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FocusFumettoStoria"Fullmetal Alchemist" di Hiromu Arakawa, la perfetta trasmutazione dello shonen

“Fullmetal Alchemist” di Hiromu Arakawa, la perfetta trasmutazione dello shonen

I fumetti che superano la prova del tempo hanno sempre qualcosa di speciale. Al momento della pubblicazione possono ottenere premi, moltiplicarsi in gadget e videogiochi, ottenere trasposizioni come serie tv e film, ma se dopo 20 anni continuano a incantare lettori e lettrici non può essere per moda o per una coincidenza fortuita. È questo il caso di Fullmetal Alchemist di Hiromu Arakawa, pubblicato a partire dal 2001 sulla rivista Monthly Shōnen Gangan e poi raccolto in volumi, tradotti in Italia da Panini Comics.

Sospesa tra fantasy, distopia e steampunk e classificata come shonen (manga per ragazzi), la serie va ben oltre i consueti stilemi di genere perché riesce ad affrontare grandi temi dosando tensione e leggerezza. Rappresenta il debutto di Hiromu Arakawa, un’autrice di grande intelligenza, capace di farsi amare dai fan pur non essendosi mai mostrata neanche in foto, preferendo ritrarsi nei panni di una mucca. Basterebbe già soltanto questo per innamorarsi di Fullmetal Alchemist, ma visto che ci siamo ecco qualche dettaglio in più.

Fullmetal Alchemist, in breve

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I fratelli Edward e Alphonse Elric viaggiano in lungo e in largo per le terre di Amestris. Alphonse incute timore per la sua gigantesca armatura, ma è Edward, che pure si presenta come un ragazzino basso e mingherlino, ad aver ottenuto il titolo di alchimista di stato – e di conseguenza il soprannome spregiativo di “cane dell’esercito”. I due sono determinati a trovare la leggendaria pietra filosofale per recuperare l’integrità dei loro corpi: a Edward mancano infatti un braccio e una gamba (rimpiazzati da auto-mail, protesi meccaniche saldate organicamente alle terminazioni nervose), mentre di Alphonse è rimasta solo l’anima, legata all’armatura da un sigillo di sangue.

Per riportare in vita la loro mamma, da bambini hanno infatti tentato una trasmutazione umana, ma infrangere questo tabù li ha risucchiati nella dimensione del Portale della Verità, che ha amplificato la loro comprensione dei processi alchemici ma in cambio li ha menomati.

La ricerca della pietra filosofale porterà Ed e AL a scontrarsi con gli homunculi, individui che sembrano non morire mai e che, per conto del misterioso Padre, portano avanti un piano per distruggere Amestris. Decisi a opporsi con tutte le forze, i fratelli Elric troveranno numerosi amici e alleati disposti a unirsi alla loro battaglia per il bene del paese e dei suoi abitanti.

Un’alchimia perfetta

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Fullmetal Alchemist si apre con il flashback del tragico incidente alchemico che ha colpito i protagonisti. Qualche pagina dopo segue una gag che diventerà un classico nel corso della serie: i fratelli Elric arrivano in un posto nuovo dove tutti pensano che il celebre e fortissimo alchimista d’acciaio sia Al per via della sua imponente armatura, restando poi delusi e imbarazzati quando capiscono che invece si tratta di quel “fagiolino” di Ed.

In un’intervista di qualche anno fa Arakawa ha spiegato che questa mescolanza di serietà e leggerezza era proprio la cifra che voleva ottenere:

«Fullmetal Alchemist ha un’apertura decisamente tosta: un personaggio ha perso due arti, l’altro l’intero corpo. Ho voluto cominciare proprio da questo picco emotivo. Poiché però in questo modo mancava quell’energia positiva propria dei miei shonen preferiti, ho continuato a disegnare con l’intenzione di non appesantire i lettori. Ho aggiunto elementi comici e inserito varie pause tra le scene di tensione. Lavorando con questo equilibrio in testa, il risultato finale si avvicina a quell’idea di energia».

