eroiche ma che allo stesso tempo rifugge gli stereotipi di genere. Nel corso delle circa 200 pagine del libro, Aldobrando mostra sì un gran cuore e tanto coraggio, ma anche un aspetto ordinario, dal fisico minuto e il naso a patata.

Aldobrando è, in sintesi, una storia molto più quotidiana di quanto possa sembrare, ambientata in un contesto di fantasia in cui però magia e azione – così come altre stramberie varie tipiche del fantasy – restano fuori dalle scene. Più vicina al Don Chisciotte di Cervantes o a L’armata Brancaleone di Monicelli che al Signore degli anelli, insomma. Il risultato è un’avventura picaresca caratterizzata da un ritmo forsennato, molto ben impostato dai raffinati disegni di Critone.
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Qui c’è la nostra intervista a Luigi Critone.

Ultima goccia, di Andrea De Franco (Eris Edizioni)

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Il primo graphic novel di Andrea De Franco (autore particolarmente attivo nel mondo dell’autoproduzione e musicista) è un racconto che usa il caffè come una metafora del divenire e di tutto ciò che è instabile. Ultima goccia è un divertito gioco metafisico, un fumetto tanto fluido da un punto di vista narrativo quanto destrutturante da quello formale. L’autore si concentra su quell’entità mutevole che è il caffè e ne canta un inno, ma in realtà il suo proposito è quello di parlare di altro, di stati d’animo, inadeguatezza, insicurezza e fragilità.

Il protagonista del fumetto è un ometto con la testa a forma di tazzina, che suo malgrado non ce la fa a contenere il caffè: si rompe, si moltiplica e si divide più e più volte. Non trova pace e si lascia andare a surreali monologhi o dialoghi con oggetti animati. Grazie a testi vivaci e a un segno a penna sottilissimo, tremolante ma deciso, De Franco mette in atto un flusso di coscienza scorrevole e spontaneo.

Nelle oltre 250 pagine di Ultima goccia, dove ogni cosa cambia costantemente e tutto muta sotto gli occhi del lettore, si affollano buffe figure rapite da un vortice travolgente alimentato dall’improvvisazione. De Franco ha realizzato un libro carico di libertà espressiva, riuscendo a non cadere nella trappola dello sterile esercizio di stile o della sperimentazione fine a se stessa, divertendo e sfidando se stesso e il lettore.
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Scheletri, di Zerocalcare (Bao Publishing)

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Ambientato tra il presente e il passato, quando il personaggio di Zerocalcare aveva 18 anni e una cresta di capelli rossi in testa, Scheletri racconta gli anni universitari dell’autore. Allergico alla vita da studente, ma desideroso di non deludere la madre – che da lui si aspetta una carriera accademica (o almeno una laurea in curriculum) – si costruisce una vita fittizia: invece di andare all’università, monta sulla metropolitana e ci resta finché non è ora di tornare a casa. Nei suoi viaggi a vuoto conosce Arloc, un writer sedicenne con cui fa amicizia e che sarà introdotto nella cerchia di amici di Zerocalcare. Il loro rapporto è legato al mistero di un dito mozzato che il protagonista trova davanti a casa e che resterà irrisolto per anni.

Scheletri non eccede mai e gira dalle parti dei lavori di finzione più felici di Zerocalcare (Un polpo alla gola, Dimentica il mio nome) proprio grazie al racconto dell’amicizia tra il protagonista e Arloc. L’autore limita l’uso delle citazioni pop che lo hanno sempre contraddistinto, e l’assenza di elementi fantasiosi o di particolari soluzioni narrative, che l’autore non maneggia granché bene, qui gioca a suo favore.

Pur continuando a raccontare lo spaesamento adolescenziale, il senso di colpa che governa le nostre vite, le dinamiche interpersonali e il rapporto tra maschi – che già nei precedenti fumetti aveva ritratto come impermeabile all’emotività più schietta – l’autore inserisce temi come la paternità, quella percepita e quella degli altri, ingombrante segnale del tempo che passa e delle scelte lasciate in sospeso, ma anche spunto per creare forme diverse di affezione.
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Play With Fire, di Nicoz Balboa (Oblomov Edizioni)

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Dopo Born to lose, pubblicato da Coconino Press nel 2017, Nicoz Balboa torna quest’anno con un nuovo graphic novel autobiografico, meno simile a un diario e più mirato al racconto di un’esperienza precisa: la ricerca della propria identità sessuale.

