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RecensioniClassicPerché "Zio Paperone e la disfida dei dollari" è così importante

Perché “Zio Paperone e la disfida dei dollari” è così importante

Difficile pensare a un personaggio dei fumetti più ambiguo di Paperon de’ Paperoni. Magnate avido e opportunista, ma pieno di debolezze; proprietario di immense ricchezze, eppure tanto solo; self-made man con un passato glorioso che trascorre gli ultimi anni di vita in una gabbia di metallo fuori dal mondo; uomo gretto e spietato, ma capace di notevoli slanci di bontà. Non sempre è stato così, però: la sua complessità è frutto di una lenta e graduale evoluzione, che il suo stesso artefice, Carl Barks, ha tentato di ricostruire in varie interviste, individuando un punto di svolta cruciale in una storia ben precisa, che proprio in questi giorni compie 70 anni: Zio Paperone e la disfida dei dollari.

disfida dei dollari
Il leggendario frontespizio di ‘Zio Paperone e la disfida dei dollari’ di Carl Barks (1952)

Nel 1952, Paperone aveva cinque anni di storie alle spalle e, malgrado fosse un personaggio «odiato da tutti e che tutti odiava» (parafrasando il suo motto), cominciava a incontrare i favori del pubblico. Ben presto Western Publishing – che all’epoca pubblicava i fumetti con i personaggi di Walt Disney negli Stati Uniti – si accorse che ogni volta che compariva in un comic book in edicola le vendite aumentavano, e per posta i lettori chiedevano a gran voce di vederlo più spesso. 

Barks si mise dunque al lavoro su un albo speciale di Four Color Comics per il mese di marzo, intitolato semplicemente Uncle Scrooge e destinato a diventare l’ideale numero uno di una testata omonima, varata poco più di un anno dopo. Al suo interno c’era un’avventura di ampio respiro in cui Paperone subiva una serie di attacchi dai Bassotti, suoi nemici mortali, perdeva il proprio denaro e infine lo riconquistava, in poco più di 30 tavole.

Fin dall’incipit si sarebbe dovuto capire che si trattava di una storia più ambiziosa del solito. A cominciare dal titolo, quell’Only a Poor Old Man che metteva subito in chiaro la vera natura di Paperone e che strideva platealmente con la prima scena: un papero anziano dall’espressione raggiante che si tuffava in un mare di soldi, infischiandosene dell’età e dimostrando l’agilità di un ragazzino. Tuttavia il protagonista non era solo. Sullo sfondo, in piccolo, Paperino lo stava osservando dal bordo della “piscina”, dando l’impressione di essere abituato a questo genere di stranezze. Come del resto doveva esserlo anche il lettore medio dell’epoca, che aveva già assistito a uno spettacolo simile in precedenza, ma mai nella tavola di apertura di una storia.

“Spettacolo” era proprio la parola giusta. Il carattere fortemente teatrale della composizione era enfatizzato dall’insegna che sovrastava il titolo, quasi come nella locandina di un film o di una pièce (“Walt Disney presents Uncle Scrooge in:”), mentre sullo sfondo il nipote assisteva alla performance dello zio, rispecchiando il punto di vista di chi leggeva. Non contento, Barks si rivolse al suo pubblico anche tramite una didascalia e gettò l’ennesima provocazione dopo quella esplicitata nel titolo: «il vecchio riccone Paperon de’ Paperoni possiede tutto quel denaro e questo è ciò che ne fa». Ossia, tuffarcisi come un pesce baleno, scavarci gallerie come una talpa e gettarlo in aria lasciandoselo ricadere sulla testa. Questo, e nient’altro.

L’altra faccia del capitale

Era un’immagine talmente eloquente da essere destinata a diventare in poco tempo uno dei simboli del capitalismo moderno, legato a doppio filo al consumismo sfrenato e alla logica secondo cui non si è davvero ricchi fin quando non si ostenta il proprio potere economico. La similitudine naturalmente reggeva solo fino a un certo punto, dato che lo scopo primario della scena era illustrare senza mezzi termini la simbiosi totale tra un uomo e l’oggetto del suo desiderio, ma Zio Paperone restava pur sempre un ricco magnate che doveva combattere la concorrenza, (quasi) con ogni mezzo. 