A proposito di manga preferiti, l’autrice ha citato Inuyasha Ranma ½ di Rumiko Takahashi, Kitaro dei cimiteri di Shigeru Mizuki, Norakuro di Suiho Tagawa e Kinnikuman del duo Yudetamago. Se si considera poi che Arakawa aveva cominciato la sua carriera come assistente di Hiroyuki Eto, l’autrice di Guru Guru. Il girotondo della magia, è evidente come l’ironia sia da sempre un ingrediente irrinunciabile per il suo modo di concepire un manga.

Ma è altrettanto evidente che, rispetto a quei riferimenti, Arakawa abbia decisamente alzato l’asticella. Sempre dalla stessa intervista:

«Ho pensato che l’alchimia fosse interessante, così ho aggiunto questo elemento nella storia. Mi sono subito resa conto che argomenti legati alla vita, come il concetto di homunculus, non potevano essere tralasciati, così li ho inclusi. Sono stata inondata da riflessioni molto profonde, e così la domanda filosofica sul senso dell’esistenza è diventata il pilastro della storia».

Arakawa si documentò soprattutto sugli studi di Paracelso (da cui riprende il concetto di homunculus e il nome von Hohenheim per uno dei personaggi chiave). Pur tenendo conto che si tratta di una disciplina per tradizione sospesa tra studio della natura, esoterismo e religione, dà dell’alchimia un’interpretazione poco filologica, personale ma in fin dei conti coerente. In Fullmetal Alchemist l’alchimia è una scienza vera e propria che consente di fare cose prodigiose. Ha lo scopo di migliorare la condizione delle persone, è studiata solo da chi ha una spiccata intelligenza ed è regolata da leggi ben precise, tra cui il principio dello scambio equivalente, secondo cui «per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio un’altra cosa che abbia il medesimo valore».

Formulato da Arakawa a partire dalle eperienze fatte nella fattoria di famiglia («Più ami gli animali, più loro ti ricambiano. Più ti prendi cura di loro, più la loro carne sarà buona»), il principio dello scambio equivalente rappresenta il limite al potere degli alchimisti, in contrapposizione alla pietra filosofale, simbolo e strumento di chi mira ad accumulare un potere smisurato e sconfinare nell’ambito che compete al divino.

Se il grande antagonista si rivela un’inquietante reincarnazione dell’idea faustiana di alchimista, i fratelli Elric restano sempre dalla parte opposta: la loro ricerca di risposte non perde mai di vista il valore della vita, che si tratti di quella di amici o nemici.

Fullmetal Alchemist è un manga corale

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In Fullmetal Alchemist c’è una folla incredibile di personaggi principali, secondari, comprimari, che si polarizzano attorno ai due protagonisti come alleati o avversari (spesso cambiando schieramento). Possono essere positivi, ma avere lati oscuri e momenti di dubbio. Possono essere negativi, e mostrare barlumi di redenzione o debolezze che ridimensionano la loro statura. In una parola, sono umani, e non poteva essere altrimenti in un manga che si interroga proprio sul concetto di umanità e che cerca di ricreare, pur in un contesto decisamente immaginario, dinamiche molto diverse dalla pura evasione.

Amestris è di fatto uno stato militarizzato con a capo un führer. Vive un momento di prosperità ma è appena uscita da una guerra che ha portato al genocidio degli Ishvaliani. Per raccontare questo contesto di violenza e orrore in modo fedele, Arakawa si premurò di intervistare un veterano della Seconda guerra mondiale e si ispirò alla storia degli Ainu, una popolazione indigena di Hokkaido cacciata dalle proprie terre (probabilmente dagli stessi antenati dell’autrice). Le tracce di questi conflitti sono presenti in moltissimi personaggi.

Tra gli alleati dei fratelli Elric c’è per esempio il colonnello Roy Mustang, detto l’alchimista di fuoco, giovane e ansioso di arrivare ai vertici per instaurare un regime più giusto. Pur essendo fortissimo, i suoi poteri sono completamente inutili quando piove, e pur avendo buone intenzioni, nella guerra di Ishval ha causato la morte di migliaia di persone.

