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Quel no vax di Buster Brown!

«Quella vaccinazione è stata uno spreco di tempo!» Non è un cartello no vax apparso in qualche piazza italiana durante le proteste contro il Green Pass, bensì la morale scritta da Richard Felton Outcault in chiusura della tavola di Buster Brown pubblicata sul New York Herald il 17 gennaio 1904.

La polemica sui vaccini, argomento tanto di attualità, è in realtà storia vecchia: nel 1796 Edward Jenner scoprì il vaccino per il vaiolo; nel 1802 James Gillray pubblicò una vignetta che prendeva in giro gli antivaccinisti dell’epoca. Questi sostenevano infatti che, poiché il rimedio di Jenner si basava sulla variante bovina della malattia, le persone a cui sarebbe stato somministrato il siero sarebbero diventati tori e mucche.

100 anni dopo la polemica era ancora accesa, e Outcault ebbe buon gioco a sfruttarla per una tavola domenicale del monello preferito dai suoi contemporanei.

Buster Brown no vax 17 gennaio 1904

Guardando la tavola, in alto si trova una striscia topper (se non sapete cosa significhi vi rimando alla nostra dettagliata guida alle strip) a introdurre l’episodio e a presentare l’ambientazione, una classe scolastica. Sulla lavagna campeggia il titolo Buster Brown gets vaccinated (“Buster Brown viene vaccinato”). La maggior parte dei banchi è vuota, gli alunni sono assenti «per braccio dolorante», tranne uno, il cui posto è chiaramente listato a lutto.

Nell’angolo, il protagonista e il suo cane Tige sono in castigo. Il motivo è chiaramente il loro rifiuto a vaccinarsi: dalle loro espressioni si capisce che sono convinti di essere più intelligenti degli altri, nonostante i cappelli da asino. Il bambino sta leggendo i Principles of Biology del filosofo Herbert Spencer, il libro da cui è nato il concetto di “darwinismo sociale”. Buster Brown sa che sopravviverà solo il più forte ed è chiaramente convinto di esserlo lui perché non vuole vaccinarsi.

La storiella che segue è molto breve e lineare. Buster arriva a scuola in ritardo e si giustifica dicendo di essere passato a trovare un amico che ha il vaiolo. Subito la maestra molto preoccupata lo trascina dal medico per una vaccinazione d’urgenza. «I miei genitori non credono nella vaccinazione», dice il bambino. Ma il dottore, implacabile, gli affonda l’ago nel braccio e, di conseguenza, Tige scatta in soccorso del padroncino mordendo il vaccinatore.

È molto interessante, in questa scena, la didascalia che compare nella quarta vignetta: «La conoscenza è potere. Anche il vapore e l’elettricità. Ma la conoscenza è il campione dei pesi massimi». Un’altra scritta che ci riporta a tanti slogan letti negli ultimi mesi nei gruppi social di chi non crede nell’utilità di Pfizer, Moderna e compagni.

Si arriva così alla classica conclusione delle tavole di Buster Brown, ovvero la già citata morale finale nell’ultima vignetta.
Mentre Tige ammette che l’amichetto assente non aveva il vaiolo, il protagonista, con aureola e ali da angioletto, si domanda se la maestra gli avrebbe dato la pepsina se avesse detto che Johnnie aveva la dispepsia. La battuta mette in pessima luce l’insegnante, che ha fatto somministrare un trattamento medico basandosi solo sulla parola del suo alunno. Ne mostra tutta l’ansia e la fiducia cieca nella medicina, e la prende sagacemente in giro.

Infine il cartello che riporta la morale, firmata da Buster Brown in persona. Sostiene che vaccinarsi non serva a nulla se si fa una vita sana («tre pasti sani al giorno e otto ore di sonno»), che i medici pensino solo ai soldi, che a loro facciano comodo dolori e malattie perché altrimenti sarebbero disoccupati. E soprattutto, scrive, «se non fai lo scemo con gli idioti (monkey with dotes) non hai bisogno di antidoti (antidotes)».

Gioco di parole a parte, sono motivazioni molto simili a quelle di chi oggi non vuole farsi inoculare i vaccini. Le parole d’ordine delle piazze di questi ultimi giorni, quindi, circolano da tempo, da almeno 120 anni. Quasi un secolo prima che Andrew Wakefield inventasse la bufala sul legame tra autismo e vaccini.

A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: Outcault era davvero contrario alle vaccinazioni? Andando a leggere altre tavole di Buster Brown – sono fuori diritti: potete farlo gratuitamente e legalmente sul sito www.barnaclepress.org – si nota che, quando l’autore inserisce il cartello nell’ultima vignetta, lo utilizza sempre per dare un insegnamento morale, seppur filtrato dal punto di vista del monello. 

Quando si perde e viene cercato da tutti i membri della famiglia, seminando il panico finché non scoprono che era solo andato a pulire la caldaia (tavola dell’11 ottobre 1903), la morale recita che, nonostante la sgridata, resta ottimista e pensa che il mondo sia bello.

Quando viene inseguito da una muta di cani mentre torna a casa con una bistecca (3 gennaio 1904) conclude che è meglio essere vegetariani, e soprattutto che il macellaio, invece di insegnare ad amare la carne, dovrebbe insegnare ad amare le persone. Quando infine gli si ritorce contro lo scherzo fatto al papà e si prende uno spavento tremendo (27 gennaio 1907, pubblicata anche sul primo numero del Corriere dei Piccoli), il cartello è un panegirico del coraggio, un’autoesortazione a non spaventarsi più.

In questi casi, come in tutti gli altri che ho potuto leggere, la conclusione a cui arriva Buster Brown è sempre sconclusionata ma, in fondo, eticamente corretta. Ricava dalla vicenda che gli è capitata un insegnamento con un nucleo inattaccabile, anche se non per forza logicamente conseguente a quello che ha fatto o subito nelle vignette precedenti. Di conseguenza, nella morale finale di Buster Brown gets vaccinated, per Outcault un fondo di verità deve esserci.

Sembra chiaro, a questo punto, che il creatore di Yellow Kid non fosse un gran sostenitore dei vaccini. Magari non credeva davvero che «i dottori non hanno nulla a che fare con la salute, solo con la malattia», come si legge nella morale, ma siamo legittimati a pensare che fosse molto critico con l’atteggiamento dei suoi contemporanei che, tipo la maestra di Buster, si fidavano ciecamente, acriticamente della medicina. Di certo non sarebbe stato in prima fila per prenotare la sua dose di AstraZeneca.

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