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Manga"Palepoli": l'opera mondo di Usamaru Furuya

“Palepoli”: l’opera mondo di Usamaru Furuya

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Palepoli di Usamaru Furuya – autore noto in Italia per La musica di Marie e Lo squalificato – è un’opera estrema in cui coesistono anarchia e rigore. Il mangaka, fresco di laurea all’Accademia di Belle Arti di Tama, inaugurò la sua carriera a gamba tesa con un lavoro visionario, dove l’amore per l’arte classica convive con l’immaginario pop in un calembour istrionico e dissacrante. Nell’arco della stessa tavola Furuya affastellò lacerti di cultura alta e bassa con la cura dell’entomologo e la sfacciataggine del novizio.

La frenesia, quasi orgiastica, con cui Furuya confuse la storia dell’arte e della cultura pop aveva come fine quello di creare un luogo di annientamento del senso comune. Palepoli è un labirinto e, al contempo, un’esposizione universale, in cui il consueto è accostato alla parafilia più estrema con un’attitudine che ricorda tanto l’ossequio del collezionista quanto la sacrilega mano dell’iconoclasta.

Apparsa sulle pagine di Gakken Garo – una fucina di talenti e casi psichiatrici – Palepoli è un’opera prima inconsueta e unica: Usamaru Furuya mette in scena delle sardoniche pièce teatrali che si inseguono e si intrecciano tratteggiando un’opera mondo che si sfalda continuamente e si attorciglia su se stessa.

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Tra le pagine di Palepoli, oltre alla mole di omaggi all’arte italiana rinascimentale e alla cultura pop televisiva, si ritrovano rimandi al gotha del manga: da Osama Tezuka a Moto Haigo, da Takashi Nemoto a Suehiro Maruo, da Machiko Hasegawa a Hideshi Hino. Shōjo, shōnen, gekiga, ero-guro, kodomo eccetera sono attraversati da Furuya con fare parodico, utilizzati come spunti per mettere in atto una decostruzione del manga come genere narrativo: il tutto utilizzando uno spazio minimo, sovraccarico di stimoli e rimandi. 

La codifica spesso risulta ostica, e per fortuna le note a piè di pagina dei curatori della collana Doku di Coconino Press forniscono una guida impareggiabile per orientarsi nel mondo distorto di Palepoli messo in scena da Usamaru Furuya, in cui la meta-narrazione à la Satoshi Kon incontra l’estro sperimentale di Shintarō Kago. Se dovessimo trovare un paragone fuori dai confini nipponici il pensiero andrebbe sicuramente al giovane Art Spiegelman, che rifletteva sui confini tra cultura alta e cultura bassa, sondando nel contempo i limiti del mezzo fumettistico.

Si veda ad esempio, lo yonkoma “Miracle Tama-Chan” (storia per bambini) che gioca con la closure e il kodomo, riecheggiando le follie visionarie di Fred e le boutade di Van Hamme e Rosinski in Thorgal (nello specifico racconti come Le Couple de l’Année o Absurde).

In questa tensione dialettica tra mondi diversi e apparentemente estranei, nell’azione annientatrice e post-moderna, Palepoli diventa una wunderkammer schizofrenica in cui è possibile, come nella fantastica biblioteca di Aby Warburg, seguire criteri di catalogazione inediti e vedere accostati testi che mai avrebbero avuto la fortuna di sperimentare la prossimità.

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All’interno di Palepoli, come succede con le vecchie città, è possibile perdersi o seguire tracce che sembrano far intuire che in quel movimento accidentale di strade, radure, alcove e vicoli ciechi ci sia un disegno razionale. Furuya dissemina indizi, crea dei leitmotiv grafici e tematici, che si incontrano per definire una raccapricciante simbologia dell’animo umano.

Una descrizione che Furuya conduce dall’interno di una stanza chiusa, dove l’unico punto di vista è uno spioncino (non è un caso che il flusso si apra e si chiuda così): il solipsismo autoriale crea una cosmologia infinita, fatta di lacerti di mondo, di rimasugli e rimasticamenti, di detriti culturali, che vengono distorti. Eppure il punto di vista patologicamente pervaso dall’ego dell’autore – sorta di deus ex machina che disfa e rimpasta lo scibile in un bric-à-brac grottesco e assurdo – dona una visione coerente e animata da uno spirito quasi religioso (sebbene beffardo e nichilista come nella migliore tradizione mistica).

Palepoli è di volta in volta un atto onanistico e un sorprendente omaggio alla storia del manga (e non solo) da parte di una collezionista di storie a cui, in mezzo alle macerie dell’impero, non resta che una risata disperata, un esorcismo necessario per tornare a raccontare qualcosa di più rassicurante, qualcosa che abbia la parvenza di una storia.

Leggi una selezione di storie dal volume

Palepoli
di Usamaru Furuya
traduzione di Paolo La Marca
Coconino Press, giugno 2021
brossura, 168 pp., b/n e colore
15,00 € (acquista online)

Leggi anche: “La musica di Marie”. Fede e libero arbitrio secondo Furuya

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