Lo stesso Barks ammise che la sua figura si ispirava ai vari Gould, Harriman e Rockefeller, «tizi che avevano fatto fortuna con le ferrovie e le miniere avendo solo qualche piccolo scrupolo in meno riguardo ai metodi con cui eliminavano la loro concorrenza. Scrooge doveva essere di quello stampo, o non ce l’avrebbe fatta in un’era in cui competeva contro tutti quei plutocrati».

Paperone truffa i nipoti, pur di non finire sul lastrico nel giro di un paio di secoli

Davanti a un personaggio tanto complesso, anche il suo creatore mostrava un atteggiamento ambiguo. Dal punto di vista finanziario, Paperone era sicuramente un vincente, uno dei pochi che ce l’avevano fatta: l’eccezione, non la regola. Ma, stando alle parole di Barks, non era un potenziale emblema del sistema capitalistico. Al contrario, avrebbe potuto sconfiggerlo «in un anno soltanto, e non ci sarebbe più concorrenza o libera impresa. Più velocemente è speso il denaro, più prospettive hanno tutti. Paperone non ha mai speso nulla, quindi tutti sarebbero progressivamente più poveri, mentre lui accumulerebbe il denaro speso dagli altri. Col tempo nessuno avrebbe più soldi tranne lui», sentenziò l’autore in una celebre intervista del 1975.

Per semplificare si potrebbe dire che il vero capitalista senza scrupoli, pur con tutte le fragilità caratteriali che già dimostrava, era il Paperone delle origini, uno che non si faceva problemi a turlupinare una tribù africana o che biasimava il sostegno dei parenti, credendo che fossero interessati soltanto alle sue ricchezze. Lo era davvero, un povero vecchio, complici le basette che gli arrivavano fino al mento e degli improbabili occhiali con le stanghette. Ma, soprattutto, lui e il suo denaro erano una cosa sola: non c’era una vera differenza tra l’immagine che il magnate dava di sé e il potere economico che esercitava sugli altri. Era un deus ex machina, un’entità superiore che complicava la vita al vero protagonista, Paperino, l’eroe urbano in cui chiunque poteva riconoscersi.

Paperone, con il suo modo di fare stravagante, era il suo esatto opposto. Barks introdusse la sua prima nuotata nel Deposito in una storia del 1951, Paperino esattore, assumendo però il punto di vista del nipote, che di fronte a tanta sicumera poteva solo provare disgusto e farsi da parte. Nelle pagine seguenti il riccone avrebbe sviluppato un’improvvisa allergia al denaro e si sarebbe dovuto ritirare in una grotta, per espiare idealmente la propria cupidigia. Era il fil rouge che fino ad allora aveva accomunato tutte le sue apparizioni e che avrebbe subìto una drastica revisione proprio nella Disfida dei dollari.

Il tramonto del Sogno

L’immagine che traspariva dal protagonista di quell’incipit non era quella di un arci-capitalista, consapevole del proprio strapotere e desideroso di avere il mondo alla sua mercè, ma di una persona fragile e solitaria, se non addirittura malata. Barks lo ribadì nelle tavole seguenti, dove lo zio cercava di convincere il nipote a intraprendere la sua stessa strada, dal momento che non c’era «conforto più grande che possedere una fortuna come la mia». Il suo discorso era lucido e persuasivo, come si conviene ai grandi finanzieri, ma non rispecchiava la realtà dei fatti: Paperone doveva interrompersi a più riprese per far fronte agli innocenti attacchi di tarme e ratti, accumulando sempre più stanchezza in un climax crescente:

disfida dei dollari
La prima vignetta in alto a sinistra e l’ultima in basso a destra, apparentemente identiche, differiscono nello sguardo di Paperone, vispo all’inizio, più stanco alla fine

Questa sequenza metteva bene in luce anche il carattere di Paperino, che continuava a dare ascolto allo zio come se niente fosse, incapace di sviluppare una visione d’insieme e sempre sul punto di “sbagliarsi”, come direbbe Don Rosa. Anche poco prima dell’entrata in scena dei Bassotti, fiutati da Paperone non appena si era accorto che qualcuno stava costruendo un palazzo vicino al suo, aveva pensato subito a delle «persone per bene che si guadagnano da vivere onestamente». E quando, al culmine della tensione, doveva stare dietro sia ai ladri che alle tarme e ai ratti per aiutare lo zio, iniziava a non capirci più nulla; l’unica soluzione era farsi aiutare a sua volta da qualcuno, e cioè da Qui, Quo e Qua.