La storia prende il via nel 2014 e racconta un graduale avvicinamento di Nicoz alla cultura lgbtq in giro per il mondo, tra Roma, Parigi e New York e le indecisioni che nascono nei rapporti con l’altro o lo stesso sesso. Il flusso narrativo trasporta il lettore nel travaglio interiore della protagonista, attraverso ogni incertezza, ogni marcia indietro e ogni passo avanti. Nicoz Balboa è dedito a un disegno “sbagliato”, sghembo e spontaneo, senza alcun filtro. Le sue pagine sono molto ‘scritte’, con un linguaggio però spontaneo tanto nei toni quanto nei segni, che instaura un rapporto di confidenza con chi lo osserva e ascolta, con la sincerità del racconto che si farebbe ad un’amica.

È sempre più difficile narrare se stessi a fumetti, troppi lo fanno e troppo spesso con storie che poco hanno da dare al lettore. Non molti ci riescono con efficacia, arrancando nel rendere universale il proprio particolare (i modelli degli anni Novanta sono ormai lontani: Joe Matt, Chester Brown e Julie Doucet, a cui molto si ispira Nicoz Balboa). Play With Fire rinnova così una prospettiva di cui la narrativa a fumetti si riempie spesso la bocca, ma lo fa senza retorica e senza l’egocentrica intenzione di voler creare un personaggio da mercificare.
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Qui c’è la nostra intervista a Nicoz.

Tex: La vendetta delle ombre, di Mauro Boselli e Massimo Carnevale (Sergio Bonelli Editore)

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Il primo annuncio di un Texone disegnato da Massimo Carnevale – copertinista di John Doe e Y: L’ultimo uomo e disegnatore di Dylan Dog: Mater Morbi – arrivò addirittura nel 2011. Da quel momento l’attesa per i fan si è fatta sempre più sofferta, soprattutto in virtù di ripensamenti, storie dirottate sulla serie regolare (Luna Insanguinata), i consueti tempi di lavorazione di una pubblicazione così particolare e i rinvii da parte della casa editrice. Il 2020 è stato finalmente l’anno in cui il tanto agognato libro ha visto la luce, premiando l’attesa di tutti i lettori.

Il debutto sulle pagine dell’albo speciale del ranger di casa Bonelli da parte di Carnevale non poteva essere più centrato e a fuoco di così. Da sempre vicino a certe atmosfere cupe e orrorifiche il disegnatore romano si è ritrovato a lavorare su una sceneggiatura che pesca a piene mani tanto dal western gotico di Antonio Margheriti (E Dio disse a Caino…) e Sergio Garrone (Django il bastardo) quanto dalla poetica del Tod Browning di Freaks e Dracula. Abbiamo così una carovana di fenomeni da baraccone, un setting desolato e ventoso, fatto di costruzioni in stile vittoriano erette in mezzo al nulla della prateria, una piccola comunità macchiata di un orribile delitto e, nella migliore tradizione del western più cupo e crepuscolare, una vendetta da portare a termine a ogni costo.

A questi ingredienti Carnevale unisce una generosa dose di neri, una cura maniacale per gli interni – resi soffocanti dall’accumulo di ombre e particolari – e un certo gusto per l’inquadratura a effetto che pare preso dal noir classico. Una messa in scena così puntuale nel far convivere suggestioni da frontiera e guizzi macabri permette alla sceneggiatura di Mauro Boselli di giocare con il genere, andando a toccare con gran classe tutta una serie di luoghi comuni. Le ragnatele tipiche di ogni setting da cinema gotico assumono un ruolo centrale, si gioca con presenze fantasmatiche e a un certo punto si intravede una sorta di invasione zombi. Il tutto senza dimenticare che si tratta, prima di tutto, di una storia di Tex.

La vendetta delle ombre è un grandioso esempio di western intriso di horror classico, la cornice perfetta per permettere a Massimo Carnevale di esprimersi al suo meglio in un contesto in cui era atteso da troppo tempo. A dispetto di un lieto fine non riuscitissimo, sicuramente una delle uscite dell’anno.
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Celestia 2, di Manuele Fior (Oblomov Edizioni)

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Celestia è la storia di due ragazzi, Dora – ormai figura ricorrente in diversi lavori di Fior – e Pierrot, che fuggono da loro stessi e dalle proprie paure in cerca di un ruolo in un’epoca di grandi mutamenti. Ambientata in un futuro possibile, in una città che pare l’ultimo baluardo di una civiltà ormai tramontata, i due protagonisti e altri personaggi coltivano la conoscenza e le loro proprie doti ‘speciali’ (come la telepatia) in una sorta di circolo carbonaro, ai margini del resto degli abitanti. La città ‘celeste’ in cui si muovono ricorda a tutti gli effetti Venezia, intrisa di atmosfere oniriche e suggestive, dal gusto fantastico.

Unendo suggestioni che vanno da Moebius a Miyazaki e lambiscono anche il fumetto di supereroi, Fior mette in scena un racconto ricco di colpi di scena all’interno di una cornice sognante. Celestia è un’opera evocativa e una prova esemplare della maturità artistica del suo autore, in grado di farvi confluire esperienze personali (gli anni trascorsi a Venezia) e influenze artistiche (fumetto, animazione, pittura, architettura).

