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I 15 anni del corso di fumetto dell’Accademia di Belle Arti di Bologna raccontati da docenti e autori

corso fumetto accademia bologna

Il 2020 ha segnato il traguardo dei 15 anni di attività per il corso di fumetto e illustrazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. All’epoca della sua nascita, si trattò di una grande innovazione, essendo il primo percorso di studi con la valenza legale di un corso universitario dedicato al fumetto e l’illustrazione all’interno di una Accademia di Belle Arti italiana, composto sia da un triennio che da un biennio di specializzazione.

Mirato alla formazione di fumettisti e illustratori professionisti, il corso ha tra il proprio corpo docente figure che da anni lavorano nel settore – come Sara Colaone, Onofrio Catacchio, Gianluca Costantini, Andrea Bruno, Otto Gabos, Enrico Fornaroli, Edo Chieregato, Tuono Pettinato, Stefano Ricci – a formare un equilibrio tra discipline teoriche e pratiche dell’arte figurativa e della narrazione (illustrazione, fotografia, scrittura creativa, incisione, grafica). Il corso non è solo fumetto, il suo punto di forza è il dialogo e la complementarietà tra ambito teorico, fumetto e illustrazione anche qui rappresentati da professionisti come Luigi Raffaelli, Maja Celjia, Emilio Varrà, Alessandro Micheli, Ilaria Tontardini, Daniele Barbieri e Octavia Monaco.

L’accesso è limitato da un numero chiuso di cinquanta studenti all’anno, selezionati dopo prove di ammissione, un test scritto e un colloquio attitudinale. Durante questi quindici anni il corso ha visto un costante incremento delle richieste di iscrizione, arrivando a toccare quasi quota 500, con aspiranti studenti da tutto il mondo.

Tra gli allievi del corso di fumetto e illustrazione ci sono stati alcuni dei nuovi talenti del fumetto italiano, tra cui Lorenzo Ghetti, Cristina Portolano, Andrea Settimo, Bianca Bagnarelli, Silvia Rocchi, Eliana Albertini, Kalina Muhova, Maurizio Lacavalla, Ettore Mazza, Davide Minciaroni, Miguel Vila e Josephine “Yole” Signorelli in arte Fumettibrutti, che nei suoi racconti autobiografici – specialmente nel suo libro più recente (Anestesia) – ha raccontato l’Accademia di Bologna come una tappa fondamentale nella sua formazione.

Abbiamo parlato di questa esperienza pluriennale con il direttore del corso – Otto Gabos – e con due insegnanti impegnati da anni in Accademia – Onofrio Catacchio e Marco Ficarra – per scoprire con loro come è nato il progetto e come si è evoluto in questi anni. Inoltre, per allargare la prospettiva, cercando di capire cosa significa imparare il mestiere di fumettista all’Accademia di Belle Arti di Bologna e diventare autori, abbiamo intervistato anche tre ex studenti che negli ultimi anni hanno esordito nel settore con lavori piuttosto interessanti: Eliana Albertini (Luigi Meneghello. Apprendista italiano, Malibu), Maurizio Lacavalla (Due attese, Alfabeto Simenon) e Josephine “Yole” Signorelli (Romanzo esplicito, P. La mia adolescenza trans).

Il corso di fumetto spiegato da tre docenti

Il corso di fumetto dell’Accademia di Belle Arti di Bologna porta avanti una tradizione di cultura del fumetto nella città di Bologna. Penso non solo ai tanti autori che vivono e hanno vissuto nella città, ma anche al corso di fumetto Zio Feininger di Pazienza, Mattotti e altri. La nascita del corso dell’Accademia è stato dunque un evento naturale in questo contesto? Come è avvenuta?