Del resto la crisi che attanagliava il vecchio papero era tutt’altro che facile da risolvere. Si prospettava una tragica separazione tra lui e il suo denaro, che per la prima volta dava l’idea di essere stato guadagnato con fatica, e che non era più un semplice scettro del potere o un’emanazione di sé, ma il simbolo di una ricchezza interiore. Una di fianco all’altra, tutte le insignificanti monetine del deposito costituivano un ritratto apocrifo della vita di Paperone e in un certo senso anche della storia degli Stati Uniti, dato che ciascuna di esse evocava il luogo e il tempo in cui era stata incamerata dal suo proprietario.

Come scrive Thomas Andrae nel saggio Carl Barks, il signore di Paperopoli, «la popolarità di Paperone derivava dal modo in cui il personaggio gestiva le tensioni con il sogno americano nel dopoguerra». In un contesto economico sempre più corporativo e ricco di mediazioni, dove le ambizioni di ascesa sociale subivano brusche battute di arresto, valori come la parsimonia e il duro lavoro non bastavano. Il successo derivava sempre più dall’estrazione sociale e le speranze alimentate dal Sogno restavano appannaggio delle classi più abbienti.

Per queste ragioni Barks decise di rendere Paperone l’emblema di un passato mitico a cui era lecito guardare con nostalgia. I flashback sulla sua vita da cercatore d’oro nel Klondike o da cowboy nel Montana ne ribadivano lo spirito eroico e l’intraprendenza, e il solo pensarci gli permetteva di trovare il coraggio e la lucidità necessari per affrontare una banda di furfanti tutt’altro che innocui (prima di allora i Bassotti lo avevano rapinato già due volte, nelle uniche due storie brevi in cui si erano visti). Ed erano proprio loro l’altra grande causa della crisi del miliardario: gente disposta a portargli via il suo tesoro facendo ricorso ai «nuovi trucchi», come li chiamava Paperone, strategie complesse che richiedevano competenze specifiche: bombe al napalm, macchine volanti, animali addestrati, ruspe e attrezzi da scavo.

«Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla»

Più in generale, grazie all’esperienza accumulata in passato e racchiusa nelle sue ricchezze, Paperone trovava le forze per fare i conti con le difficoltà della vita. Le nuotate rigeneratrici lo calmavano, non erano più un’affermazione del proprio ego, ma un mezzo di redenzione, «un gioco sensuale che la sua avarizia una volta precludeva», per citare Andrae. Malgrado i suoi racconti fossero quasi sempre leggermente gonfiati, trasfigurati dal ricordo, facendo di lui un narratore inattendibile, il protagonista della Disfida dei dollari sosteneva che tuffarsi nel suo denaro fosse «l’unico piacere di cui abbia mai goduto». L’unico, non “uno dei pochi”.

Anche lui, come tutti i personaggi creati da Barks, aveva un chiodo fisso in testa e anche lui doveva pagarne le conseguenze. Il progressivo attaccamento al denaro l’aveva alienato dal resto del mondo, compromettendo la sua sfera emotiva e inducendolo a rinunciare del tutto alle gioie dei sensi e alla sessualità. I suoi desideri erotici erano stati trasferiti sulla sua enorme fortuna, che da allora avrebbe sempre ricoperto un ruolo da coprotagonista in ogni sua apparizione.

Anche la scena più celebre della Disfida dei dollari poteva essere letta in quest’ottica. Nella parte finale, quando i Bassotti riescono a innescare la demolizione della diga che separava il denaro di Scrooge dai loro terreni, Barks optò per una quadrupla mozzafiato dove il fragore è suggerito da un’onomatopea relativamente piccola, ed è rafforzato da una profondità di campo enorme, che quasi permette di sentire il tintinnio delle monete in primo piano. Klaus Theweleit, autore di una serie di studi sulla sessualità, interpretò la scena come «un collasso delle fantasie maschili di controllo e possesso», vedendo proprio nell’esplosione e nel climax che la precedeva la liberazione della libido di Paperone dopo decenni di privazioni e rinunce.

