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Berserk e l’eredità di Kentaro Miura

Kentaro Miura non nascondeva mai il fatto di usare quelle che in gergo vengono chiamate matrici, ovvero trame solide che vengono riciclate in continuazione e che aiutano durante lo sviluppo creativo, specie quando si è inesperti. Ma non teneva segrete nemmeno le proprie difficoltà nell’immaginare gli sviluppi delle sue opere, uno dei motivi che ha portato il suo manga principale, Berserk, a procedere a singhiozzi.

Ciononostante, nel proprio lavoro Miura metteva tutto sé stesso pur di riuscire a soddisfare i suoi fan: leggendo le note autobiografiche lasciate nei suoi fumetti («Mi è venuta la febbre a 40. Ripensandoci, ho avuto solo due giorni liberi quest’anno») si capisce immediatamente quanto la sua dedizione lo avesse forse portato a morire di troppo lavoro, una causa così comune in Giappone da avere un nome preciso: karoshi.

Un divoratore di manga

Le opere di Kentaro Miura, da Berserk in poi, sono il frutto cosciente (e non) di esperienze di vita, il naturale epilogo di un divoratore di manga che ha riversato nel suo lavoro qualunque fonte d’ispirazione incontrasse dall’altro lato della barricata per creare ciò che più gli piaceva e che voleva leggere.

I personaggi principali della sua opera più famosa sono stati realizzati partendo da tratti caratteriali estremi che permettessero loro di spiccare, salvo poi dedicarsi al disegno prima di procedere ad approfondirne la personalità, così che i due aspetti potessero influenzarsi a vicenda nel tentativo di trovare un equilibrio tra la delicatezza di uno shojo manga in cui ogni sentimento è espresso con forza e la violenza artistica di Ken il guerriero. Il risultato è diventato una pietra miliare del fantasy.

Chiunque nella propria vita si sia avvicinato a questo genere si è imbattuto prima o poi in un guerriero che brandisce una spada ridicolmente grossa: basti pensare a Cloud Strife (Final Fantasy VII), Dante (Devil May Cry), Artorias (Dark Souls) e il Dark Knight, una classe presente in Final Fantasy XIV usata dalla community del gioco proprio per onorare Miura e rendergli omaggio in occasione della sua dipartita. Nulla di tutto ciò sarebbe mai esistito se nel 1989 Miura non avesse iniziato a serializzare Berserk.

È facile rintracciare tutte le principali referenze utilizzate da Miura in questo lavoro: un antieroe violento e le tematiche orrorifiche sopra le righe di Violence Jack (Go Nagai); il braccio artificiale di Gatsu – il protagonista del manga – erede della letteratura Sci-Fi anni Settanta; i paesaggi influenzati dall’Europa medievale de Il nome della Rosa e gli arcidemoni ispirati ai cenobiti di Hellraiser; l’aspetto massiccio dei suoi personaggi e i massacri di genere gore sul campo di battaglia di Ken il guerriero (Tetsuo Hara); la spada gigante usata da Kurt, protagonista di Pygmalio (Shinji Wada); e Guin Saga, la serie di romanzi di Kaoru Kurimoto da cui Miura ha preso sia l’ambientazione epico-fantasy che il look di alcuni personaggi come Griffith, una copia carbone della bella e crudele Lady Amnelis.

Un’evoluzione lunga 30 anni

A tutto questo bisogna aggiungere che lo stile di disegno di Miura era ispirato principalmente a Hieronymus Bosch, pittore olandese del Quindicesimo secolo da cui aveva ereditato una rappresentazione macabra e angosciante delle ambientazioni. Leggere Berserk è in ogni caso un po’ come seguire l’evoluzione trentennale di un disegnatore ostinato, insoddisfatto del suo operato e interessato al costante miglioramento più che a stabilire uno stile proprio.

Le sue tavole sono così un costante omaggio ad artisti come M.C. Escher, Albrecht Durer o alle illustrazioni della Divina Commedia di Gustave Doré. Crescendo ha imparato ad offrire ai suoi lettori un disegno meticoloso e particolareggiato difficile da riprodurre anche per il miglior assistente. Nei piccoli dettagli delle armature, in tutte quelle cinture e fibbie, Miura lavorava con una tale precisione da far sembrare le sue tavole disegni tecnici in forma di manga.