Gabos: La nascita del corso di fumetto e illustrazione è stata la conseguenza logica e fortemente cercata di questa tradizione ormai consolidata. Bologna è sempre stata meta e punto d’incontro di grandi talenti, primi su tutti Magnus e Bonvi fin dagli anni Sessanta. Poi, con la creazione del DAMS, la città è diventata un polo attrattivo per tanti giovani artisti e intellettuali che trovavano nel fumetto la loro voce. Erano gli anni di Pazienza, gli anni del punk della Traumfabrik con Scozzari e Giorgio Lavagna, e poi dei futuri autori di Valvoline: Igort, Brolli, Jori, Carpinteri. Sono stati anni di fermento incredibile.

Divenne una conseguenza logica che dal fare fumetto si passasse a volerlo insegnare. Nacque così la prima scuola di fumetti, La Nuova Eloisa, nel 1979. Fu una grande intuizione di Carlo Paris, il fondatore. In quelle aule in pieno centro storico siamo passati in tanti tra studenti e docenti.

La Zio Feininger arrivò a metà degli anni Ottanta e nella sua concezione era rivoluzionaria. Si discuteva tanto, si creavano e si confrontavano immaginari, si mettevano in contatto visioni e talenti fra i più diversi. Io l’ho frequentata nel 1986. Per una serie di coincidenze in quell’anno ci trovammo insieme in un numero esagerato di futuri autori: Davide Toffolo, Stefano Ricci, Ottavio Gibertini, Menotti, Davide Catenacci e poi ancora di ritorno Gabriella Ghermandi, Massimo Semerano, Leila Marzocchi, Michele Gailli. È stata un’esperienza indimenticabile e decisiva.

Il corso in Accademia nasce in un momento storico in cui l’editoria a fumetti specializzata soprattutto in graphic novel si stava affermando grazie a case editrici che avevano sede proprio a Bologna. Prima Kappa Edizioni, poi Coconino e Black Velvet. C’erano le condizioni storiche e culturali per proporre all’Accademia di Belle Arti di Bologna il corso che in un sistema consolidato nella tradizione sembrava un gesto rivoluzionario. 

Il nucleo fondatore era composto da teorici del settore ed era partito da una serie di seminari dell’associazione Hamelin con Emilio Varrà ed Edo Chieregato, che erano coincisi con il ritorno di Enrico Fornaroli alla cattedra dell’Accademia; inoltre c’era stata la disponibilità di Antonio Faeti, grande studioso degli immaginari narrativi. Fu il direttore del tempo Mauro Mazzali a rendersi disponibile al dialogo che poi si concretizzò. 

Io feci l’ingresso a corso iniziato come primo docente di area tecnica, ossia artistica. Era il 2004. Eravamo in pochissimi tra docenti e studenti, alieni e pionieri. Nel tempo siamo cresciuti consolidandoci fino a istituire due bienni specialistici, uno di illustrazione e un altro di fumetto. A distanza di tanti anni, la soddisfazione maggiore è vedere come tanti ex studenti stiano realizzando la loro strada professionale.

Cosa offre da un punto di vista formativo il corso di fumetto dell’Accademia che uno studente non può trovare in altri corsi?

Ficarra: Fin dalla sua nascita, il corso ha privilegiato il fumetto “autoriale”, semplificazione a volte infelice, ma che vuole indicare il fumetto più propenso all’idea del “romanzo disegnato”. Si punta a formare autori completi alla ricerca di un percorso individuale nel panorama del fumetto internazionale, non solo italiano. Da qui i contatti con altre accademie europee e i tanti autori che collaborano con noi attraverso i workshop, oppure la stretta collaborazione tra l’Accademia e il festival internazionale di fumetto BilBOlbul.

Catacchio: Il corso è diventato un punto di riferimento per studenti che vogliono approfondire non solo l’aspetto più tecnico alle materie che formano un fumettista, ma anche le implicazioni teoriche e concettuali. Il mio programma di Arte del fumetto, ad esempio, cammina su queste due gambe: una pratica e l’altra più legata ad aspetti espressivi e strutturali.

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Cosa è richiesto agli studenti?