Una figura sentimentalmente tormentata, dunque, nella quale era piuttosto facile riconoscere un alter ego dell’autore stesso. All’epoca, infatti, Barks era reduce dal suo secondo divorzio e aveva iniziato a vivere in solitudine, nei pressi di un vecchio luna park abbandonato, dove «le idee scorrevano come cascate», nonostante i debiti da pagare e i ritmi di produzione sempre più estenuanti. Fu con lo scopo di esorcizzare la propria condizione che l’Uomo dei Paperi si mise all’opera su una storia che parlava di “quanti guai potessero capitare a un uomo.

disfida dei dollari
Tre onomatopee, qualche lacrima, un’alba in lontananza. A lezione di sintesi dal prof. Barks

Due storie in una

Per mettere subito in luce le caratteristiche peculiari del suo protagonista, Barks lavorò di fino anche sulla struttura narrativa della Disfida dei dollari, imbastendo un’unica grande avventura a partire da due vicende potenzialmente disgiunte. In corrispondenza della sedicesima tavola (su 32 totali), i problemi sembravano risolti: il denaro di Paperone era al sicuro, i Bassotti non sospettavano dove fosse e i nipoti stavano per ricevere la loro paga. 

Nelle 16 tavole seguenti Barks avrebbe invece giocato al rialzo, riproponendo lo schema della prima metà e vanificando gli sforzi dei suoi eroi; solo così Paperone avrebbe potuto dimostrare di essere un tipo coriaceo, che trovava sempre le energie per rialzarsi. E, ironia della sorte, sia la prima che la seconda parte si concludevano con una scena che metteva in luce le sue debolezze: Paperino e i tre nipotini che chiedevano di essere pagati, riuscendo a vincere la sua riluttanza.

Del resto, scrivendo per il formato comic book, Barks si poteva permettere sequenze più lunghe e ritmate senza dover infarcire il racconto di gag per fidelizzare il lettore, rispetto alle strisce. Nella Disfida dei dollari diede il meglio di sé proprio nel lungo climax che precedeva la scena clou, facendo corrispondere a ogni tavola, per quattro di fila, l’attuazione e il fallimento di altrettanti piani dei Bassotti, prima di concedersi maggiore spazio per la “soluzione finale”: l’attacco di una nuova specie di super-termiti che avrebbero divorato la diga. Ancora una volta il pericolo più grande proveniva dal mondo animale, dopo i topi, le tarme, i pesci e gli uccelli visti in precedenza.

Paperone guardava ai propri problemi da un punto di vista squisitamente umano, ma quando arrivava il momento di risolverli si comportava proprio come il personaggio di un fumetto che, a differenza di molti altri, era semplicemente consapevole di esserlo. Il fatto che fosse capace di parlare la lingua dei cormorani, o che riuscisse a tuffarsi in una distesa di monete senza la minima sbucciatura lo rendevano più vicino ai supereroi che agli altri funny animals, che di solito non disponevano di veri e propri “poteri magici”. «Non spiego come fa, perché non lo capisco nemmeno io», fu la risposta di Barks quando gli chiesero in cosa consistesse quel «piccolo trucco» a cui si riferiva Paperone alludendo alla sua capacità di nuotare nell’oro.

Tanta fatica… per nulla? Possibile?

Il finale della storia, con la brusca separazione tra zio e nipoti e l’ultima esibizione di Paperone prima dei titoli di coda, restituiva tutta la complessità di un individuo al tempo stesso umano e infallibile, incapace di scendere a compromessi. Paperino lo biasimava di essersi comportato come un “povero vecchio”, gli rifilava un calcione nel retropiume senza che lui battesse ciglio, lasciandolo in balia di un dubbio esistenziale che sarebbe stato fugato (quasi) subito. 

Ma se i riquadri finali gettavano un bagliore di speranza, replicando la scena con cui tutto era iniziato, il loro contenuto non coincideva per forza con il pensiero di Barks che, di fatto, non prendeva posizioni esplicite. Zio Paperone e la disfida dei dollari era sicuramente un manifesto programmatico, un concentrato di temi e stilemi che sarebbero stati approfonditi nei fumetti successivi, ma non un’opera “a tesi”, pensata per riscrivere a tavolino la psiche del suo protagonista.

Anche oggi, nonostante siano trascorsi 70 anni, resta una delle più influenti mai realizzate da un autore Disney, un punto di riferimento obbligato per chiunque cerchi di far dire qualcosa di nuovo a Paperone o desideri soltanto risalire alle origini della sua caratterizzazione attuale. Il vertice della produzione di un narratore ineffabile che riuscì ad assolutizzare le proprie ansie e i propri dispiaceri aggiungendo un altro tassello al suo mondo di animals tutt’altro che funny.

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