Tra gli antagonisti, invece, c’è Greed, l’homunculus dell’avidità, che agisce mosso da una brama insaziabile di possesso ma che di fatto protegge tutti quelli che gli stanno accanto, mostrando un impulso generoso che sembra in contraddizione con la sua natura.

Fullmetal Alchemist è inoltre pieno di tanti, interessanti personaggi femminili, essenziali al racconto sia quando mostrano attitudini che – da stereotipo – sarebbero prettamente maschili, sia quando ricoprono ruoli tradizionalmente femminili: da Winri Rockbell, amica d’infanzia dei fratelli Elric e meccanica di auto-mail, a Izumi Curtis, potente alchimista che ama presentarsi dicendo «Sono solo una casalinga», dal tenente Riza Hawkeye, cecchino infallibile, alla piccola May Chang, che porta su di sé la responsabilità di un intero clan.

La quantità e qualità di personaggi femminili è una scelta voluta dall’autrice. Pur firmando la serie con un nome maschile (Hiromu è il maschile di Hiromi, il suo vero nome), Arakawa si dichiara parte di quella generazione di autrici che da ragazzine preferivano gli shonen agli shojo (fumetti per ragazze) e che quindi, una volta cresciute, avevano deciso di fare i manga che avrebbero voluto leggere da piccole. 

Inoltre, le attivissime donne di Fullmetal Alchemist rispecchiano pienamente il mood delle donne della famiglia Arakawa, il cui motto è «chi non lavora non mangia». Mood perfettamente condiviso dalla stessa mangaka, che per nove anni, lavorando sette giorni su sette, ha creato la serie mensile, portato avanti altre storie one shot, disegnato per i videogiochi e messo in cantiere il terzo figlio. Non a caso in una delle intro alla serie ha scritto: «Disegno, dunque sono! Questa è l’unica prova di cui ho bisogno per dimostrarmi che sono io. In altre parole, sono una maniaca dei fumetti!»

Misura ed equilibrio

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Fullmetal Alchemist si distingue anche per il character design curato e originale, a cominciare da quello dei fratelli Elric – un duo decisamente ben assortito – fino ai personaggi secondari, che pur molto numerosi non si confondono mai tra loro. Arakawa ha un tratto preciso e senza fronzoli, realistico nel definire i corpi – anche quando si tratta di quelli “compositi” delle chimere – ed estremamente espressivo nei volti, fino a farsi caricaturale nelle gag e nelle storielle bonus.

Le tavole sono costruite usando spesso vignette rettangolari lunghe e strette. I disegni non sono mai ridondanti, contengono i giusti dettagli. Si adattano sia alle scene di dialogo o di passaggio, più statiche, sia alle sequenze deliranti di combattimento (ispirate ai B-movie) o delle trasmutazioni alchemiche che risucchiano i fratelli Elric verso il Portale della Verità. A vignette piene se ne alternano altre più ariose, dove un primo piano o un particolare dell’azione campeggia su uno sfondo completamente bianco o nero. Lo stile di Arakawa è misurato, equilibrato, efficace nel rappresentare un mondo dove tutto (o quasi) è possibile.

Secondo Arakawa, essere un buon mangaka significa infatti riuscire trovare un equilibrio nel rispettare e tradire le aspettative dei lettori. Con Fullmetal Alchemist ci è riuscita perfettamente: potremmo dire che ha trasmutato tutti gli elementi essenziali dello shonen – azione, evasione, ottimismo, evoluzione dei personaggi – in una forma più compiuta e densa di significato, introducendo riflessioni sul senso della vita, sul ruolo della scienza e sugli orrori della guerra razziale in un racconto che conserva leggerezza e fiducia nel futuro. Ecco perché Fullmetal Alchemist è un grande fumetto, anche 20 anni dopo.

Leggi anche: 20 fumetti da ricordare usciti nel 2001

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