Ficarra: È richiesto un impegno notevole per poter divenire autori completi. Non basta solo saper disegnare, elemento importantissimo visto che parliamo di fumetto, ma chiediamo anche una piena consapevolezza della molteplicità del linguaggio, o meglio, dei linguaggi del fumetto. Chiediamo di sviluppare un percorso coerente che tenga insieme il disegno alle storie che vengono narrate.

Catacchio: Viene richiesto, da me e da tutti gli altri insegnanti, di “tenere il passo”, l’andatura richiesta dalle due gambe a cui accennavo nella risposta precedente: quella più pratica, legata al fare che nell’arco del triennio ti consente di realizzare un fumetto che sia narrativamente e visivamente strutturato; quella teorico-concettuale legata alla regia, all’espressività a quella parte non visibile che tiene insieme parole e immagini (per usare una formula ritrita) e dà vita e corpo al racconto a fumetti.

Quando i ragazzi arrivano, all’inizio del loro percorso formativo, hanno le idee chiare sul fatto di voler diventare fumettisti? Com’è la loro conoscenza della materia e di ciò che comporterà la professione?

Gabos: Hanno competenze variegate e variabili. Considerando che al triennio c’è la convivenza progettuale tra illustrazione e fumetto arrivano persone che magari hanno maggiori interessi in un campo piuttosto che nell’altro, oppure sono onnivori, o altri ancora disegnano e basta e non si sono mai preoccupati di approfondire, altri invece hanno già le idee chiarissime. Abbiamo avuto alcuni casi, destinati a crescere in futuro, di allievi che hanno scelto questo corso per formarsi, imparare a raccontare tramite le immagini e poi indirizzarsi nell’ambito del gaming.

Catacchio: I ragazzi approdano al corso attratti dall’enorme interesse che negli ultimi anni si è sviluppato intorno al racconto per immagini. La prospettiva comune a tutti gli studenti di un’Accademia di Belle Arti (anch’io lo sono stato) è quella di coronare il proprio sogno trasformando la propria passione in un’attività professionale.

La conoscenza dei meccanismi che permettono di realizzare una storia a fumetti e la sua successiva veicolazione nel mercato editoriale richiede però di raccordare le proprie capacità espressive a quelle tecniche e, infine, a quelle che oserei definire “imprenditoriali”.

Secondo voi, come mai scelgono proprio questo corso rispetto ad altre scuole o corsi?

Gabos: Penso per passaparola, visto che facciamo poco marketing, per la serietà professionale, l’offerta formativa, il titolo di studio, perché è a Bologna e magari anche perché ci insegniamo noi.

Ficarra: Dall’accademia di Bologna ogni anno vengono fuori giovani autori che si affacciano nel panorama del fumetto italiano con discreto successo, questa credo sia la promozione più efficace.

Catacchio: Bologna è ancora un centro di forte attrazione; l’eco di un recente passato legato al fumetto è una sirena che non ha ancora esaurito la sua voce. Inoltre, l’Accademia è una istituzione che offre la possibilità di integrare, grazie alla molteplicità dei suoi corsi, iniziative e possibilità comprese nella sua offerta formativa. Un vasto menù viene messo a disposizione dei ragazzi che la frequentano, compresi gli studenti di fumetto e illustrazione.

corso fumetto accademia bologna
Una mostra dedicata ad ex studenti dell’Accademia durante BilBObul 2019

Come sono cambiati gli studenti in questi anni?

Gabos: Sono lo specchio del tempo. In quindici anni di attività si sono viste diverse influenze, si sono alternate tendenze e nutrimenti fra i più disparati. Cerchiamo il talento che possa compiere un percorso di crescita e maturazione, non abbiamo pregiudizi né tantomeno è nostro interesse imporre una linea ideologica. Cerchiamo di formare autori consapevoli con una preparazione professionale, non promettiamo posti di lavoro ma strumenti per poi affrontare il mondo di fuori.