Il suo maniacale perfezionismo lo ha portato negli anni a realizzare disegni ultra-puliti al tratto, ma molto probabilmente questo è stato anche causa delle pause editoriali di Berserk. E probabilmente anche uno dei motivi per cui nell’ultimo arco narrativo (Fantasia voll. 35-40) sembra che si cerchi di accelerare il processo produttivo: da una parte è sempre più evidente l’intervento degli assistenti su toni, ombre e personaggi di sfondo, dall’altra troviamo il costante riciclo di asset già disegnati (come per gli alberi).

Questa supposizione è rafforzata anche da un’intervista in cui si evince che Duranki, l’ultimo fumetto realizzato da Kentaro Miura, voleva essere un terreno di prova per i suoi assistenti prima di realizzare i prossimi capitoli della saga del cavaliere nero, con l’uso del digitale e di ambientazioni pressoché identiche a quelle dell’isola degli elfi di Berserk.

Le visioni di Kentaro Miura

Le tavole di Kentaro Miura in Berserk rappresentano visioni trascendentali di un mondo che gira attorno a due concetti: il conflitto tra uomo e religione, quest’ultima divenuta oramai viziosa, e il percorso infernale che ci attende per la redenzione. L’autore era in particolar modo impareggiabile nel rappresentare una follia umana priva di speranza.

Il binomio violenza-sofferenza che permea l’intera opera infatti non è mai fine a sé stessa, ma è piuttosto un mezzo, una strada da percorrere per raggiungere la felicità tanto agognata che Guts riscopre nel cameratismo e che inseguirà per tutta l’opera guidato da un inarrestabile desiderio di vendetta.

In questa cupa e cinica favola l’apice è raggiunto nel secondo arco narrativo, intitolato L’età dell’oro (voll. 3-14) che racconta con un flashback le origini della rivalità tra Guts e Griffith in un crescendo emotivo culminante nell’Eclissi, un evento così importante nell’immaginario comune da essere diventato simbolo del concetto stesso di “dark fantasy”.

In 13 capitoli di Berserk, Kentaro Miura accompagna il lettore in un condensato turbinio di violenza, passione, frustrazione, rabbia e sgomento. Con calma e cura registica impeccabile ci guida lungo una climax dotato di una potenza espressiva impareggiabile, in un susseguirsi di scene in grado di mettere a disagio anche il lettore più smaliziato e che spaziano dall’amore più puro all’odio più recondito e che rendono il capitolo intitolato La nascita la vetta indiscussa dell’intera serie.

L’eredità

Sembra trascorsa un’eternità da quel 1976 in cui Miura esordì con Miuranger, il suo primo manga realizzato a soli 10 anni per i suoi compagni di classe. Eppure oggi è quasi impossibile scindere il suo nome dal mondo dark-fantasy che ha contribuito a creare. Questo perché, nonostante una decina di manga realizzati in carriera, Berserk rimane la sua biografia a fumetti, una monolitica epigrafe impressa a fuoco nell’immaginario comune che racconta il proprio talento in un tripudio narrativo e artistico, sfiorando vette raggiunte solamente da maestri del calibro di Go Nagai e “il padrino” Osamu Tezuka.

Ancora non ci è dato sapere che cosa Hakusensha – la casa editrice che pubblica Berserk in Giappone – intenda farne del suo capolavoro. È molto probabile che non conosceremo mai la vera identità del Cavaliere del Teschio, il progetto del Dio che si cela dietro i cinque arcidemoni, né tantomeno l’esito dell’inevitabile scontro tra Guts e Griffith.

Ma forse è giusto così. Forse è proprio questa l’eredità che Miura lascia: le speculazioni, le fantasie e le curiosità che la mente di ognuno di noi è in grado di partorire sono probabilmente il miglior regalo che si possa ricevere da qualcuno che lascia dietro di sé un vuoto così incommensurabile da sorpassare i confini della narrativa a fumetti.

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