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Mondi POPAnimazione"Wolfwalkers" è uno dei migliori film d'animazione dell'anno

“Wolfwalkers” è uno dei migliori film d’animazione dell’anno

Con Wolfwalkers – Il popolo dei lupi, disponibile in streaming sulla piattaforma Apple TV+ dall’11 dicembre, si chiude la trilogia di Tomm Moore dedicata al folklore irlandese, con una buona notizia: dopo due nomination agli Oscar, Moore è ormai un autore completo. E di valore. 

wolfwalkers

Siamo nel Diciassettesimo secolo a Kilkenny, in Irlanda. Robyn Goodfellowe e suo padre provengono dall’Inghilterra al soldo di Lord Protector, il quale intende sradicare le tradizioni e le antiche credenze del luogo a partire dallo sradicamento dei lupi che, a quanto pare, infestano la foresta che circonda Kilkenny. Robyn vorrebbe seguire le orme del padre, che è un cacciatore di lupi, ma poi conosce Mebh, una wolfwalker, un essere mitico capace di trasformarsi in lupo mentre dorme, e questo incontro cambierà per sempre la sua vita e tutte le convinzioni che si porta dietro.

Wolfwalkers è tra i migliori film animati visti in questo anno. Visivamente è un tripudio, conferma tutte le qualità estetiche di Moore: gli sfondi poetici, il lavoro attento sulla gamma cromatica e il character design coerente con i lavori precedenti ne fanno un’opera in cui immergersi innanzitutto a livello sensoriale. Il perfetto equilibrio di tutte le componenti, dal comparto sonoro alla composizione del quadro, dalla ricerca stilistica alla colonna sonora: tutto concorre a generare un’esperienza visiva straordinaria.

Il lavoro di Moore, che qui co-dirige con Ross Stewart, è un costante confronto con le architetture favolistiche e folcloristiche del mondo dell’autore, attingendo a piene mani nel calderone ricco ed eterogeneo delle storie e delle tradizioni irlandesi per poi aggiornarle e utilizzarle come grandi contenitori dal fascino indiscusso con cui riflettere su temi molto contemporanei. Come i due precedenti film, Wolfwalkers racconta di un incontro e dell’occasione per accettare il diverso e l’inaspettato, per far sì che il proprio mondo possa essere contaminato e quindi arricchirsi. Questa dualità si sviluppa con, da una parte, il blocco della scienza, della ragione, della civiltà imposta dall’alto; dall’altra, con l’universo mitico del possibile, del potere delle storie e del mistero come chiave per aprire porte su universi immaginifici.

In The Secret of Kells, opera d’esordio di Moore, il muro che lo zio del protagonista vuole erigere per proteggere l’Abbazia dall’arrivo dei vichinghi è il simbolo di una separazione che impedisce alla contaminazione culturale di migliorare entrambe le parti. In Song of the Sea è la distanza fra il mondo degli umani e quello magico delle selkie a impedire a una famiglia di trovare il proprio equilibrio. In Wolfwalkers, infine, è lo scontro fra l’uomo e il lupo a generare instabilità. Questa instabilità ha un nome, un volto e un pensiero: Lord Protector, l’uomo che intende distruggere le tradizioni e le mitografie delle terre irlandesi in nome dell’Inghilterra e di Dion. È proprio attraverso questa figura che Wolfwalkers diventa film dal valore anche politico.

D’altra parte il padre di Robyn è un uomo diviso: ha il peso di dover proteggere la figlia dopo la morte della madre in un mondo estremamente violento, colmo di pregiudizi e maschilista (le donne? A pulire, cucinare e tenere in ordine la casa); ma, nell’attuare questa protezione, dimentica le cose semplici, il desiderio di inclusione, di empatia, di scoperta, sottomettendosi al volere di Lord Protector. [Spoiler] Solo rinunciando alla propria forma umana potrà finalmente liberarsi di questo giogo. In Tomm Moore il liberarsi del proprio corpo (come Saoirse in Song of the Sea), della propria natura è il passo necessario per abbracciare la bellezza, per far pace con il mondo e, di conseguenza, per offrire allo spettatore nuovi strumenti di inclusività. [Fine spoiler] Il cinema di Tomm Moore, così come conferma Wolfwalkers, è un movimento a due poli che inizialmente si respingono, ma la cui natura è quella di attrarsi e fondersi. 

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Wolfwalkers è anche l’occasione per riflettere sulla necessità di preservare l’animazione disegnata, più legata a tecniche tradizionali, quasi artigianali. In un’intervista, Moore ha sottolineato l’urgenza di mantenere vive altre forme animate che non siano quelle realizzate in computer grafica. La bellezza e il fascino di opere come quelle realizzate in stop motion (vedi lo Studio Laika), o con tecniche miste (Klaus) sono la conferma che l’animazione è il territorio più fertile dell’universo cinematografico.

Spesso ci si chiede chi potrà essere l’erede di Hayao Miyazaki, cercandolo in terra nipponica. Per il modo in cui Moore concepisce l’animazione, per la scelta di immergere le sue storie in un tripudio di contaminazione folcloristica e di animarle in questo modo, prediligendo la componente della fascinazione visiva – intendendo l’animazione stessa e l’opera cinematografica come occasione di poesia e di condivisione emozionale – pare evidente che sia lui il candidato migliore per questo ruolo. E Wolfwalkers è qui a rimarcare quanto, soprattutto in questo periodo buio, sia importante tenere acceso il fuoco della poesia e della bellezza immaginifica del cinema d’animazione.

Leggi anche: 30 film anime che dovreste vedere

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