Ficarra: Credo che il cambiamento principale lo si debba al mondo dei social, che ha cambiato il confronto degli studenti con l’Accademia. Se prima era privilegiato il rapporto con il mondo accademico, i docenti, i gruppi studenteschi, la nascita di riviste autoprodotte, adesso invece mi sembra che il confronto sia con il mondo delle relazioni fluide del web. Se da un lato contribuisce a confronti più ampi, dall’altro favorisce percorsi individuali a scapito di percorsi collettivi. 

Catacchio: Il flusso è ciclico, si ripropongono di volta in volta categorie che nel corso degli anni abbiamo imparato a conoscere, c’è chi ama un certo genere di narrazione o certi disegnatori, chi è alla ricerca di propri simili con cui aggregare un collettivo e chi segue solo Instagram. Da insegnanti, tocca a noi aggiornarci continuamente per trovare la sintonia con i ragazzi senza perdere di vista gli obiettivi programmatici del corso.

Una mostra dedicata ad ex studenti dell’Accademia durante BilBObul 2019

Tre autori raccontano la loro esperienza con l’Accademia

Perché avete scelto di iscriverti al corso di fumetto dell’Accademia di Belle Arti di Bologna? Come l’avete conosciuto?

Albertini: Ho conosciuto il corso di fumetto dell’Accademia tramite una mia compagna di classe del liceo che aveva deciso di iscriversi al test di ammissione. Io all’epoca ero ancora molto confusa su quello che avrei voluto fare dopo il liceo e le idee che avevo in testa come unico criterio seguivano quello della casualità.

Quando ne ho sentito parlare mi si è accesa una lampadina: durante le scuole medie ho passato un periodo a leggere tantissimi libri e facevo un sacco di disegni sui libri che leggevo, pensando che sarebbe stato bello farlo per lavoro. Qualche anno dopo mi è sembrata l’idea meno casuale fra tutte.

Lacavalla: Era il 2009 e quell’estate avrei fatto il primo corso di fumetto della mia vita. Era una versione di prova dell’attuale scuola online di comics di Laura Scarpa. Avevo letto la pubblicità su Scuola di Fumetto e avevo mandato una mail anche se il bando era chiuso già da un po’.

Scrissi a Laura: «Per piacere, io voglio davvero provare a fare questo corso». Frequentavo il quarto anno di liceo scientifico a Barletta e quell’esperienza mi permise di andare con lo sguardo un po’ più in là delle vignette che leggevo, arrivando a scorgere le persone che i fumetti li facevano.

Iniziò a delinearsi in me il mito di Bologna, dove c’era l’unica Accademia con un indirizzo interamente dedicato al fumetto. Ci ho fantasticato per tutto il quinto anno e il giorno prima del pranzo dei cento giorni decisi di prendere un notturno e andare a vedere l’Open Day dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. 

Signorelli: Stavo per terminare il triennio di pittura a Catania e dovevo andare a Bologna per una visita medica, ricordo di essere rimasta folgorata dai suoi portici. Passeggiando per il centro arrivai in via Belle Arti, sette passi dentro l’Accademia e già avevo già deciso che avrei studiato lì. Solo al mio ritorno a Catania mio fratello mi disse che tenevano un corso di fumetto, io non ne sapevo nulla. Avrei potuto fare il biennio lì. L’ho preso per un segno.

anestesia fumettibrutti feltrinelli

Cosa ritenete che vi abbia dato da un punto di vista formativo che non avreste trovato in altri corsi?

Albertini: Ciò che mi ha fatto scegliere l’Accademia è stata soprattutto la possibilità di diversificare all’interno del corso di fumetto e illustrazione: la presenza di molte figure professionali nel ruolo di insegnanti mi rassicurava sul fatto che avrei avuto più punti di vista a guidarmi in questo settore, cosa che mi sembrava fondamentale dal momento che mi sentivo abbastanza inesperta. 

Volevo imparare tutto per poi decidere cosa tenere per me: imparare tutto è praticamente impossibile, ma se non altro grazie a questo corso ora ho un’idea di cosa sia il “tutto”, e ho capito cosa fa per me e cosa no, che è comunque un buon punto da cui partire per continuare a imparare.