Nel 2020 è stata pubblicata la seconda parte di Celestia, che amplia gli orizzonti del mondo introdotto nel primo volume, presentando nuovi personaggi, nuovi ambienti – sempre ispirati alla ‘architettura organica’ di Ricardo Bofill – e portando la storia su terreni più movimentati, che si alternano a quelli più contemplativi. Nel libro ritornano i due ragazzi protagonisti, intenti a riportare un misterioso bambino dotato di straordinaria intelligenza al Nido, la comunità di cui fa parte. E, tra incursioni nella storia di Venezia e nella fantascienza anni Settanta, Fior tira le fila di un racconto tra i più affascinanti visti nel fumetto italiano degli ultimi anni.
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Le mani di Z, di Akab (Progetto Stigma/Eris Edizioni)

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Le mani di Z è l’ultimo lavoro di Gabriele Di Benedetto, classe 1976, noto con il nome d’arte di Akab, mancato prematuramente il 14 agosto 2019 a soli quarantatré anni. Artista poliedrico, Akab si è espresso con la pittura, il fumetto e il cinema, tra l’altro fondando, nel 2017, il Progetto Stigma, marchio editoriale indipendente distribuito da Eris Edizioni. All’origine del personaggio di Z c’è un ricordo d’infanzia, il figlio di una vicina di casa che colpì l’immaginazione dell’autore. 

Siamo nel pieno degli anni Ottanta. Z è un ragazzo, o forse un uomo di mezza età, menomato da una complicanza durante il parto, che passa le sue giornate in casa accudito da una madre ormai anziana. Lui non vive nel nostro mondo, o quantomeno lo vede da un’altra prospettiva, perché pensa di essere Zorro. Come il suo eroe, indossa maschera, guanti e mantello, le uniche cose che lo tengono vivo. Fa la spola tra la televisione e la sua collezione di libri di Zorro, che custodisce gelosamente: nessuno la può toccare. La sua esistenza è una tragedia, segnata dall’aver ritrovato il corpo morente del padre, che si tolse la vita tagliandosi la gola nel bagno di casa.

Disegnata in un bianco e nero luminoso, quella di Akab è una storia che procede con un’escalation di soffocante inquietudine, confinata tra le mura di un appartamento come tanti. È un ritratto di una famiglia che va in pezzi, è una tesi sulla malattia e l’incomunicabilità raccontata come un potente horror psicologico. È, infine, una storia in cui le cose sono più importanti delle persone e in cui l’amore si trasforma inevitabilmente in violenza.
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Pangolino, di autori vari (autoproduzione)

Pangolino nasce durante il primo lockdown, come progetto collettivo ideato e guidato dal fumettista e vignettista satirico Marco Tonus, che, invece di starsene sul divano a fissare il soffitto o di cantare dal balcone, ha coinvolto una dozzina di colleghi, tra umoristi navigati ed esordienti, in un’antologia che parlasse proprio di quello che stava succedendo in Italia e nel mondo: pandemia, quarantena, tamponi, runner, mascherine, passeggiate con i cani… Unico requisito: tutte le storie dovevano essere realizzate in stile disneyano, in una parodia/omaggio di Topolino.

Le storie a fumetti sono ispirate alle classiche avventure del settimanale. Il protagonista, Pangolino, interagisce con l’amico Calippo, alto, allampanato e lento, con il commissario Pizzettoni, il ladro Zanna di Legno e con i paperi gemelli cinesi Qi, Qo e Qa. Non manca poi la sana satira sociale, che in questo caso è indirizzata contro INPS, Confindustria, politici italiani e internazionali e la Chiesa. Tra una storia e l’altra, si trovano giochi, rubriche e (finte) pubblicità – anch’esse parodie di quelle apparse su Topolino nei vari decenni – la pagina della posta con la grafica attuale, le intramontabili “barze”, il colophon in stile anni Settanta e le réclame degli Ottanta.

La copertina stessa, con il folidote vestito da capobanda, riprende quella celebre del primo numero di Topolino in formato libretto, così come il logo, la grafica, le scritte scimmiottano quanto fatto dai grafici Mondadori nel 1949. Negli interni spicca poi una pagina disegnata in stile anni Trenta da Luca Salvagno su testi dello stesso Tonus: un finto recupero storico in cui Pango Lino – chiaramente ispirato al Topo Lino di Nerbini – è alle prese con l’epidemia di spagnola.

Alla satira sulla contemporaneità si sovrappone così un gioco filologico di rimandi, citazioni e amore per il settimanale, forma ma non oggetto della presa in giro degli autori, che gli è valso il Premio Boscarato al Treviso Comic Book Festival 2020 nella categoria speciale “Covid project”.
(qui è possibile leggere Pangolino online gratis)

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