Lacavalla: La caratteristica del triennio di fumetto e illustrazione è proprio quella di avere molte materie da altri indirizzi ad affiancare le materie principali. Facendo fumetto ho trovato altri corsi (o altre vie), che altrimenti non credo avrei potuto conoscere.

Signorelli: Facevo un piccolo corso di fumetto a Catania per prepararmi al colloquio in Accademia, perché ero decisa a completare il ciclo di studi da universitaria. Se avessi scelto una delle scuole di comics – tutte validissime – io non avrei mai “finito gli studi”, mentre io volevo la tesi con la discussione, le materie da studiare, una corona d’alloro, non quella con nastro color carta da zucchero, ma che fosse tutta fuxia (alla fine me l’ha fatta Joe1, che avevo conosciuto frequentando quel corso, un giorno indimenticabile). L’anno in cui mi sono iscritta è stato spietatamente difficile entrare, siamo passati solo in tre.

Studiare in Accademia vuol dire diversificare molto l’apprendimento, anche con discipline che possono arricchire il fumetto. Come avete integrato questo aspetto nel vostro lavoro?

Albertini: Non credo di aver fatto un lavoro attivo di integrazione, mentre seguivo i vari corsi tutto veniva un po’ da sé: con il corso di storia dell’arte ho avuto la possibilità di arricchire il linguaggio, con quelli di cinema e fotografia sia il linguaggio che la forma… questa opportunità mi ha permesso di arricchirmi come persona e dunque come autrice.

Lacavalla: I primi tre anni sono stati per me la “formazione del rifiuto”: arrivato a Bologna e nelle aule dell’Accademia, il fumetto mi sembrava troppo poco, o meglio, mi ero fatto la mia idea che fosse solo una piccola parte di un tutto che volevo scoprire meglio. Grazie anche al piano di studi davvero diversificato ho seguito tante materie laterali e fondamentali, dal cinema, alla fotografia, all’incisione. Fra tutte, quest’ultima ha contribuito moltissimo all’educazione della mia mano, del mio occhio e del mio gusto. Il solco della puntasecca o la casualità accolta e gestita della monotipia hanno rappresentato un vero e proprio sentiero da seguire, che ho seguito.

I successivi due anni hanno rappresentato, invece, “l’accoglienza”. Ho preso tutto quello di altro imparato nel triennio e ho cercato di addomesticarlo nella gabbia del fumetto perché volevo che la narrazione fosse il termine ultimo di questo percorso.

Non vanno dimenticati, inoltre, i piani di studi e le materie, le persone, lo scambio, la voglia di far qualcosa insieme e farlo con poca prudenza, in maniera incauta, a volte magari supponente, ma sempre con il desiderio di far palestra e crescere. Ho avuto la fortuna di incontrare mani e teste brillanti con cui testare le capacità e idee. Questo per risponderti anche alla domanda precedente.

Signorelli: Come dicevo sopra, desideravo, oltre alla pratica, delle materie da studiare. Romanzo Esplicito, che è il titolo del mio fortunato esordio e opera della mia tesi, mi è venuto in mente mentre preparavo un esame. Su un numero della rivista di Hamelin c’era quest’intervista a Chris Ware che parlava di fumetti e di Cinquanta sfumature di grigio, definendolo “graphic”, come sinonimo di “explicit”. Mi faceva ridere l’idea che la traduzione imprecisa del titolo del mio primo libro (Romanzo esplicito) in America avrebbe potuto essere “Graphic Novel”.

La vivacità culturale della città ha contribuito alla vostra formazione? Penso a festival come BilBOlbul.

Albertini: Per me sicuramente è stato così. Vivere in questa città è stato come avere “una materia” in più dentro il corso, o anche più di una. Questo può valere per me che frequentavo Bologna già prima di iscrivermi all’Accademia, ma credo sia inevitabile per tutti. Bisogna davvero impegnarsi per restarne fuori, ma è difficile seguire tutto, anche la città ti insegna che devi capire cosa è giusto per te e cosa no. Mi sembra anche la chiave per viversi bene tutti gli eventi che vale la pena vivere, BilBOlbul fra questi. Quando finiva mi lasciava sempre una gran voglia di fare, e questo di sicuro mi è servito molto.

Lacavalla: Io penso anche a Sotto le stelle del cinema, Arte Fiera, il Freakout, il MAMbo. BilBOlBul è uno dei festival più belli che ci siano. Ogni anno, anche se arrivo stremato da troppo disegno, da troppo fumetto, da troppo lavoro, riesce a riaccendere un amore che devo coltivare sempre. Seduto in piazza Maggiore, durante Sotto le stelle del cinema, ho visto, e a volte rivisto, alcuni dei miei film feticcio. Al Freakout ho ascoltato cose che avrei voluto saper riportare su carta. Bologna è bella davvero, anche se ogni due anni me ne vorrei scappare. Ogni due anni sa inventarsi una scusa buona per farmi rimanere.

Signorelli: La storia del fumetto e Bologna per me possono dirsi collegate, sono letteralmente crollata in lacrime quando mi sono resa conto che la stavo studiando in un corso di laurea! Può sembrare scontato, ma venendo da un’altra città senza degli studi che approfondissero la materia mi sono sentita spesso sola nelle mie passioni. A Catania per fortuna c’era Etna Comics, che adoro, e con alcuni amici avevo modo di scoprire tanta cultura sul fumetto popolare, ma non mi bastava. Volevo sapere di più sull’autoproduzione, l’underground, le viscere. Con BilBOlbul sparso per la città e OLE’ a XM24 ho avuto un’epifania.

Una volta in prossimità della conclusione del percorso di studi avevate la certezza che quello di fumettista sarebbe stato il vostro mestiere? Quali sono state le vostre prime mosse verso la professione?

Albertini: Ho cominciato a fare le mie prime commissioni ancora prima di concludere il percorso di studi, per poi finirlo portando come tesi il mio primo libro pubblicato. Una volta arrivata a quel punto, riflettevo molto meno sull’aspetto professionale, rispetto all’inizio, anche se di sicuro avevo la percezione che si stesse muovendo qualcosa di buono per me. Ora lo faccio come mestiere, ma credo che per la sua strana natura oscillante fra il professionale e l’esistenziale sia difficile avere sempre totale consapevolezza di ciò: è una cosa che faccio, e che spero di poter fare sempre.

Lacavalla: Non avevo la certezza, anche se avrei voluto averla. Ho passato il successivo anno dando ripetizioni e mandando curriculum sbagliati in pizzerie e negozi di vario genere. Poi qualcosa si è sbloccato ed è nato il primo libro pubblicato per un editore (Due attese con Edizioni BD). Da quel momento è stato tutto molto più fluido e gratificante e adesso sono quasi due anni che, sostanzialmente, disegno.

Signorelli: Non capivo come tirar fuori la mia voce. I professori vedono la frustrazione negli occhi degli studenti, che vogliono uno stile riconoscibile, subito. Ma i professori insistono che quel corso serva soprattutto a sperimentare, perdersi. Sono arrivata che ero un’inconsapevole stupida (lo dico con tenerezza), ma oggi posso dire che iscrivermi in Ababo sia stata una scelta vincente.

Al colloquio ho mentito. Non sapevo se sarei riuscita a coniugare le lezioni con il lavoro, che mi serviva per mantenermi mentre studiavo e a saldare dei debiti, ma volevo assolutamente entrare. Ho mentito sapendo di mentire. Grazie al cielo.

Il resto è storia, tornerei pure domani a spogliarmi nei privé per sessanta euro, venti minuti, se servisse a farmi studiare in Accademia, se alla fine della nottata nel club il gelo delle cinque del mattino che mi punge la faccia in stazione potesse dirmi: «Dai che ce la farai, stella».

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